Welfare

Il carcere di Pianosa si trasforma in set

L'ex penitenziario dei boss mafiosi fa da scenografia a Nella terra di nessuno di Gianfranco Giagni. Che rischia la censura perché racconta un mondo disumano

di Antonio Autieri

Anni ’80. Un uomo politico, sequestrato da un’organizzazione terroristica, confessa sotto interrogatorio (registrato da una telecamera amatoriale) una storia di tangenti in grado di provocare un terremoto politico, prima di morire di infarto sotto gli occhi dei suoi rapitori. La videocassetta scompare e diventa l’oggetto del desiderio di due terroristi nel frattempo finiti in prigione e delle forze dell’ordine che indagano sul sequestro del politico. Nella terra di nessuno, diretto da Gianfranco Giagni, è un thriller a tutti gli effetti. Ma nei mesi scorsi ha fatto discutere, e probabilmente lo farà ancora prima dell’uscita nelle sale italiane, all’inizio di maggio, per l’iniziale divieto ai minori di 14 anni deciso da una commissione di censura. Divieto poi annullato da un’altra commissione, dopo proteste, appelli e un ricorso dei produttori. Il film ha anche faticato a trovare un distributore, finché gli stessi produttori Andrea Deliberato e Antonio Fusco si sono “inventati” una casa di distribuzione, la Sharada, che comincia la sua attività “rischiando” su un tema forse ostico per il pubblico italiano: la condizione carceraria, che sembra spiegare le paure che il film ha suscitato dopo le prime uscite ufficiali (Nella terra di nessuno è stato presentato ai festival di Taormina e di Saint Vincent). Tratto da un romanzo di Nino Filastò (Tre giorni nella vita dell’avvocato Scalzi, uscito una decina d’anni fa) e interpretato, tra gli altri, da Ben Gazzara, il film attira in realtà lo spettatore in un trama da giallo classico per poi concentrarsi sulla condizione carceraria nella prigione (inventata) dell’isola di Cancelli. Nel carcere di massima sicurezza vigono regole durissime e disumane, sotto l’occhio vigile di un direttore (in realtà un po’ troppo caricato nei toni) che ostacola perfino i colloqui tra detenuti e difensori. In questa situazione già esasperata, nel carcere scoppia la rivolta dopo la morte di un detenuto, avvenuta in circostanze fortemente sospette. Rivolta che servirà a inasprire ulteriormente le condizioni dei carcerati, dopo l’intervento di corpi speciali, e che sarà l’occasione per tappare la bocca a un terrorista che sa troppo. «Il romanzo di Filastò», sostiene Giagni, «era ispirato a eventi autobiografici. Il mio film non ha come obiettivo l’indagine sociologica degli anni di piombo, ma il racconto di un giallo: volevo però che il clima rovente di quell’epoca si percepisse bene sullo sfondo». Il giudizio sul sistema carcerario (solo dell’epoca?) è impietoso: se chi “controlla” esercita il potere con disprezzo della dignità umana (non solo dei detenuti), anche fra i carcerati non c’è alcun tentativo di solidarizzare e prevalgono invece violenza e vendetta. Una curiosità: il film è stato girato nel carcere di massima sicurezza di Pianosa, in disuso da pochi anni, dove fino all’estate del 1998 furono reclusi i capi storici di Cosa Nostra Nitto Santa Paola e Michele Greco e, in precedenza, anche esponenti delle Brigate Rosse e del terrorismo nero. Fra le comparse hanno trovato posto anche cinque detenuti che vivono ancora sull’isola in libertà vigilata, oltre a molti agenti veri e addirittura al comandante della polizia penitenziaria di Pianosa.


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