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Il caso Jan Palach è un requiem per gli intellettuali italiani
L'indignazione è diventata un metodo molto praticato dagli opinionisti italiani per trasformare ogni dibattito in polemica. L'ultimo caso è legato al nome di Jan Palach, lo studente che si diede fuoco 50 anni fa, per protestare contro l'omologazione culturale e il "chiassoso silenzio" degli intellettuali di allora
di Marco Dotti
Ci voleva la polemica su Jan Palach per mostrare ancora una volta all'Europa il provincialismo in cui versa il nostro Paese.
Solo il brusio dell'indignazione online ha disturbato il silenzio quasi generale (tra le poche eccezioni, Alessandro Gnocchi e Dario Fertilio su Il Giornale) sui cinquant'anni dalla morte dello studente di filosofia che, il 16 gennaio del 1969, si diede fuoco nella praghese Piazza Venceslao, davanti al Museo Nazionale, centro simbolico della Cecoslovacchia occupata l'estate prima dai carri armati sovietici.
Tutto, come da miglior tradizione provinciale, nasce in forma reattiva. La reazione, stavolta, è a un concerto-tributo a Palach, patrocinato dalla provincia di Verona, dove saranno impegnati gruppi della micro-galassia di destra. Palach trasformato, suo malgrado, da una parte e dell'altra, in un feticcio. Pronto a un nuovo rogo di violenza e convenienza,
Così va il mondo? Non proprio. Così, casomai, va il "nostro mondo", ossia la provincia italiana. Dalla Repubblica Ceca, in queste ore, arrivano infatti notizie di studenti che manifestano e chiedono che il nome di Palach, figura emblema dell'antitotalitarismo, non venga associata a ideologie o pseudo-ideologie. Ma. soprattutto, non venga banalizzato.
Pessima figura per il nostro Paese. Ancor peggiore, però, è l'immagine che danno di sé i nostri intellettuali, pronti a brevettare mediocri fascistometri e a sbraitare su Visegrad, salvo poi "normalizzare" ogni riflessione critica di spessore. O forse lo scopo è proprio quello: normalizzare.
Eppure, il gesto suicida di Palach fu proprio questo: una rivolta della speranza contro la normalizzazione messa in atto dall'allora capo del governo della Gustáv Husák e dalla sua pletora di pseudo-intellettuali (anche italiani).
Più che la Storia, la microstoria, ossia la vita minuta, ci spiega le cose. Ecco la cronologia delle ultime ore di Palach:
16 gennaio 1969, ore 8: Jan Palach raggiunge la casa dello studente di Spořilov, dove scrive la brutta copia e quattro varianti della sua ultima lettera, firmata “Torcia umana n°1”
16 gennaio 1969, ore 11: Jan Palach esce dal collegio, compra francobolli e una cartolina che spedisce con le tre varianti della lettera d’addio.
16 gennaio 1969, tra le 11 e le 12.30: Jan Palach arriva in via Na Poříčí 22, compra due recipienti di plastica, li riempie di benzina in via Opletalova 9 e si dirige in Piazza San Venceslao
16 gennaio 1969, ore 14.25: Jan Palach raggiunge la fontana ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, si cosparge di benzina e si dà fuoco.
16 gennaio 1969, ore 14.45: un’ambulanza del Ministero degli Interni lo porta alla Clinica di Chirurgia plastica in via Legerova.
17 gennaio 1969, tra le 10.30 e le 11: riceve la visita della madre e del fratello in ospedale.
17 gennaio 1969, mattina: la psichiatra, dott.ssa Zdenka Kmuníčková, intervista Jan Palach, registrando la loro conversazione.
19 gennaio 1969: Jan Palach riceve la visita in ospedale della conoscente Eva Bednáriková e dell’attivista universitario Lubomír Holeček, che poi diffonderanno il suo presunto ultimo messaggio.
19 gennaio 1969, ore 15.30: Jan Palach muore nell’ospedale di via Legerova.
I funerali di Palach furono seguiti in silenzio da oltre seicentomila persone. La sua tomba si trasformò, ben presto, in meta di pellegrinaggi altrettanto silenziosi che continuarono anche quando il regime traportò la sua salma in un piccolo cimitero di provincia.
«Vorrei segnalare – leggiamo nella "Proposta" del 6 settembre 1973, redatta dal vice-comandante dell’Amministrazione centrale della Polizia di Stato di Praga Magg. Karel Kupce per il trasferimento della tomba di Jan Palach- la spiacevole situazione che viene a crearsi costantemente in occasione di diversi anniversari attorno alla tomba di Jan Palach al cimitero di Olšany. Il luogo è punto di ritrovo di individui anti-socialisti e ostili, inclusi visitatori stranieri provocatori, muniti di visto turistico. È stato così anche quest’anno, in occasione del 5° anniversario dell’intervento delle forze alleate del Patto di Varsavia per aiutarci a fronteggiare la controrivoluzione: in questo luogo si svolgono, in varie modalità, manifestazioni contro l’attuale governo. Ogni giorno sia visitatori stranieri che nostri cittadini tengono una condotta tale da rendere necessaria una soluzione in accordo con le nostre leggi».
Altri tempi, altra consapevolezza. O forse no. Di certo non basta un appello sul solito portale web, per coprire il vuoto intellettuale che caratterizza oramai quasi ogni discussione italiana. Un vuoto in cui, con una loro iniziativa, ovviamente deprecabile. si sono abilmente infilati i gruppuscoli identitaria e gli organizzatori del concerto veronese. Sapendo che basta veramente poco, oramai, per accendere l'indignazione reattiva degli impegnati/indignati da tastiera.
Grave? Certo. Ma gravissimo è che qualsiasi imbrattatore di muri possa oramai dettare l'agenda intellettuale di un paese. Quando questo accade, ogni dibattito diventa polemica. E nella polemica, si sa, la ragione è di chi urla più forte. Il conformismo intellettuale è, da sempre, il viatico della "normalizzazione". Proprio il contrario di quanto il gesto di Palach prese ben preso a simboleggiare.
W Jan Palach, nonostante tutto. Nonostante noi.
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