Non profit

Il caso Malika. Com’è cambiato il dono e come tornare alla trasparenza

Il mondo delle donazioni si è trasformato negli anni soprattutto a causa della disintermediazione. Se una volta erano gli enti sociali a fare da garanti e tramite tra i donatori e i bisogni oggi, con la rete, si stanno imponendo sempre più il personal fundrasing dei vip e le piattaforme. Il risultato è una proliferazione esponenziale di raccolte simile a quella di Malika. Ne parliamo con Paolo Venturi e Valerio Melandri

di Lorenzo Maria Alvaro

In questi giorni è molto discusso il cosiddetto “caso Malika”. Di cosa si tratta? Malika Chalhy è una ragazza di 22 anni che è balzata agli onori della cronaca per essere stata allontanata da casa dalla propria famiglia dopo aver rivelato di essere lesbica. Dopo i fatti che ebbero una grande eco mediatica Malika ha creato due raccolte fondi sulla piattaforma Gofundme, chiedendo aiuto per poter sopravvivere senza casa e senza lavoro. Ha ricevuto oltre 140mila euro. Successivamente pubblica sui social un video che la ritrae alla guida di una Mercedes che si scoprirà aver acquistato con parte dei proventi del fundraising scatenando un'enorme polemica.

Come il caso di Malika però di raccolte fondi simile ce ne sono tantissime. Come sottolinea Selvaggia Lucarelli, che sul tema ha scritto parecchio, ogni qual volta accade qualche fatto di cronaca (o anche solo di gossip) automaticamente sulle piattaforme in rete nascono raccolte fondi dedicate. Ci sono il caso di Paolo Palumbo, il giovane malato di Sla ospite a Sanremo, sulla cui raccolta indaga la Polizia Postale, il caso della showgirl Elenoire Ferruzzi, e poi raccolte per il figlio di Luana, la ragazza morta in una fabbrica tessile e del piccolo Eitan, il bambino sopravvissuto alla tragedia della funivia. Cosa accomuna tutte queste inziative: la totale mancanza di trasparenza, la nebulosità delle finalità della raccolta e lo sfruttare l'onda di commozione delle loro vicende per spingere a donare.


Ma come si è arrivato a questo far west nel mondo delle raccolte fondi? «Una volta, storicamente, quando si parlava di donazioni, a garantire sulla bontà, trasparenza e serietà della richiesta di denaro erano gli enti sociali, gli enti del terzo settore», spiega il direttore di Aiccon, Paolo Venturi. Con la rete le cose sono cambiate. «Gli strumenti tecnologici hanno tolto agli enti sociali il ruolo di intermediazione tra donatori e bisogni. Questa disintermediazione ha fatto nascere il personal fundraising di vip e aziende». Ma come fanno questi nuovi attori della donazione ad andare a intercettare i donatori? «Nasce così il crowdfunding, quindi il fundraising delle piattaforme. Realtà che oggi sono sempre più neutrali e appartengono ai soggetti più disparati. Esistono grandi piattaforme estrattive capitalistiche. Esistono una pletora di opzioni gigantesca che ha creato un mercato mostruoso». Quello che manca invece è un contesto regolatorio che aiuti a evitare i casi Malika. «Fatto salvo che i donatori dovrebbero chiedersi perché e a chi donano», continua Venturi, «al netto di questo dalla riforma del Terzo settore sono previste delle linee guida sulle donazioni che non sono state emenate. Quindi una cornice di soft law che aiuterebbe a dare una forma normativa leggera dell'ambito. Per finire serve che le piattaforme si assumano anche una resposnabilità nel controllo e nella garanzia delle raccolte che ospitano».

Il tema della disintermediazione è sempre pià centrale nell'ambito del fundriasing anche secondo Valerio Melandri, direttore del Master in Fundraising per gli Enti Pubblici e il Nonprofit, «tanto che gli dedicheremo una plenaria al prossimo Festival del Fundraising», sottolinea, aggiungendo che un altro grande tema è «l'educazione al dono delle persone, serve una forte opera culturale».

Secondo Melandri ci sono sei questioni che vanno chiarite per aiutare le persone a donare meglio.

In primo luogo «va completamente cambiato il paradigma: bisogna smetterla di donare ai progetti e cominciare a donare per i costi generali. È ora di finire di donare alle Malika ma dare i soldi alle organizzazioni che, in questo caso, fanno lotta alla discriminazione di genere. Un uomo saggio non dona per il particolare ma per il generale».

Il secondo punto «è scegliere le organizzazioni che tentano di risolvere i problemi nel lungo periodo, non quelli che cercando di gestire le emergenze. Un conto è risolvere il problema di quella donna che ha un tumore al seno, altro è investire nella ricerca al tumore al seno».

Terza questione: «capire la differenza tra chi fa servizi per risolvere i problemi di oggi e chi fa ricerca per risolvere i problemi per sempre. È chiaro che è più facile da vendere chi fa cura piuttosto che ricerca. Ma il tema è chiedersi se vogliamo aspettare che qualcuno si ammali per poi farlo guarire o evitare che si ammali».

Per Melandri il quarto tema è «la necessità di smettere di seguire il sentimento e usare la ragione. C'è un tema culturale enorme relativo ai donatori. Il mio prossimo libro è dedicato proprio a questo e sarà titolato “Come si dona”. Quando qualcuno di noi deve comprare un bene non compra nel negozio sotto casa perché è un amico, ma cerca il miglior rapporto qualità prezzo, la migliore offerta del mercato. Anche nel dono deve essere così».

Il quinto e ultimo aspetto fondamentale è la fidelizzazione. «Nel dono dobbiamo cominciare ad essere leali e fedeli. Scegliere una organizzazione e una causa e sostenerla negli anni. Saltabeccare da una causa all'altra, da un ente all'altro, è rischioso e poco utile», conclude Melandri, «La scelta dell'organizzazione da sostenere deve essere come la scelta della casa. Nessuno compra il primo appartamento che gli viene proposto. Si scegli dopo aver vagliato tute le opportunità del mercato. Lo stesso vale per le donazioni».

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