Cultura

Il cambiamento parte da dentro. Le aspirazioni sono la leva

Un libro a quattro mani di Paolo Venturi e Flaviano Zandonai offre una chiave originale per pensare il futuro del Terzo settore

di Giuseppe Frangi

Alla periferia di Reggio Emilia pochi mesi fa è stato fatto un intervento di arte pubblica di grande impegno e valore. Lo ha realizzato David Tremlett, artista inglese certamente tra i più sensibili e innovativi in questa tipologia di lavori. Il contesto era quello di un’ex fabbrica riconvertita a spazio progettuale per la didattica da parte di Reggio Children.
A Tremlett era stato commissionato un progetto per la facciata della fabbrica. Lui ha voluto allargarsi ai 13 grandi silos antistanti, trasfigurandoli cromaticamente con una equilibratissima variazione di verdi e di marroni chiari. Quando gli è stato chiesto il senso del suo intervento ha spiegato di aver voluto trasformare quei manufatti da oggetti “funzionali” a oggetti “aspirazionali” (da cui anche il titolo evocativo assegnato all’intervento: The Organ Pipes, le canne d’organo). Con la sua sensibilità di artista Tremlett ha evidentemente colto che la nuova destinazione d’uso di quel capannone industriale è legata proprio a stimolare dinamiche nuove nei processi educativi. “Aspirazione” quindi era la parola che andava liberata sia nella prassi degli operatori sia nei processi di crescita dei piccoli utenti.

Largo al desiderio

“Aspirazione” è un termine che ritroviamo nel sottotitolo del nuovo libro scritto a quattro mani da Paolo Venturi e Flaviano Zandonai: “Spazio al desiderio”. Il potere delle aspirazioni per generare innovazione e giustizia sociale. Quello di Venturi e Zandonai è un libro che mancava, importante in un momento storico come questo in cui come gli autori hanno scritto, «siamo giunti alla fine della golden age del non profit italiano». Il rallentamento però non è necessariamente uno stallo: bisogna saper leggere i segnali di trasformazione che vanno nella direzione di organizzazioni che sempre di più si concepiranno come «palestre di volontariati e attivismi in cui allenare soft e life skills ormai cruciali per una vita comune attiva, anche in campo lavorativo». Organizzazioni “generiche” non concentrate solo su «una focalizzazione sui bisogni come necessità e mancanza», con la conseguenza di «oscurare dimensioni di aspirazione… di autorealizzazione di sé con gli altri». Lasciar spazio al desiderio come enuncia il titolo è la premessa per generare innovazione, obiettivo che «va emancipato dal dominio della tecnica». Infatti «l’anoressia del desiderio depotenzia il cambiamento e l’innovazione».

Come fare innovazione

Oggi l’innovazione è un modello ideologicamente connotato, regolato da necessità produttive e sostenuto da una narrazione che in qualche modo ridisegna i desideri e le aspirazioni delle persone e li rende omogenei e allineati al sistema culturale ed economico dominante. Diventano così fattori di ansia e di frustrazione, perdendo il loro connotato sostanziale di sogno e di libera immaginazione del futuro.
Aspirazione d’altra parte è, storicamente, il fattore genetico di tutte le grandi esperienze del Terzo settore: aspirazione a una società solidale, ad una libertà di aggregazione sociale, ad uno sviluppo più in direzione cooperativa. Come si può quindi salvaguardare questo innesco fondativo in un contesto così omologante? Venturi e Zandonai nel percorso del libro colgono alcuni significativi segnali che fanno capire come ci sia consapevolezza di questa sfida, senza ricorrere ad astratte pianificazioni. Giustamente però gli autori spostano il locus of control di questo processo dall’esterno all’interno: all’interno delle organizzazioni intese nella loro dimensione materiale, che, come ricordano con un’efficace formula sintetica, è quella di essere «luoghi accoglienti e abilitanti per soggettività collettive». Le organizzazioni devono riscoprire la dimensione del sé, a partire proprio dalle dinamiche interne: liberare in tutti i soggetti che vi partecipano «la desiderabilità del cambiamento che rappresenta un upgrade decisivo in termini di innovazione». Aggiungo che è bene anche tenere gli occhi aperti, perché tante volte è dall’esterno che arrivano stimoli a riattivare questa consapevolezza di fondo. Le canne d’organo di Tremlett sono lì a dimostrarlo.

In apertura: L’intervento di David Tremlett a Reggio Emilia. 13 silos ridipinti e ribattezzati Organ Pipes, al fianco di un’ex fabbrica riconvertita a spazio di sperimentazione didattica di Reggio Children. Foto: Lorenzo Palmieri

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