Tornare a camminare

Il chip di Musk? Lo scienziato: «Una svolta ma si affrontino le questioni etiche e sociali»

Impiantato il primo dispositivo cerebrale wireless creato da Neuralink di Elon Musk. L'obiettivo è restituire la funzione motoria e la locomozione a chi, in seguito a traumi o malattie neurodegenerative, si trova paralizzato. Ne abbiamo parlato con Silvestro Micera, massimo esperto di neuroprotesi spinali impiantabili

di Nicla Panciera

Avrà un nome ambizioso ed evocativo, “Telepathy”, il dispositivo cerebrale che è stato impiantato per la prima volta su un essere umano. Neuralink, l’azienda di neurotecnologie di Elon Musk, ha fatto anche sapere che la persona sta bene e si sta riprendendo. L’approvazione alla sperimentazione su essere umano, che saranno pazienti con tetraplegia, è arrivata l’anno scorso da parte della Fda americana dopo molto lavoro condotto sugli animali per lo studio delle cosiddette “brain computer interfaces” (interfacce uomo-computer Bci). In questa prima fase dello studio Prime (che sta per Precise Robotically Implanted Brain-Computer Interface) si vuole capire la sicurezza della procedura neurochirurgica e dell’impianto e il reclutamento è in corso (per chi volesse candidarsi, il requisito è tetraplegia per lesione spinale o Sla, andare qui). L’obiettivo finale è quello di restituire la funzione motoria e la locomozione a chi, in seguito a traumi o malattie neurodegenerative, si trova paralizzato consentendo il controllo di telefono e computer con il solo pensiero. L’impianto cerebrale, raccoglie i segnali corticali, li invia a un software che li trasmette a device esterni.

«Le neurotecnologie sono a una svolta e possono fornire finalmente un reale miglioramento alla vita del paziente» ci dice Silvestro Micera, responsabile del gruppo di Ingegneria Neurale dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e presso l’Ecole Polytechnique Federale de Lausanne. Micera è esperto di fama internazionale e lavora allo sviluppo di nuove neuroprotesi impiantabili in grado di ripristinare la funzione sensoriale e motoria nei disabili. Quando avverrà tutto ciò? «È difficile dirlo, ma mi aspetto che tra una decina d’anni questa sarà la strada per consentire a questi pazienti di camminare».

Foto Agenzia Sintesi

Restituire la locomozione

Sono molti i tentativi allo studio in questo senso, dalle neuroprotesi che creano un ponte tra il cervello, perfettamente intatto, e gli arti, alla rigenerazione del midollo spinale con le cellule staminali alla stimolazione dei nervi rimasti intatti ma non funzionanti per via del silenzio elettrico in arrivo dalla corteccia. Sono tutte alternative con pari dignità ma, per Micera, «le neurotecnologie sembrano essere al momento le più vicine all’applicazione clinica».

Le novità del chip impiantato

Le problematiche legate all’infiammazione cerebrale provocata dall’impianto dovrebbero ridursi perché il dispositivo installato ieri è meno invasivo dei precedenti: consiste in elettrodi sottilissimi, dell’ordine dei micrometri, inseriti in delle canule che vengono posizionate da un sistema robotico fin nella corteccia motoria primaria, dove gli elettrodi vengono impiantati e le canule infine estratte. Un’altra novità è il grande numero di elettrodi che consente di raccogliere molti dati e di supplire, almeno in parte, alla non perfetta conoscenza dell’area esatta in cui dirigersi. Il sistema è wireless e non è visibile all’esterno.

Prossimi obiettivi

Molti gli aspetti su cui c’è ancora da lavorare: le conoscenze relative agli esatti meccanismi in atto a livello molecolare quando si impianta una neuroprotesi, che pure funziona, sono ancora da chiarire completamente. Così come andrebbe perfezionato il posizionamento degli elettrodi, la tecnologia relativa alla trasmissione del segnale o i materiali usati. Al momento, a suscitare minor preoccupazione, invece, sono le difficoltà relative alla comprensione di come il cervello codifica le informazioni relative al movimento e quindi relative all’interpretazione dell’attività elettrica neurale:  «Ci sono ormai abbastanza evidenza di decodifica di segnali cerebrali in comandi motori» ci spiega l’ingegnere neurale. «La domanda è semmai questa: quanto in là possiamo andare?».

Silvestro Micera

Un treno in piena accelerazione

Già, perché i traguardi arrivano a ritmo accelerato. Il primo lavoro che permise a un tetraplegico di camminare fu pubblicato su Nature nel 2006. Nel 2014, fu la volta del calcio d’inizio dei Mondiali in Brasile, tirato da un 29enne completamente paralizzato dalla vita in giù, ma alla guida di un esoscheletro. Circa dieci anni dopo il primo paziente su Nature, Elon Musk annunciò il progetto di creazione di un “guinzaglio neurale”. Se l’espressione “neural lace” vi sembra romanzesca è perché viene dallo scrittore scozzese Ian Banks.

E a chi nutre qualche timore sulla sicurezza delle procedure o sull’invasività dell’intera operazione, Micera si limita a ricordare che in passato analoghi timori sono stati dissipati dall’efficacia clinica delle metodiche, dalla stimolazione cerebrale profonda Dbs nel Parkinson agli impianti cocleari che restituiscono l’udito. «La sperimentazione di questa tecnologia è approvata per pazienti paralizzati e sarà così per moltissimo tempo» taglia corto Micera che collabora con i neurochirurghi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, guidati da Pietro Mortini, di Milano dove già tre pazienti paraplegici per lesioni traumatiche sono stati impiantati con uno stimolatore midollare.

Comunicare per essere pronti

Nel frattempo, altre agenzie come la Darpa sono al lavoro su progetti ancora più ambiziosi, come quello di trasferire dati dalla mente al computer e viceversa. Parlando di neuroprotesi, non si può non pensare al neuropotenziamento cognitivo dato dalla possibilità di abbinare cervello e dispositivi esterni potentissimi di conservazione e magari elaborazione delle informazioni.

Prima che questo accada, serve una ampia riflessione condivisa sulle numerose questioni etiche, legali e sociologiche legate all’applicazione di questa e altre metodiche che arriveranno. «Se ne parlerà dopo l’estate in un congresso organizzato a Milano dal professor Mortini» dice Micera, che è ottimista: «Siamo culturalmente pronti».

Foto AP Photo/Kirsty Wigglesworth, Pool) Associated Press/LaPresse

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