Mondo

Il Cav d’emergenza arrivato ai confini della terra

La storia di un viaggio di aiuti e di speranza al confine tra Romania e Ucraina con i volontari del Movimento per la Vita italiano. Il racconto delle persone e delle sofferenze incontrate e che insieme si possono vincere. Dall’appello dell’associazione Save a Life al coordinamento con la federazione Heartbeat International alla partenza con un tir e un camper divenuto un Centro di aiuto alla vita su quattro ruote

di Antonietta Nembri

Anche il Movimento per la Vita si è unito alla solidarietà corale verso il popolo ucraino e si è mobilitato per sostenere i volontari locali, in modo particolare per aiutare le donne in gravidanza e le famiglie con neonati. «Per queste situazioni», spiegano Tony Persico e Giovanna Sedda è stato predisposto «un Centro di Aiuto alla Vita (Cav) d’emergenza, che è insieme un nodo di coordinamento e un sostegno immediato, attraverso una sede mobile in un camper. Il Cav d’emergenza si era attivato già in occasione dei terremoti in Abruzzo ed Emilia Romagna».
L’iniziativa dedicata all’aiuto all’Ucraina è la risposta a una richiesta di sostegno arrivata alla Commissione internazionale del MpV, dell’associazione Save a Life, attiva nel Paese, che fa parte, come il MpV, della federazione Heartbeat international. Richiesta subito accolta dalla presidente Marina Casini che ha richiamato «la comunione di intenti tra le realtà federate alla rete internazionale di Heartbeat. Il movimento è sempre stato al servizio della vita dei più indifesi. Per questo siamo felici e onorati di poter aiutare, nel nostro piccolo, quanti fuggono dalla guerra, in particolar modo le mamme ucraine e i loro bambini». A questo punto, la segreteria nazionale guidata da Giuseppe Grande, ha subito attivato i Centri di Aiuto alla Vita italiani coordinando l’iniziativa.

«La mattina del 4 aprile, i volontari del Cav d’emergenza sono partiti da Roma per incontrare a Vicenza il Tir che avrebbe trasportato gli aiuti raccolti, altri due volontari si sono uniti a Firenze» ricordano Persico e Sedda, «Ardian e Grazia che ha “scelto di partire per non rimanere spettatrice di quello che stava accadendo, non è niente, ma è un modo per essere presenti”». La destinazione del viaggio è il confine rumeno dell’Ucraina.

«Con il passare delle ore, si faceva sempre più chiaro che questa emergenza è totalmente diversa da quelle vissute in passato, mentre iniziavano ad arrivare le prime notizie degli orrori di Bucha, la disperazione della distruzione veniva sorpassata dal terrore della violenza sugli innocenti» racconta Giovanna Sedda.



Alcuni dei volontari italiani del MpV con il direttore di Camp Christia, Corneliu Klipa (al centro dell'immagine con il cappellino)

All’arrivo a Camp Christia a Voronet in Romania, il 6 aprile, i volontari incontrano il direttore della struttura Corneliu Klipa. Camp Christia è una struttura per campi giovanili che allo scoppio della guerra il 24 febbraio sì è trasformato in un centro di prima accoglienza «in cui i rifugiati trascorrono alcuni giorni, prima di proseguire il loro viaggio, spesso in direzione della Germania». Corneliu Klipa ha raccontato che da fine febbraio ha ricevuto diverse telefonate «da diversi giovani che erano stati da noi, che chiedevano se potevamo ospitare le persone in fuga, e noi abbiamo risposto certamente. Da allora, la mia famiglia e i volontari di Save a Life che si alternano accolgono una media di 75 rifugiati al giorno».

Al centro di accoglienza i volontari italiani incontrano gli ucraini accolti che, come spiega il direttore arrivano per lo più da Cernivci, poco oltre il confine rumeno « La città ospita oltre un milione di sfollati, in condizioni ormai critiche, senza più servizi e cibo. Qui e in altre città vicine, Save a Life porterà molto del materiale raccolto in Italia» spiega il direttore agli italiani. Su una cartina dell’Ucraina nel refettorio di Camp Christia sono evidenziate alcune città, un cuore blu circonda il nome di Odessa, una croce con una freccia punta su Stara Maiachaka, a nord di Mariupol.
Tony Persico racconta l’incontro con alcuni rifugiati per i quali, premette, usa nomi di fantasia: «Un ospite sulla sessantina batte il dito sulla mappa, indica Donetsk, uno dei territori al centro delle contese. Arriva anche Alina che aiuta il marito in sedia a rotelle che ci dice: “Siamo scappati da Kiev, e poi ancora da Kharkiv, siamo qui con mio marito e mia figlia. Cerchiamo di raggiungere un centro di riabilitazione in Germania. Altri tre figli sono rimasti nel Paese”. E poi c’è Artem, un giornalista, che cerca la nostra attenzione mostrando sul telefonino i video dei bombardamenti della sua città, Kharkiv. Indica con le dita gli occhi, per dire che lo ha visto in prima persona: “sono arrivato quattro giorni fa, l’artiglieria russa ha colpito la mia città, spero di raggiungere la Germania e ricominciare a fare il giornalista”. Anastasia arrivata con sua figlia e racconta: “Siamo andati via da un villaggio vicino a Chernobyl perché non c’era più cibo nei negozi e vivevamo con l’incubo di una nuova esplosione nucleare”».

Al momento di scaricare il Tir con gli aiuti ai volontari italiani si sono uniti anche alcuni volontari rumeni e quelli di Save a Life che, racconta Sedda «sono arrivati dagli Stati Uniti ma sono di origine ucraina, lavorano come traduttori ci aiutano anche alcuni tra i rifugiati. Ogni pacco che scende dal camion porta con sé l’impronta della geografia solidale che ci ha sostenuto. I pacchi con i nomi di Ruvo di Puglia, Noha, Roma, Firenze, Finale Emilia, Trieste e tanti altri centri passano veloci di mano in mano. Nel giro di poche ore tutto il materiale viene trasferito nella palestra trasformata in magazzino. Appena il tempo dei saluti e inizia il ritorno verso l’Italia, verso quella normalità che è anche la speranza di quanti attraverso il confine, a pochi chilometri da qui».

Di questa esperienza sia Sedda sia Persico sottolineano la grande azione corale che è alla base dell’invio di materiale ai confini con l’Ucraina «in un tempo, quello del Covid, che ha spinto tutto all’isolamento o alla schieramento, come una guerra, i volontari hanno vinto ogni paura e fatto capire chiaramente da che parte stanno: dalla parte del debole, per accogliere l’indifeso, in maniera concreta e costante. Anche per questo, proprio dietro richiesta di tanti volontari che vogliono continuare a fare, l’iniziativa non si fermerà qui».
E a loro supporto arriva anche la testimonianza di Rosemarie: «Da quando è iniziata questa guerra assurda è nato in me il desiderio di fare qualcosa. Volevo essere utile e poter fare qualcosa, ma cosa? Come? Subito sono partite iniziative in ogni dove. In TV si vedevano grandi iniziative solidali sia per portare rifugiati qui in Italia…sia per portare il necessario per i vari campi di accoglienza. Ho visto tutti fare qualcosa. Io invece, non sapevo come fare per aiutare. Poi un giorno, mi chiama Giovanna del Movimento per la Vita e mi chiede se voglio aiutare nell’iniziativa Cav D’Emergenza per fare tappa a Potenza. È stata un’esperienza davvero stravolgente. In tutti i sensi! In tempo strettissimi abbiamo messo in moto la macchina organizzativa» racconta, «il martedì sera abbiamo iniziato a divulgare la notizia della raccolta e il sabato abbiamo fatto la raccolta e la risposta è stata incredibile, nel complesso abbiamo raccolto 72 colli! È stato stancante? Assolutamente sì! È andato tutto liscio? Ovviamente no! Ma si sa, quando si fa qualcosa di importante gli ostacoli non mancano mai. Ma la soddisfazione e la gioia di aver fatto qualcosa, è stata grande. Non che avessi bisogno della prova, ma c’è veramente più gioia nel dare che nel ricevere».

Immagini da ufficio stampa

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