Welfare

Il carcere, le battaglie, la famiglia… Natale in casa Caruso

I suoi amici li chiama fratelli e non compagni. Sogna di avere la mamma come ufficio stampa. Ha una fidanzata che "coi ’nno global nun c’entra".

di Ettore Colombo

L?intervistato della settimana di Vita è un ragazzo bruno, magro e simpatico che ha idee chiarissime in fatto di ingiustizie e diritti (degli oppressi come dei carcerati), meno in fatto di nonviolenza. Ma non è un buon motivo per sbatterlo in galera in qualità di pericoloso terrorista. Vero o no, Ciccio?
«Vedi, il fatto non è essere pacifici e non violenti, ma decidere di subire le ingiustizie o combatterle. Il mio errore principale credo sia sempre lo stesso: quello di ?mettermi in mezzo?».
Francesco Caruso, detto Ciccio, ha 28 anni ed è nato a Benevento. Figlio della buona borghesia del Sud , madre insegnante e padre dirigente delle Ferrovie, oggi entrambi in pensione («na? famiglia perbene, moderata, cattolica, pure troppo, va?»), un fratello avvocato più grande di lui («Chillo è l?unico che teneva o? permesso di venì in galera. In mezz?a chella munnezza non ce li volevo mammà e papà») e una fidanzata, Gina, di 24 anni. Gina è di Fisciano, vicino Salerno, va all?università ed è una compagna sì, ma che «co? i nogglobal non c?entra, ma che s?è presa un bello spavento quanno a? Digos è entrata in casa sua, co? e? puliziott? che facevano tutt? stò burdell, e pim e pum e pam…».
Francesco Caruso, leader o forse portavoce o forse semplicemente volto più noto o faccia più tosta (nel senso di un po? sbruffoncella) della Rete no global, del Network dei diritti globali, dei Disobbedienti o di come altro si vuole chiamare tutto quello che si muove nel movimento no global a sud del Volturno, l?hanno portato dritto dritto in galera, il 15 novembre, e ce l?hanno tenuto 18 giorni, fino al 3 dicembre. Oggi Francesco è libero e ha ripreso la vita di sempre: mentre l?abbiamo intervistato stava per andare alla fiaccolata per la pace e contro la guerra in Iraq indetta a Napoli da Emergency e Lilliput, sabato è a Genova, in prima fila, a protestare contro una nuova ondata di arresti per i fatti del G8 e contro quella che lui chiama«la nuova strategia della tensione», bombe alla questura comprese. Francesco Caruso, forse perché l?abbiamo visto più di una volta, tra un corteo e l?altro, forse perché ce l?ha proprio stampata la faccia del ?bravo guaglione?, tutto può sembrare tranne che un terrorista. O forse è davvero il capo di una nuova generazione di terroristi. Allegri, spiritosi e chiacchieroni.
Vita: Francesco, ci racconti ?le tue prigioni??
Francesco Caruso: Guarda, vuoi sapere qual è la cosa più terribile, quando t?arrestano? I trasferimenti. A me m?hanno fatto fare Trani-Viterbo-Palmi-Viterbo ed è stato un vero incubo: i cellulari della polizia sono mini celle di 50 centimetri per 50 dove manca tutto: aria, acqua, letto, cibo. Non avevo vestiti perché, al momento dell?irruzione della Digos a casa della mia fidanzata, mi hanno detto che mi portavano in questura, «per accertamenti». Io gli ho risposto: «Io ho studiato, marescià. Non si piomba in casa della gente di notte coi cappucci solo per un interrogatorio…». Comunque, quando sono arrivato a Viterbo, dopo i primi cinque giorni di cella d?isolamento nel supercarcere di Trani, mi è sembrato di essere arrivato al Grand hotel. Poi, certo, i materassi fanno schifo, sono di spugna, dormi in due in celle da uno, il rancio è una sbobba vomitevole e non sai che fare da mattina a sera. Ma la solidarietà tra detenuti comuni è qualcosa di splendido, che tocca il cuore: sono tutti lì, pronti a darti una mano, chi ti presta i soldi per fare la spesa, chi ti regala le sigarette, chi ti fa compagnia. Non solo non li dimenticherò mai quei ragazzi, ma ora voglio battermi per difendere i loro diritti, per l?amnistia e l?indulto, che aspettano da troppo tempo, e per le pene alternative al carcere, che vengono concesse col contagocce. Ai magistrati, come tirocinio, gli farei fare due notti in galera…
Vita: Sofri ti ha ammonito a non cadere vittima della retorica del carcere come martirio…
Caruso: Adriano ha ragione e mi ha anche mandato un bellissimo telegramma, come tanti amici d?infanzia e compagni (di scuola! Che hai capito…) che non vedevo da anni, ma che mi hanno tutti commosso. Ora finalmente capisco perché Sofri parla sempre e soltanto di carcere e carcerati: prima dicevo, «mamma mia e che palle, chiste», ora penso che vanno tenuti i riflettori sempre accesi, sulla galera. Poi, naturalmente, in carcere ho letto e ho scritto molto. I demoni di Dostojevskij, molto Calvino, e un libro bellissimo della biblioteca interna che parlava delle lotte per la casa a Napoli negli anni 70. In cella stavo con Pierpaolo, di Taranto, che non avevo mai visto in vita mia, ma con il quale secondo l?accusa volevo sovvertire lo Stato. I primi giorni ha avuto una crisi depressiva acuta. L?hanno riempito di farmaci e sedativi antidepressivi pesanti e inutili. Gli ho detto: buttali nel cesso. È stato subito meglio. Ha solo 24 anni, è orfano e rischia di perdere il posto di lavoro con il quale mantiene tutta la famiglia. Non mi sembra un grande atto di giustizia. I detenuti, a Viterbo, ci hanno accolto con lasagne al ragù e spaghetti alle vongole. Dopo giorni di acqua colorata e finto brodo, è stata una festa. Il carcere in Italia segue un modello perverso, ottocentesco, che non rieduca a nulla.
Vita: Francesco, ma tu ce l?hai degli amici normali, una vita normale, un lavoro normale?
Caruso: Sì, certo: ho gli amici d?infanzia, quelli con cui giocavo a pallone, e che mi hanno scritto tutti, ma vedi, una delle caratteristiche più belle della mia generazione è proprio quella di saper mischiare politico e privato, pubblico e personale. Fare movimento, stare in un centro sociale, vuol dire anche avere degli amici. Poi ho amici come don Vitaliano, che mi costringe a entrare in chiesa, anche solo per ascoltare la predica, o i ragazzi della rete Lilliput con cui sono andato in Palestina a portare aiuti e che ho incontrato di nuovo, dopo Genova, a Napoli e a Firenze, una ricchezza per tutto il movimento perché creano valore aggiunto e ci aiutano a valorizzare le differenze, a mischiare vite. Ecco perché non ti devi stupire se le mie ?lettere dal carcere? le ho indirizzate a ?fratelli e sorelle?: vedi, noi siamo troppo giovani per aver vissuto il clima del comunismo. Anche un lavoro ho e avevo anche vinto una borsa di studio, dopo la laurea in Scienze politiche presa a Bologna, ma preferisco non parlarne tanto perché quelli di An già me l?hanno fatta perdere…
Vita: Che Natale passerai quest?anno, Francesco?
Caruso: Credo che tornerò dai miei, a Benevento, come da tradizione. Sai, mia madre ha passato una vita a dirmi che ero uno scapestrato, un matto, e invece ora ha riscoperto suo figlio. Ecco perché a Natale, quando faremo il classico pranzo di famiglia, pure l?intervista a Vita me la voglio leggere a casa, con mammà e papà, che un giornale così gli piace. A mio padre sarà più difficile fargli capire certe cose, ma mia madre già m?ha detto: figlio mio, se fai più il bravo, t?ho faccio io l?ufficio stampa…

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