Mondo
Il Ciad ritrova i suoi amici
Long milanese da 40 anni è presente nel Paese. Si occupa di progetti di sviluppo rurale. Lemergenza ha bloccato tutto.
Il Ciad è in stato d?emergenza. A dichiararlo è stato il presidente Idriss Deby dopo l?attacco dei ribelli antigovernativi contro la capitale N?Djamena all?inizio di febbraio. Ma ad essere calda, e da molto più tempo, è tutta l?area, che comprende anche il Centrafrica e il Sudan (a est il Ciad confina con il Darfur, la regione sudanese al centro di una grave crisi umanitaria dal febbraio 2003). Il 18 febbraio i ministri degli Esteri dei Paesi Ue hanno puntato il dito sugli interessi incrociati di Ciad e Sudan chiedendo ai rispettivi governi di «smettere immediatamente di sostenere ed equipaggiare i gruppi armati e di migliorare le loro relazioni». Intanto i confini fra gli Stati sono diventati porosi, di continuo varcati da popolazioni in fuga: 200mila profughi del Darfur hanno trovato riparo in Ciad, mentre sarebbero 60mila i ciadiani fuggiti in Camerun dopo l?attacco dei ribelli nella capitale.
Matteo Cantoro, 34 anni, è responsabile-Paese dell?organizzazione non governativa Acra, che ha cominciato quarant?anni fa le proprie attività in Africa partendo proprio dal Ciad. «Acra è presente da vent?anni anche nel Nord del Camerun», spiega al telefono da N?Djamena, «riusciamo quindi ad osservare da vicino quello che sta accadendo al di qua e al di là del confine». Sono 13 i cooperanti dello staff di Acra in Ciad: si occupano di educazione, di progetti agro-forestali e nella capitale gestiscono l?ospedale più importante del Paese. «Eravamo quasi tutti a N?Djamena all?inizio di febbraio. In 24 ore la città si è riempita di truppe ostili al governo. Abbiamo vissuto momenti di paura, tensione, indecisione. Abbiamo deciso di rimpatriare quattro giovani in servizio civile e noi cooperanti di lungo corso, sia famiglie che singoli, siamo rimasti». Non è stato un fulmine a ciel sereno il tentato colpo di Stato. «Siamo consapevoli di lavorare in un Paese instabile», continua Cantoro. «Il Ciad da quarant?anni vive momenti alterni di tensione: ci sono state guerre civili interne, regimi dichiaratamente dittatoriali come quello di Hissène Habré, che ora deve essere giustiziato per crimini contro l?umanità». Nella capitale Acra ha già riaperto gli uffici e ripreso le attività. «Si respira un clima di relativa tranquillità, una sorta di convalescenza. È strano a dirsi, ma è come se nulla fosse successo, ci si muove abbastanza serenamente. I ribelli, secondo le ultime notizie, si sono ritirati in una zona al confine con il Darfur e il Centrafrica, tornando alle loro basi. Non è un segreto per nessuno che ci sono gruppi sudanesi, centrafricani e ciadiani che vogliono un cambiamento in Ciad a vantaggio di propri interessi». In Camerun ora c?è l?emergenza profughi: 30mila ciadiani fuggiti da N?Djamena sono stati radunati dall?Unhcr (l?agenzia Onu per i rifugiati) nella località di Kuusseri. «In questa prima fase di emergenza sono la Croce Rossa e le Nazioni Unite a gestire l?assistenza ai profughi. Noi di Acra ci teniamo pronti a fare la nostra parte».
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