Periferie
Il cielo di Tor Bella Monaca ha bisogno di cittadini senza paura
Il territorio, la scuola, la presenza e il senso del fare quotidiano per ribellarsi alla criminalità. Dopo l'attentato a don Antonio Coluccia, il punto con Tiziana Ronzio, fondatrice dell'associazione Torpiùbella
di Alessio Nisi
Tiziana Ronzio ha 53 anni, due figli, una casa popolare nel cuore di Tor Bella Monaca, una borgata ai margini di Roma. È la presidente di Torpiùbella, associazione premiata nel 2019 dal capo dello Stato Sergio Mattarella per il suo impegno nella lotta contro i clan che da anni fanno i propri comodi in questo angolo a Sud Est del Grande Raccordo Anulare: per questo Tiziana è stata nominata ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. La sede dell’associazione è in via Santa Rita 50. Una linea retta di un paio di chilometri collega la strada a via dell’Archeologia 35. Venti minuti a piedi, non di più, tra questo presidio di legalità e una delle piazze di spaccio più frequentate della Capitale. Proprio al civico 35, sulle strisce pedonali, l’attentato a don Antonio Coluccia.
Sacerdote fondatore della casa di accoglienza Opera Don Giustino e (a San Basilio) di una palestra sociale, don Antonio è il prima linea contro il racket della prostituzione e della droga. In strada. Così fisicamente presente da essere stato bersaglio di una serie di atti intimidatori. Dà fastidio. Come Tiziana. Il giorno dell’attentato si erano incontrati, come succede da mesi. «Per me», dice Ronzio, «è una presenza fondamentale». Una colonna, un amico, con cui aveva dialogato, fino alla decisione di spostarsi in via dell’Agricoltura. L’arroganza della malavita non ammette interferenze. Quelle di un sacerdote, o quelle di una troupe televisiva. «Fino a pochi minuti fa ero con il Tg3», racconta, «e un’automobile ha preso a girarci attorno, con strafottenza».
Tiziana, ha sentito don Antonio? Come sta?
Sì, ho sentito don Antonio pochi minuti fa: è sempre più convinto di quello che sta facendo qui a Tor Bella Monaca e negli altri territori. Non si fermerà e non avevo dubbi. Ciò che stiamo facendo come associazione sta incidendo sul quartiere e quella di ieri è la risposta di chi non ci sta a perdere lo spazio che hanno rubato ai cittadini.
Che peso dà a questo attentato? Solo il gesto di uno squilibrato o un segnale?
Don Antonio viene spesso in zona. Ma non ha un agenda vera e propria. È un gesto premeditato e istigato sì, ma non studiato a tavolino. È stato un segnale certo. Un segnale di strafottenza. Questi criminali devono dimostrare di non aver paura, neanche delle forze dell’ordine (e don Colucci è seguito da tre auto della polizia).
Raccontiamo la giornata di ieri. È vero che avete camminato un po’ insieme? Di che avete parlato?
Spesso viene qui in associazione, incontrarci è diventata quasi un’abitudine. Ieri gli ho confidato che da giorni si respirava un’aria strana in zona, come di attesa. Gliel’ho fatto presente anche prima di lasciarci e ha annuito, dicendo che anche lui la percepiva ma doveva andare avanti. Prima di andare via abbiamo camminato un po’ in via Santa Rita e ci siamo dati appuntamento in un bar in via dell’Agricoltura.
Da mesi don Coluccia è molto vicino a Tor Bella Monaca per sostenere lei e la sua associazione.
Ci sostiene da luglio dello scorso anno, ma siamo in contatto da molto più tempo. Il nostro è un rapporto di amicizia profonda, fondata dalla condivisione del comune impegno per il territorio. È l’unica persona che sento veramente vicina. Ha una marcia in più: perché sul territorio c’è veramente.
Lei come don Antonio siete stati oggetto di numerose intimidazioni.
Sì.
Siamo vicini alla riapertura delle scuole.
Come associazione abbiamo molti contatti con le scuole e con gli studenti. Ecco in una delle nostre attività ho avvertito nettamente la distanza fra quello che si dice in giro, o in certi ambienti, e una percezione più giusta delle cose. Una bambina di scuola media si è rivolta a me, dicendomi questo: “Sai dicono che sei infame, ma non sei tanto infame”. Ho sorriso, ma quella frase dice tanto. Io non sono un’infame. Infame è chi vende la morte, non chi denuncia.
Non chi denuncia e si rimbocca le maniche.
Dobbiamo fare di più. Certo, Tor Bella Monaca può sembrare lontana dal centro della città. A vederla da questa terrazza si capisce però che è un quartiere come tanti altri. Abbiamo solo bisogno che la gente non abbia paura, che venga qui, ci conosca e ci frequenti.
Da che parte dobbiamo cominciare?
Fare, fare e fare, sempre di più. Ed essere presenti. Proprio come don Antonio.
In apertura foto per gentile concessione di www.facebook.com/TorPiuBella. Nel testo la foto di don Coluccia è di Opera don Giustino. Le altre immagini sono dell’associazione Torpiùbella
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