Formazione
Il carcere non è qui
Esperienza Parla Maria Grazia Grazioso, direttrice di Solliciano II
di Redazione
Ecco un carcere che serve a qualcosa, forse perché non ci somiglia affatto. Solliciano II, il primo istituto di pena a custodia attenuato nato nel 1991 da una costola del grande complesso fiorentino, assomiglia a un sacco di cose eccetto che a un carcere. I suoi ospiti sono circa cinquanta detenuti tossicodipendenti che hanno scelto di venirci volontariamente. Qui dove le celle hanno porte blindate rosse, ma le stanze assomigliano a delle stanze, i corridoi assomigliano a dei corridoi e gli agenti non seguono tutti i passi dei reclusi. Qui, dove ogni reparto ha la sua cucina,con la confusione che ti fa sentire a casa, la musica e tutto il resto e gli agenti tremano all?idea di essere mandati a prestare servizio in un carcere vero. Ad ideare tutto questo è stata Maria Grazia Grazioso, che dopo aver ?combattuto? nel carcere vicino (quando c?erano i politici e Solliciano era massima sicurezza) ha realizzato il sogno della sua vita: dirigere il carcere che non c?è.
«Nel ?91 l?amministrazione penitenziaria mi ha dato carta bianca per costruire un progetto sperimentale, l?idea di fondo è quella comunitaria» spiega la direttrice «qui, ogni detenuto è tenuto a seguire le regole terapeutiche dal momento dell?arrivo fino al rinserimento avvenuto e ad assumersi la responsabilità di ogni proprio atto. I detenuti arrivano quando sono a fine condanna perché vogliono cambiare e spesso ci riescono». A prima vista sembra che la direttrice abbia ragione. Le sezioni vengono tenute in ordine, pulite e curate dagli stessi reclusi, così come il giardino, la serra, gli spazi sociali. S, occhi arzilli, 3O anni o giù di lì, e tatuaggi sui bicipiti mostra come si fanno i bomboloni. «Ha fatto carcerazioni dure per molti anni, assumendo sempre droga finché è arrivato qui» riprende a spiegare la direttrice« era durissimo, un pezzo di ferro, abituato al linguaggio dei piccoli clan, alle leggi spietate del carcere. Oggi si è trasformato in un uomo sereno, si è rifatto le ossa e si è creato un?orizzonte futuro. Sembra poco, ma è moltissimo».
A Solliciano il trattamento è di casa e la parola carcere viene pronunciata raramente, si fa il possibile per far entrare il mondo e per far uscire i detenuti, in permessi premio, in semilibertà, per lavoro,ogni scusa è buona. E le cifre sono impressionanti: il 20% dei 400/500 ragazzi fra i 20 e i 35 anni che sono passati di qui ce l?hanno fatta. Dopo Sollicianino come è stato chiamato per distinguerlo da quell?immenso palazzone di Solliciano che ha riunito tutti i carceri di Firenze, ha aperto i battenti anche Eboli, l?unico carcere a custodia attenuata del sud, Empoli dove ci sono le detenute tossicodipendenti donne, Rimini, Rebibbia II, Torino, Giarra e il reparto verde di Secondigliano. Certo Solliciano II ha una fortuna che vale come un tesoro: il legame con il territorio che favorisce il rinserimento: i sert, gli enti locali, le associazioni di volontariato, le scuole. Qui le porte sono aperte a tutti: ai bambini della scuola materne che illustrano sui propri muri le favole scritte dai detenuti, le studentesse che vengono a fare corsi di dieta ed alimentazione e cucinano con i detenuti; le associazioni volontariato, l?Arci, il circoli culturali, le scuole.
Sembra impossibile perché, da quando è nato il mondo un carcere è sempre un carcere, ci sono le celle che si chiudono, i blindati che sbattono e gli agenti che controllano, ma l?aria che si respira a Sollicianino è diversa. A Cesare quel che è di Cesare. Un esperimento può anche riuscire prima o poi.
Sulla porta di uscita, un detenuto dice deciso alla direttrice « Sa cosa siamo noi dottoressa ? un sacco di roba!!» perché forse è vero che un carcere serve solo quando non assomiglia a un carcere. ?
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