Persone
Il cinema che racconta l’utopia di Danilo Dolci
Anche il cinema ha raccontato, seppure fino a ora in maniera documentaristica, la complessità di un pensiero come quello di Danilo Dolci, capace di toccare chiunque. Una forza che ci arriva attraverso il lavoro di un giovane regista siciliano come Alberto Castiglione, grazie al quale continuiamo a scoprire un uomo che sapeva e amava dialogare attraverso le parole della non violenza
Danilo Dolci? Una di quelle figure, uno di quei personaggi che più leggi, più conosci, più ti rendi conto che non basterà una vita per capire l’immensità che gli apparteneva. Una complessità che lui riusciva a condividere con le persone a cui ha da sempre dedicato il suo impegno, i pescatori, i contadini, la gente a cui la vita non ha regalato nulla, neanche il bagaglio di base che ogni essere umano ha diritto di ricevere per cominciare ad avventurarsi nel mondo.
Centinaia i libri che hanno ripercorso il suo impegno nei confronti delle comunità che ha “toccato” con la sua enorme capacità di essere sempre chiaro e diretto, ma anche il cinema non è stato da meno, magari non proprio in maniera così prolifica, comunque regalando percorsi narrativi che hanno scelto la forma documentaristica per raccontare il suo mondo.
Chi ha decido di avventurarsi lungo una strada sicuramente impervia è stato Alberto Castiglione, giovane regista siciliano, sceneggiatore e documentarista, da sempre impegnato a raccontare il sociale narrando storie “contro”, che a Danilo Dolci ha dedicato due dei suoi lavori: Danilo Dolci – Memoria e utopia (2004) e Verso un mondo nuovo (2013). Piccole opere, preziosi contributi alla conoscenza di un attivista della nonviolenza per eccellenza che, alle 11 di venerdì 28 e di sabato 29 giugno, saranno proiettati nell’ambito della settimana che, tra Palermo e Trappeto, celebrerà il centenario della nascita di Dolci, avvenuta appunto il 28 giugno del 1924.
Raccontare Danilo Dolci attraverso la macchina da presa, davanti alla quale mi hanno tutti regalato un pezzo di lui, è stata una delle esperienze più belle della mia vita
Alberto Castiglione, regista
“Palpitare di nessi” il festival che, sino al 30 giugno, renderà omaggio, onore e merito, attraverso l’arte, il dialogo e la condivisione, alla figura di Danilo Dolci, ripercorrendo la sua storia, le tematiche a lui più care, riscoprendo le connessioni e le reti che uniscono e che rappresentano oggi una vera risorsa creativa e rigenerativa in un contesto attuale sempre più difficile. Sarà un susseguirsi di momenti di riflessione, confronti, anche artistici, tutti contraddistinti dal desiderio di crescere attraverso il dialogo sul quel che ha lasciato in eredità colui che è stato definito il Gandhi italiano.
E sicuramente, coloro che lo hanno “vissuto” non riusciranno a sfuggire a quel senso di malinconia che pervade chi sa di avere perduto qualcosa o qualcuno di importante, per nulla sostituibile, non riuscendo a colmare quel vuoto che inevitabilmente resta tale per tutta la vita. Ancor di più ritrovandosi in un luogo magico come Borgo Di Dio, oggi ribattezzato Borgo Danilo Dolci, anch’esso orfano di un padre.
Domenica 30, inoltre, sarà proiettato Danilo Dolci: un racconto per immagini, curato per l’occasione da Alberto Castiglione, che ha cucito materiali provenienti da archivi RAI, Aamod, Istituto Luce e raccolte private.
«Io purtroppo non ho avuto la fortuna di conoscerlo direttamente», afferma il giovane regista, che fa anche parte del comitato che si sta occupando della settimana di celebrazione dal punto di vista della comunicazione e degli aspetti legati al cinema e alle arti visive, «quindi non ho ricordi personali con lui. Anche se…..
Caso vuole che nel 2003 mi trovavo alla sessantesima Mostra del cinema di Venezia, dove presentavo un documentario su Rita Atria e i ragazzi di Partanna, e vidi il film di Paolo Benvenuti su Portella della Ginestra. Nei titoli, credo di coda, c’era una dedica proprio a Danilo Dolci. Nel leggere quel nome sentii una sensazione strana, ma non capii perché. Tornato a casa cominciai a documentarmi, a fare ricerche, quando un giorno mia madre mi disse che, in effetti, io al borgo c’ero stato, ma non potevo ricordare, ero piccolo, tre o quattro anni. Mi raccontò che mio padre andava a trovarlo perché lo stimava, come del resto tanti intellettuali dell’epoca, e io lo seguivo spesso. Devo ringraziare mia madre per avermi aiutato a ricostruire questa memoria personale che mi ha fatto crescere quell’interesse che, magari, senza questo cameo, non so come si sarebbe sviluppato».
Un interesse che diventa immediata concretezza dal momento che, nel 2004, nasce Danilo Dolci – Memoria e utopia. Un lavoro che propone i suoi primi vent’anni in Sicilia, dal 1952 al 1972, più precisamente dal suo arrivo a Trappeto fino alla costruzione del Centro Educativo di Mirto. Una ricostruzione dai colori forti, così com’è stata tutta la sua esistenza, grazie anche a importanti contributi come quelli offerti dallo storico Giuseppe Casarrubea, da Ludovico Corrao e da Lorenzo Barbera, suo amico e compagno di tante battaglie.
«Sono felice di riproporre i miei lavori in questo luogo», prosegue Castiglione, «perché il centenario vuole essere intanto l’occasione per vivere e recuperare il luogo simbolo dell’impegno di Dolci. Oggi ha un altro nome, ma il nome Borgo di Dio che gli diede Danilo, esprimeva la sua visione laica del mondo e del relazionarsi con i pescatori, i contadini, i figli dei banditi. Era un borgo di rinascita anche civile e sociale.
Quel che ha addolorato, e ancora fa male, è stato il fatto che, dopo la sua morte, c’è stato un periodo di declino, è scomparso dalla memoria collettiva. Anche per questo fu molto difficile, in quegli anni, rintracciare e intervistare persone che potessero raccontare chi fosse stato Danilo Dolci. Fortunatamente la famiglia ha capito e, nel giro di un anno, è nato il primo documentario, che per tanto tempo è stato uno dei pochi strumenti di conoscenza di questa incredibile storia»
Unica la capacità di Danilo Dolci di arrivare a chiunque
Comunicava con i più poveri, con le persone meno attenzionate dal punto di vista sociale e culturale. Eppure, dietro a questa sua voglia di partire dal basso e ricostruire, si celava un grande pensiero, talmente complesso che ancora oggi ti pone davanti a te stesso e al modo in cui ti relazioni col mondo.
L’aspetto educativo sta alla base del secondo documentario, Un mondo nuovo, ci aiuta a capire eredità ci ha lasciato, quel nuovo educare basato sulla maieutica reciproca e la valorizzazione della creatività individuale e collettiva, che ci pone in connessione con i principali temi e problemi del nostro tempo.
Qui racconto un Dolci meno conosciuto, attraverso i suoi impegni educativi. Parto, per esempio, dalla famosa “Marcia della pace”, che fece nel ’67 attraversando tutta la Valle del Belice; una vera impresa per ’epoca. Abbiamo raccolto tanto materiale e costruito relazioni mantenute nel tempo. Una collaborazione che ha creato rapporti che sono sempre più forti con i familiari e con tutti coloro i quali ci sono stati veramente come Pino Lombardi, uno dei storici collaboratori.
Ma chi è per lei oggi Danilo Dolci?
Sicuramente un faro. La sua è stata una complessità schizofrenica, dal pensiero così alto da riuscire ad arrivare a parlare a tutti. Lo dicevo prima. Questo è l’aspetto che ancora oggi mi affascina e che non ritrovo in tanti grandi artisti e intellettuali contemporanei. Il fatto che amava parlare e confrontarsi con i contadini, i pescatori, le persone del popolo, suscita in me ancora oggi grande stupore. Una cosa meravigliosa soprattutto in una Sicilia che, invece, era abituata a farsi trainare, spingere, se non addirittura schiavizzare.
Quale lezione ci lascia Danilo Dolci?
Che si dovrebbe recuperare il tema della non violenza. L’educazione era il suo approccio, ma non può più bastare oggi. Vediamo su scala globale quel che accade ed è chiaro che solo la scuola non può farsene carico. Tutti noi uomini dobbiamo partecipare alla costruzione del mondo nuovo, dal quale, però, credo che siamo sempre più lontani.
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