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Il Chicoria: «lo Stato cerchi i giovani prima, non solo per mettergli le manette»

Primo, rafforzare il dialogo con i giovani, senza pregiudizi e senza volere che siano come noi li vogliamo. Trattandoli come adulti, aiutandoli a valorizzare se stessi. Il rapper Armando Sciotto, in arte Chicoria, gira le scuole ed è convinto che la cosa che più urgente, dinanzi al dilagare del malessere di tanti giovani, sia intercettare precocemente le loro emozioni. Con lui invece, gli adulti e lo Stato «si presentarono solo per mettergli le manette. Non ho ricevuto, prima, proposte per darmi valore»

di Veronica Rossi

Noto rapper romano, Armando Sciotto, in arte Chicoria, è attivo nel mondo dell’hip hop da quando aveva 13 anni. Dopo un passato turbolento che l’ha portato anche a un arresto per spaccio, oggi, a 44 anni, gira le scuole e parla coi ragazzi, si racconta e, attraverso il proprio esempio, cerca di dare un insegnamento a chi si sta affacciando all’adolescenza e all’età adulta.

Oggi vede un malessere diverso nei ragazzi rispetto a quello che ha vissuto lei?

Il malessere c’è sempre stato perché è dovuto alla crescita. Lo Stato dovrebbe occuparsi di più dei ragazzi: a me è venuto a cercare solo per mettermi le manette ai polsi. Prima non mi sento di avere ricevuto attenzione o proposte o tanti mezzi per darmi valore.

Cosa andrebbe fatto secondo lei?

Bisognerebbe innanzitutto finanziare le scuole in tutto il Paese: non è possibile, per esempio, che io vada negli istituti del Sud e trovi che non hanno niente, nemmeno la carta igienica nei bagni. Poi vado in quelli del Nord e scopro che hanno anche le aule per le assemblee ultra moderne e le lavagne multimediali. Come mai c’è questa differenza? Dovrebbe essere lo Stato che si fa carico di questi giovani, tutti, senza amplificare le disparità ma riducendole. Dobbiamo essere capaci di valorizzare le persone, altrimenti ci sarà sempre ignoranza e malessere.

Come porsi per mettersi in dialogo con i giovani?

Vanno trattati il più possibile come adulti, mentre ritengo che, in generale, le generazioni più grandi tendono a essere poco sincere con gli adolescenti. È inutile foderargli gli occhi e le orecchie di prosciutto, cercando in qualche modo di proteggerli. Bisogna essere il più onesti possibile, per guadagnarsi la loro fiducia. Dobbiamo pensare che un ragazzino di 15 anni tra tre anni sarà una persona che vota, è necessario che possa farsi un’opinione critica ed esprimere il suo giudizio, anche sulla politica e sulla classe che guida il Paese.

La narrazione dominante, però, è quella di una generazione fragile.

Diciamo che chi vive nelle città metropolitane di solito ha più mezzi di chi vive in provincia – al Nord o al Sud – dove mi pare le persone abbiano una velocità inferiore, soprattutto per quello che riguarda la valorizzazione di sé stessi.

In che senso?

Hanno molte meno possibilità, non hanno un teatro o un cinema, per esempio. Ma non possono nemmeno trovarsi in discoteca, per dire una cosa futile, che però in provincia non esiste. Questo gli impedisce di aggregarsi, anche attorno alla musica.

I giovani parlano della propria condizione?

Certo, bisogna solo riuscire a trovare la chiave per farli esprimere.

E lei, per esempio, come trova questa chiave?

Parlando il loro linguaggio, essendo sincero prima di tutto, senza apparire ciò che non sono: io ho cambiato vita da 15 anni e questo lo sa tutto il mondo. Se ci sono riuscito io, con tutti i problemi che avevo, magari attraverso le parole riusciamo a non far intraprendere una cattiva strada a un ragazzino.

Quindi servono anche degli esempi?

Sì, i ragazzi vanno intercettati il prima possibile. Dobbiamo fargli capire come funziona davvero la vita e, soprattutto, che non sono i soldi che permettono maggiormente di valorizzare se stessi, ma l’essere compiuti come persone umane.

L'intervista è apparsa sul numero di VITA di maggio, la cui copertina è dedicata al malassere della Generazione Z. Qui il link per acqsuitarla.


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