Cultura

Il cardinal Montenegro e quella telefonata del Papa mai arrivata

«La mia nomina cardinalizia? Improvvisa, pensavo fosse uno scherzo, ma non è detto che la nomina preveda un trasferimento». Dialogo con l'arcivescovo di Agrigento tra i venti nuovi porporati nominati ieri

di Daniele Biella

“La mia nomina cardinalizia? Improvvisa, pensavo fosse uno scherzo”. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, lo scorso 5 gennaio stava celebrando messa quando, dopo la comunione ai fedeli, un suo collaboratore “con cui ci facciamo spesso battute”, lo avvicina sull’altare e gli sussurra “diciamo che lei ora è Cardinale”. Come ha reagito? “Non gli ho dato peso”. Ma una volta in sacrestia, si è dovuto ricredere: “Ho acceso il pc, e ho visto i titoli delle agenzie. Ecco com’è andata”, racconta a Vita. Niente avvisaglie, nessuna telefonata da papa Francesco. “Nulla. Probabilmente gli è bastato condividere con me il sentimento di grande dolore nella sua visita a Lampedusa, il 13 luglio 2014, più uno scambio di idee durante un pranzo nella nostra diocesi con altri vescovi nel maggio precedente e alcune successive brevi udienze a Roma, nelle quali mi chiedeva sempre notizie dalla Sicilia”.

Don Franco (come viene chiamato da chi lo conosce e si firma nell’informalità), nato a Messina nel 1946, è da sempre in prima linea per quello che definisce “un territorio tra gli ultimi d’Europa, dove si sono incontrate povertà e accoglienza: la povertà di chi ci vive e la disperazione di chi arriva scappando da guerre e persecuzioni”. Ad Agrigento da 6 anni e mezzo, ma vescovo da 18 e presbitero dal 1969, attualmente Montenegro è anche presidente di Fondazione Migrantes e della Commissione episcopale della Cei per le migrazioni. Dal 2003 al 2008, inoltre, è stato alla guida di Caritas italiana. La qualità che più gli viene riconosciuta è la sobrietà nelle scelte di vita quotidiane, che include però una fermezza di spirito capace di gesti clamorosi di denuncia sociale: molti si ricordano il suo primo Natale come vescovo agrigentino, quando tolse dal presepe del Duomo i Re Magi sostituendoli con la scritta “respinti alla frontiera”, in aperto contrasto con le leggi italiane ed europee sull’immigrazione. “

Alcune delle salme dei migranti morti in mare sono state ritrovate con le mani giunte, in preghiera, altre con crocifissi o medagliette in bocca. S’immagina se dovessi giudicare come terrorista o delinquente chiunque entra nella mia chiesa solo perché non lo conosco e magari ha un colore della pelle diverso dal mio?”, sottolinea il religioso, “i flussi in atto oggi non si fermeranno, e chi porta avanti l’idea che la società non possa essere multietnica è un perdente, perché lo è già oggi. Quello che serve è un sistema di accoglienza serio per sconfiggere la sindrome della paura”. A fianco di impegno e solidarietà verso i migranti, naturalmente, tanta attività pastorale in prima linea nelle strade siciliane (su cui si muove soprattutto in scooter): nel 2009, dopo il crollo di una palazzina in provincia di Agrigento in cui persero la vita tre bambini e i loro genitori, don Franco si rifiutò di celebrare i funerali, che definì “previsti e annunciati” dall’incuria in una successiva lettera all’allora cappo della Protezione civile Guido Bertolaso, e si mise tra la gente, “per svolgere il ruolo di pastore in modo solidale e vicino alla famiglia”. Dal ieri è diventato  ufficialmente Cardinale, a Montenegro potrebbe essere chiesto di lasciare la sua terra natale: “non è detto che la nomina preveda un trasferimento”, spiega, “di certo per me rappresenta una marcia in più, e mi considero sempre al servizio. Non concepisco nel modo più assoluto lo stato sacerdotale come una carriera”.

In foto: Monsignor Montenegro (il secondo) durante una sua recente visita a Lampedusa

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