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Il caso Scelli. Il malcontento dei volontari. Croce rossa, anzi nera. Di furore

La nascita di “Italia di Nuovo” ha definitivamente incrinato i rapporti interni all’ente. E intanto si complica il futuro politico del commissario.

di Redazione

Cui prodest, verrebbe da chiedersi. La discesa in campo del commissario straordinario della Croce Rossa, Maurizio Scelli si sta dimostrando un terribile boomerang. La politica lo tradisce, ma i più inviperiti sono proprio coloro che avrebbero dovuto sostenerlo: i volontari della Cri.

La settimana nera incomincia proprio nel giorno che avrebbe dovuto consacrare la sua stella sul palcoscenico della politica nostrana. L'appuntamento era fissato per il 30 marzo al PalaMandela di Firenze. Per l'esordio del suo movimento giovanile battezzato “Italia di Nuovo” Scelli si aspettava un bagno di folla. Le cronache invece raccontano di pochi giovani incravattati, lontani anni luce dal look del volontario, molti simpatizzanti di Forza Italia, di un concerto in playback di Alexia e dell'imbarazzo di Scelli mentre il super sponsor Berlusconi continuava a parlare di pericolo comunista.

Insomma, una serata da buttare nel cestino, se non fosse per una felice uscita del premier: «Malgrado il nome, il terzo settore è il primo in Italia». Passano tre giorni e la débâcle elettorale della Casa delle libertà finisce per gettare ulteriore fango sul malcapitato Scelli. Il ministro delle Comunicazioni, Gasparri non esita un secondo a rigirare il dito nella piaga: «Ho molta stima di Scelli, ma c'è gente che pensa che la politica si inventi e poi fa le riunioni dei movimenti giovanili. A volte c'è del dilettantismo». Mentre arriva lo schiaffo dell' “amico” Gasparri, il “nemico” Renzo Lusetti, vice presidente dei deputati della Margherita, usa la convention fiorentina come prova della «partecipazione di Berlusconi alla campagna elettorale», sottolineando in questo modo la valenza nazionale del voto regionale. Un “uno-due” che però non mette al tappeto Scelli. Il suo obiettivo restano le Politiche del 2006. «Il traguardo», dice, «è di trasferire il potenziale del volontariato nelle stanze dei bottoni».

E qui casca l'asino. I “suoi” volontari, quelli della Cri, hanno deciso di lasciarlo solo. Anzi si sentono strumentalizzati da una scelta politica che proprio non digeriscono. Scelli di fatto ha ancora in mano le redini dell'associazione: in questi casi il profilo basso è opportuno e le bocche si chiudono. Ma qualcosa traspare. «Il flop di Firenze? Ne sono felice», rivela a Vita un alto dirigente Cri del Nord Italia cui assicuriamo l'anonimato. Meno abbottonato Alessandro Pagliacci, medico neurologo ed ex direttore dell'ospedale di Bagdad. «Scelli mi ha deluso», il tono è piccato, «prima avrebbe dovuto dimettersi, poi poteva fare quello che voleva. Lui, invece ha preferito usarci». «Mi fa piacere», conclude Pagliacci, «che anche i giovani della Cri abbiano snobbato l?appuntamento di Firenze, significa che siamo davvero indipendenti». Un chiodo su cui batte anche Massimo Barra, vicepresidente della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa: «Grazie a Scelli, il nostro popolo ha dimostrato di aver interiorizzato i principi fondanti dell?associazione». Scelli ma chi glielo ha fatto fare?

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