Sostenibilità

Il casoLa Germania prolunga l’agonia Le multinazionali ringraziano

di Redazione

Lo scorso 18 settembre migliaia di persone scendevano in piazza a Berlino per protestare contro la politica nucleare del governo Merkel. Pomo della discordia: l’annuncio di prolungare in media di 12 anni la vita dei 17 reattori nucleari del Paese rispetto a quanto deciso nel 2000 dai socialdemocratici guidati da Schroeder, che fissarono al 2022 la data di chiusura delle centrali. Per la cancelliera si tratta di una “rivoluzione” per il settore energetico del Paese e, per alcuni, anche di uno strumento nella lotta contro i cambiamenti climatici. «L’estensione della vita degli impianti nucleari non ha alcun effetto sulla protezione del clima», risponde Regine Guenther, direttrice per la tutela del clima e la politica energetica del WWF Germania, «perché la CO2 “risparmiata” può essere emessa da un altro Paese all’interno dello schema di emission trading europeo. Inoltre, l’Aie – Agenzia internazionale per l’energia ha stimato che per ridurre le emissioni solo del 10%, servirebbero ben 1.400 nuove centrali». Se non in inquinamento, ci sarà almeno un risparmio in bolletta? «Nemmeno quello, il prezzo dell’elettricità non verrà influenzato significativamente», continua la direttrice, «gli unici a beneficiarne davvero saranno le multinazionali del nucleare». Ma come, la Merkel non aveva previsto in cambio una tassa sulle utilities per finanziare le rinnovabili? «Per i primi dieci anni – i più importanti per la trasformazione del sistema energetico – saranno disponibili solo 2,3 miliardi di euro», spiega ancora la Guenther, «è davvero troppo poco, soprattutto se si pensa ai 76 miliardi di euro che andranno nelle tasche dei grandi gestori del nucleare tedesco (Rwe, E.on, Vattenfall e Enbw)».(N.G.)


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