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Il caso di 48 sudanesi rimpatriati dall’Italia. Manconi: “Quali garanzie per la loro incolumità?”
Prelevati a Ventimiglia, sono stati imbarcati da Torino Caselle per Khartoum. Frutto del recente accordo di riammissione tra Italia e Sudan? "Ma nel paese africano la tutela dei diritti umani non è garantita in alcun modo", sottolinea il senatore e presidente di A buon diritto. Anche Amnesty esprime preoccupazione e chiede chiarezza al Governo
Sono 48, e con tutta probabilità atterreranno tra poche ore a Khartoum, nella città che molti mesi fa, se non anni, avevano lasciato per sperare una vita migliore altrove, dove i propri diritti fossero garantiti. Stiamo parlando delle persone che con un volo diretto dall’aeroporto di Torino Caselle (le prime informazioni davano come partenza Malpensa, poi il cambiamento di programma), dopo essere state fermate al confine con la Francia o nelle vie della città frontaliera di Ventimiglia, sono oggetto di un rimpatrio verso il Paese d’origine. “Ho presentato oggi un'interrogazione urgente per chiedere chiarimenti a proposito del fatto che si stanno rimpatriando dall'Italia decine di migranti sudanesi, senza che vi sia alcuna garanzia sulla loro incolumità. In Sudan, com'è noto, la tutela dei diritti umani non è garantita in alcun modo. Motivo per cui, nell'ultimo anno, molti cittadini di quel paese hanno chiesto protezione all'Italia e all'Europa, ottenendola nel 60% dei casi”, annuncia Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto e senatore del Pd. “Alla luce del grande sforzo fatto per accogliere e tutelare i profughi e i fuggiaschi che attraversano il Mediterraneo, non possiamo correre il rischio di rimpatriare nessuno senza adeguate garanzie sulla sua vita. Fosse anche una sola persona. Chiedo, di conseguenza, che la situazione individuale di tutti i cittadini sudanesi destinati a essere rimpatriati venga riesaminata col massimo rigore”.
A inizio agosto 2016, dopo una missione governativa italiana a Khartoum, è avvenuta la firma di un accordo tra Italia e Sudan tra i cui punti, oltre alla formazione in materia di forza pubblica, ci sarebbe anche la collaborazione in materia di migrazioni. Ma stiamo parlando di un paese che è nella lista nera dei diritti umani violati persino per l’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati. Di certo il caso di rimpatrio collettivo sarebbe il primo di tali dimensioni e potrebbe avere conseguenze legali come avvenuto in passato, basti ricordare la condanna subita nel 2015 dallo Stato italiano per il respingimento di migranti tunisini quattro anni prima. “Con tale azione l’Italia diventa complice di tutte le violazioni di cui sarà condannato il regime sudanese”, sottolinea l’avvocato esperto di politiche migratorie Alessandra Ballerini, referente anche per la Caritas di Ventimiglia per quanto riguarda la situazione in atto nel paese ligure, dove sono attualmente presenti circa 300 profughi. Pippo Civati, deputato ex Pd ora nel gruppo misto e capofila di Possibile, denuncia come "fatto gravissimo la deportazione dei 48 migranti sudanesi", e assieme al deputato Andrea Maestri e all'europarlamentare Elly Schlein dice: "Vigileremo e non esiteremo a denunciare, sia in sede politica che, ricorrendone i presupposti, in sede giudiziaria i responsabili di una simile gravissima condotta. Chiediamo che il Ministro Alfano chiarisca immediatamente i fatti e fornisca la prova della legittimità dell’operazione,
Se fino a poche giorni fa si parlava di un "Piano Gabrielli" (dal nome del capo della Polizia) per "decomprimere la situazione a Ventimiglia, con trasferimenti in altre zone d'Italia", ora i trasferimenti sono verso l'estero. E anche Amnesty international esprime preoccupazione per il rimpatrio in atto: "L'Italia sta deportando queste persone in un paese dove alcuni gruppi corrono un rischio concreto di gravi violazioni dei loro diritti umani, sulla base di un accordo di riammissione il cui contenuto non è chiaro", si legge nella nota di Amnesty. “A questo proposito, l'associazione ha chiesto chiarezza in merito all'accordo di riammissione recentemente stipulato tra il governo italiano e quello sudanese e in particolare alle garanzie a tutela delle persone riammesse. Non conosciamo l'identità delle persone rimpatriate, ma temiamo che tra esse possano esservi persone provenienti dal Darfur o altri individui a rischio di refoulement. L'organizzazione si oppone a qualunque rimpatrio di persone originarie del Darfur verso il Sudan – dove rischiano persecuzioni, repressioni brutali e altri gravi abusi. Secondo il diritto internazionale, l'Italia ha l'obbligo di non trasferire persone verso paesi dove corrono un rischio concreto di gravi violazioni dei loro diritti umani (conosciuto come obbligo di non-refoulement)”.
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