Sostenibilità

Il cambiamento si governa se si ha un progetto

di Walter Ganapini

Più volte questo blog, anni fa, si è occupato della palese difficoltà mostrata dai nuovi governi locali (da Napoli a Roma, da Genova a Milano) nel dare prova di effettiva capacità di gestione delle macchine amministrative, delle aziende di servizi di loro competenza, dei rapporti con le Amministrazioni regionali e centrale. Constatare quella crescente difficoltà mi portò a scrivere, con ovvio rispetto delle persone, di ‘Sindaci a loro insaputa’, anche premettendo quanto chiaro mi fosse lo stato deprimente della finanza locale, per di più nel pieno di una epocale crisi economica (e ambientale) globale.

Trent’anni di esperienza in campo da ‘civil servant’ esigevano comunque che cercassi di sottolineare come la percezione in me progressivamente dominante fosse quella di una palese carenza di ‘progetto di cambiamento’, uno dei cui effetti collaterali diventava l’elenco di ‘morti e feriti’ in quelle esperienze  municipali, da Lucarelli e Mattei a Napoli fino a Boeri e Guida a Milano. Non sono politologo, anche se avrei qualche idea da mettere sul piatto circa la matrice culturale e politica del fenomeno. Non sono un economista, ma in un’ “Agenda per il governo dell’ambiente” pubblicata molto tempo fa nel blog chiarivo come, oltre al taglio di spese militari e per opere ‘grandi’ solo per i ‘muniti’ di accesso alla ‘mangiatoia’, fosse necessario esprimere protagonismo efficiente nell’utilizzo pieno di ingenti risorse comunitarie sin qui solo marginalmente (e spesso inappropriatamente) utilizzate, così come fosse urgente  riorientare gli assi della ‘liquida’ Cassa Depositi e Prestiti verso le vere priorità per l’unico sviluppo di qualità possibile, dalla manutenzione del Paese alla promozione della innovazione e della efficienza. L’aggravarsi conclamato della citata difficoltà mi spinge a riproporre, nel blog, una riflessione su una delle mie esperienze in campo, quella che forse mi ha maggiormente forgiato.

 
Un ambientalista al governo di una grande città [1]
[1] In “Urbanistica Informazioni” 149 Sett./Ott.1996. Intervista condotta dalla Prof.ssa Corinna Morandi, docente presso il Politecnico di Milano. Dedicato a Ercole Ferrario.

Walter Ganapini è dal luglio del 1995 Assessore all’ambiente del Comune di Milano. E’ entrato a far parte della giunta come tecnico con specifiche competenze ed esperienze di ricerca e di lavoro nel campo delle attività di risanamento ambientale. Ganapini è tra i fondatori di Lega Ambiente. La sua nomina è avvenuta in un momento di acutissima crisi delle condizioni ambientali della città, una crisi che investe tutti gli elementi dell’ecosistema (acqua, aria, suolo). Ma una vera situazione di emergenza è stata determinata lo scorso anno dall’impossibilità di smaltire i rifiuti solidi urbani nelle discariche dell’hinterland, anche per il rifiuto di alcuni comuni di continuare ad accogliere la spazzatura del capoluogo. Sulla scorta di questa emergenza rispetto alla quale sono stati fatti notevoli passi avanti con l’avvio della raccolta differenziata, prima sperimentata in alcune zone e gradualmente estesa a tutta la città – secondo gli ultimi dati la quota di Rsu avviati alla raccolta differenziata è del 35% – sono state affrontate secondo un programma organico altre questioni che da anni attendono una soluzione, prima fra tutte la depurazione delle acque.

C.M.: Quali sono stati i contenuti posti come prioritari nel governo della città in questa, per lei nuova, esperienza amministrativa?

W.G.: Nella cultura ambientalista è da tempo chiaro che è necessario farsi carico di tematiche di governo per passare dalla fase classica di denuncia dei problemi a quella progettuale e gestionale. Quindi, per quanto questa esperienza sia assolutamente breve nel tempo e molto particolare, non avevo dubbio che l’ambientalismo dovesse misurarsi in concreto coi problemi conseguenti alla trasformazione dei modi di produrre, di consumare e di vivere e ho sempre avuto attenzione, in tutta la mia vita professionale e di ricerca, alla costruzione di squadre di persone che fossero allenate a confrontarsi con la realtà. Da questo punto di vista sono particolarmente felice che numerose persone con cui ha lavorato in questi anni siano in punti di responsabilità di governo. Qualcuno parla di lobby di Lega Ambiente, ma in realtà se non si vuole lasciare la gestione della cosa pubblica a chi ne ha fatto strame, le persone competenti debbono sapersi far carico dei problemi del governo. Sul piano della attitudine alla sostenibilità come modello di sviluppo la situazione milanese è segnata da un portato ventennale disastroso: comunque si voglia affrontare il problema – analizzando il degrado ambientale componente per componente o guardando le principali figure che ineriscono il governo sostenibile dello sviluppo – essa si presenta non allineata sui modelli europei. Il programma di partenza che mi sono dato aveva alcuni punti fondamentali. Il primo consisteva nel mettere in cantiere, nell’ottica delle migliori esperienze internazionali e della Carta di Arlborg, la redazione dell’Agenda per il XXI secolo per la città di Milano come strumento programmatico per un confronto aperto, basato su un ascolto molto forte, capillare, della città e come strumento di integrazione delle politiche in funzione della sostenibilità. Lo scorso luglio mi era ben chiaro che la situazione dei rifiuti era totalmente insostenibile e che occorreva marciare con assoluta determinazione verso un modello di autosufficienza basato sulle migliori tecnologie disponibili per il recupero di energia dai propri rifiuti e sulla raccolta differenziata. A ridosso del tema rifiuti stava il tema acque, dal momento che Milano non solo è priva di depuratori, ma è in una situazione totalmente disastrosa sia sul versante degli acquedotti che sul versante delle fognature. C’era da applicare tutta la normativa sul rumore e c’era il tema molto importante della qualità dell’aria e la necessità che le politiche energetiche e di trasporto fossero mirate ad un abbassamento dell’inquinamento atmosferico, anche se l’inquinamento della componente aria, in particolare, non è determinato esclusivamente da Milano ma risente di una condizione comune all’area più industrializzata del paese. Mi era anche chiaro che avevo a che fare con una macchina burocratica fortemente disastrata, impoverita – per una forte volontà della cultura di Tangentopoli – di competenze, di autonomia e di indipendenza. Era anche chiaro che occorreva porre mano a una riforma consistente dell’Amsa (Azienda municipalizzata servizi ambientali) come strumento delle politiche in campo ambientale del Comune.

C.M.: A distanza di un anno quale bilancio si può trarre?

W.G. L’Agenda per il XXI secolo è stata messa in moto: ora deve partire il confronto con la città attraverso dei Forum tematici per arrivare alla redazione di una bozza di documento su cui aprire un ulteriore confronto e, entro l’anno, alla redazione dello schema di riferimento dell’Agenda. Per quanto riguarda i rifiuti, la situazione è largamente migliorata: il piano per l’autosufficienza approvato nel novembre dell’anno scorso ha retto alla prova dei fatti. Milano ha rivoluzionato i modelli di raccolta differenziata, nel senso che la quota dei rifiuti cittadini raccolti in modo differenziato è stabilmente sopra il 35%; le frazioni recuperate vanno al riuso industriale e si leggono già i primi effetti indotti in termini di occupazione: per quanto riguarda i rifiuti plastici, a Milano il Consorzio nazionale Replastic ha realizzato due nuovi stabilimenti per il riciclaggio dei materiali polimerici con cento nuovi posti di lavoro. Sono inoltre in funzione degli impianti mobili di emergenza che hanno consentito di evitare di andare in discarica con rifiuti indifferenziati, in coerenza con la normativa europea. Oggi siamo allo snodo della realizzazione dei tre interventi fondamentali. Il primo è l’impianto di compostaggio dei rifiuti organici domestici raccolti in modo differenziato, in corso di realizzazione a Muggiano. Quindi c’è l’entrata in funzione della più grande fabbrica italiana di riciclaggio e produzione di combustibili e fertilizzanti da rifiuti nell’area ex-Maserati. E’ un esempio di collaborazione tra pubblico e privato in una logica di assoluta trasparenza. La cultura industriale ha capito che stavamo lottando per la rottura di un monopolio non europeo, parassitario, legato ai gestori delle discariche: un pool di privati – due operatori italiani più una grande azienda tedesca ed una americana- investono 75 miliardi su quest’area dove si produrrà un migliaio di tonnellate al giorno di combustibile certificato per le centrali termoelettriche e circa 400 tonnellate al giorno di fertilizzante che servirà per il programma di bonifica della vecchia discarica del “porto di mare” alle porte di Milano. Abbiamo raggiunto un accordo con l’Enel in base al quale, via ferrovia, questo combustibile andrà nelle centrali a carbone dell’Enel medesimo. E’ poi in corso di aggiudicazione l’appalto per la realizzazione, al posto del vecchio inceneritore di Figino, di un impianto, ai sensi della normativa europea, che seleziona dai rifiuti la parte combustibile e la recupera sotto forma di energia elettrica e calore, che nello specifico servirà col teleriscaldamento il quartiere Gallaratese. A quel punto la città avrà raggiunto la piena autonomia. Comunque già ora Milano è in grado di gestire i rifiuti di Cinisello Balsamo, Cusano Milanino, Settimo Milanese e abbiamo firmato un accordo anche con alcuni comuni del sud milanese: vogliamo infatti invertire, in una logica di risarcimento, il vecchio schema secondo il quale la metropoli esportava in casa d’altri i propri rifiuti. Se Milano offre opportunità di lavoro, servizi informatici, telematici, finanziari ecc. a un hinterland molto vasto, potrebbe offrire a questo hinterland anche servizi ambientali. Un’altra delle logiche che si sono perseguite e che probabilmente porteranno a dei risultati in futuro è quella di rompere il tabù secondo il quale non si possono tentare operazioni di reindustrializzazione, anche a scopo ambientale, di aree dismesse, proprio per evitare rischi di operazioni al limite della speculazione o la realizzazioni di ipercentri commerciali che già hanno sufficientemente caratterizzato lo sviluppo delle periferie della nostra città. In tema di risanamento delle acque, con un’operazione estremamente difficile finalmente il 30 luglio la giunta comunale ha avviato le procedure per gli appalti per due dei tre depuratori che sono necessari per Milano, dopo una ricerca commissionata al Politecnico che ha permesso di quantificare le acque da trattare per potere definire gli obiettivi di depurazione: la seconda linea di Peschiera Borromeo per il settore est e l’impianto di Milano sud in zona 15.
Si tratta di impianti già progettati in un’ottica metropolitana e secondo un programma più ampio di riqualificazione paesistico-ambientale, con rimboschimento e realizzazione di attrezzature per le attività ricreative all’intorno. Parte integrante della politica delle acque è stata l’approvazione, in marzo, delle Linee guida per l’attuazione della legge per la gestione integrata delle risorse idriche nel territorio milanese. Lo stato delle fognature di Milano è assolutamente deprecabile: almeno un terzo dovrebbe essere rifatto, per vent’anni non si è fatta manutenzione. Siamo alme-no riusciti a portare all’attenzione dell’amministrazione questo tema, a ridargli centralità in termini di risorse tecniche e economiche. Per evitare nuove emergenze nell’approvvigionamento idropotabile della città si stanno realizzando nuovi pozzi e centrali, alcuni dei quali hanno aspettato sedici anni per il parere del Genio civile o della Regione. Anche sulla questione del risanamento delle acque stiamo cercando di introdurre delle logiche di rinaturazione: ad esempio la roggia Vettabbia nel sud Milano sarà oggetto di un prossimo intervento di questo tipo, proprio per evitare le solite logiche di tombinatura e realizzazione di nuove strade sopra i corsi d’acqua, in collaborazione con il Consorzio Milano Ricerche e con il coordinamento di Valeria Erba. In tema di tutela del territorio, un’altra questione che stiamo affrontando è quella dell’autodemolizione, che ha anche risvolti di tipo malavitoso. Ad un censimento un solo demolitore su ottantacinque è risultato autorizzato. Con la collaborazione della questura e della prefettura sono state individuate delle aree di proprietà comunale per mettere in moto un meccanismo di selezione di queste attività e rilocalizzarle in piccole aree attrezzate. Per il rumore, è partita una prima bozza di zonizzazione acustica che adesso è all’attenzione delle zone ed è stata realizzata una politica concertata antirumore per tentare di evitare i conflitti molto forti che sorgono tra cittadini, gestori di locali ecc. L’idea è di arrivare in futuro ad una sorta di valutazione di impatto ambientale preventiva della concessione di nuove licenze per locali pubblici. Un altro problema importante è l’inquinamento delle aree dismesse per il deposito di rifiuti tossici, come a Montecity (dove è stato scoperto un deposito di 43.000 tonnellate di terra contaminata da pesticidi e clorurati), nell’immensa area dell’ex-Sieroterapico (con enormi depositi di farmaci scaduti) o alla Bovisa sull’area dell’ex-gasometro: insomma anche su questa questione è stata verificata la mancanza assoluta a Milano, per molti anni, di controllo ambientale.

C.M.: Quindi è attraverso le politiche per l’ambiente che Milano può recuperare un ruolo di città leader a livello europeo?

W.G.: Milano ha bisogno di ridiventare produttiva nelle nuove frontiere, dalle biotecnologie all’informatica, dalle telecomunicazioni alla multimedialità. Quindi occorre una politica che incoraggi la propensione all’innovazione e delle risorse per reindustrializzare la cittá, che altrimenti va incontro a un processo di declino. Milano ha bisogno di qualità sociale e su questo bisogna dire che alcune cose sono state fatte, perché in un periodo di tagli drastici alla finanza locale sono state aumentate le disponibilità per servizi sociali e servizi alla persona, grazie allo sforzo dell’assessore G.M. Dente. Ha bisogno di qualità ambientale: in questa direzione vanno l’approvazione di un buon piano urbano del traffico, la preparazione del piano della mobilità, il miglioramento delle politiche energetiche. La qualità ambientale oggi è fattore fondamentale di competizione tra sistemi paese e tra sistemi regionali e metro-politani sui mercati globali. Quindi assieme alla propensione all’innovazione e alla qualità sociale si deve lavorare per una migliore qualità ambientale di Milano per consentire che la città, che è tradizionalmente la vera e unica porta d’Italia verso l’Europa consegua i parametri che oggi sono propri di Francoforte piuttosto che di Amsterdam o Barcellona. A questo scopo, complessivamente, sono dedicati 84 miliardi di investimenti che, faticosamente, sono riuscito a mettere in moto quest’anno.

C.M.: Quali sono stati in questo periodo gli alleati e chi ha opposto invece le maggiori difficoltà?

W.G.: L’attore straordinario è stato il cittadino milanese. Ho avuto una collaborazione fortissima da parte di Assolombarda, Unione del Commercio, Confesercenti, Confederazione Nazionale dell’artigianato. C’è stato un rapporto molto positivo col movimento sindacale nel confronto sui temi dello sviluppo della città.
Dall’altra parte, uno scontro fortissimo con i gruppi di interesse abituati al vecchio modo di gestire le questioni dello smaltimento dei rifiuti e del risanamento delle acque. Sul piano istituzionale, ho avuto un eccellente rapporto con la Provincia di Milano e con l’amministrazione centrale dello Stato e un’assenza di rapporto con l’amministrazione regionale. Molto buono è stato anche il rapporto con l’assessorato all’Urbanistica del Comune, anche con i funzionari. Determinante è comunque la ristrutturazione della macchina comunale e in particolare il rafforzamento e la riqualificazione del settore Ambiente del Comune, come è importante il coordinamento tra settori operativi per far fronte a questioni che coinvolgono diverse strutture come gli allagamenti delle strade o l’approvvigionamento dell’acqua potabile.

C.M.: Come intendete contribuire alla crescita di una cultura diffusa dell’ambiente?

W.G. Viene riservata la massima attenzione al rapporto con le scuole. Sulla questione dei rifiuti ci sono state riunioni con presidi e direttori didattici, il provveditore ci segue con estrema attenzione. Siamo impegnati nel recupero dei ritardi sulle operazioni di riduzione della tassazione alle scuole in funzione della raccolta differenziata. Si è cercato di avere nei limiti del possibile utili rapporti con le Università, in particolare Politecnico e Facoltà di Scienze ambientali. Era nata anche l’idea di realizzare una “cittadella dell’eco-design” coinvolgendo il corso di laurea di Disegno industriale, la Domus Academy e l’Istituto Europeo di Design in un’unica struttura da realizzare in un’area dismessa.

C.M.: Quali sono le alleanze politiche che hanno reso possibile questa esperienza am-ministrativa?

W.G.: A parte alcuni episodi marginali la cultura ambientalista ha risposto con grande sensibilità anche sul piano dell’iniziativa politica diffusa. C’è stata sempre la percezione dell’utilità dell’esperienza da parte di un vasto mondo afferente alla cultura cattolica e del volontariato. Sul piano più strettamente politico, è noto che a Milano siamo in una fase transitoria tra vecchio e nuovo. Il Polo aggrega approssimativamente il 48% dei consensi; ciò che si chiama Ulivo – a Milano non c’è l’Ulivo – arriva al 36°/o e la Lega Nord al 12°/o. L’intuizione che si è cercato di perseguire, stanti le garanzie di autonomia e trasparenza sul piano amministrativo e stante il fatto che non vi è dubbio che la Lega Nord ha da un lato forte radicamento popolare e, dall’altro, esprime problemi reali di questo Paese, è che potesse essere utile mantenere aperto un dialogo con questa forza politica nel merito delle azioni da portare avanti. Non c’è dubbio che la spinta secessionistica cavalcata da Bossi spiazza ogni possibilità, perché ovviamente insorgono altri spartiacque. C’è solo da augurarsi che il governo dell’Ulivo sappia dare le risposte giuste e tempestive ai problemi, veri, che vengono posti da tutta l’area settentrionale del paese. Altrimenti, che Bossi lo voglia o no, delle spinte di disgregazione prenderebbero piede autonomamente.

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