Cultura

Il Cairo, quante bugie su quella strage

Tragedia dei profughi. Una testimone racconta la vera storia di quel 30 dicembre

di Chiara Brusini

Ha raccolto testimonianze di prima mano. E oggi racconta quel che è veramente successo all?alba del 30 dicembre scorso davanti alla sede del Cairo dell?Alto commissariato Onu per i rifugiati, quando la polizia ha sgomberato gli oltre duemila profughi sudanesi accampati. Vuole mantenere coperta la propria identità; da anni lavora in Egitto come cooperante per l?organizzazione Médecins du Monde, ed è stata a lungo consulente legale nell?ambito di progetti di assistenza ai rifugiati. «Hanno detto il falso su tante cose. Anche sulla contabilità dei morti. Che non sono 28 come riportato dalla stampa internazionale, ma 52». Maria -la chiameremo convenzionalmente così – ha raccontato a Vita il risultato della sua inchiesta sul campo. Vita: Come sono andate le cose davanti alla sede dell?Unhcr? Maria: A mezzanotte alcuni uomini della polizia e del governo egiziano sono andati a parlare con il gruppo dei leader della protesta: volevano caricarli su dei pullman e spostarli da quel parco. Hanno detto di aver parlato con il personale dell?Unhcr, che ha declinato ogni responsabilità lasciando carta bianca alle forze governative. È chiaro che dicendo al governo di fare «tutto ciò che era necessario» per risolvere la situazione, l?agenzia dell?Onu si è resa responsabile di ciò che accaduto dopo. Vita: Ovvero? Maria: La polizia ha iniziato a colpire i profughi con i getti degli idranti. Poi migliaia di agenti hanno fatto irruzione nel parco e hanno iniziato a picchiare con i manganelli. Il governo egiziano ha ammesso la morte di circa 10 profughi, so che in Italia si è parlato di 28 morti, ma posso dirle con certezza che le vittime sono state 52. Vita: Perché migliaia di profughi si erano accampati vicino alla sede dell?Agenzia Onu per i rifugiati? Maria: Erano da tre mesi nel Parco Mustafa Mahmoud proprio per protestare contro l?Unhcr, che aveva sospeso la concessione delle yellow card, i documenti che designano lo status di richiedente asilo, sostenendo che i profughi sudanesi non avevano lasciato il loro Paese per ragioni politiche. I profughi chiedevano il riconoscimento dello status di rifugiati e il reinsediamento in paesi terzi, soprattutto Europa e Usa. Vita: Perché l?Unhcr non voleva concedere questo status? Maria: In effetti le responsabilità dell?Alto Commissariato partono da lontano, dalla decisione di concedere in un primo momento lo status di richiedenti asilo per poi lavarsene le mani e sostenere che, visto l?accordo di pace del gennaio 2005, non c?è più ragione perché i profughi non tornino in Sudan. Ma chi è scappato dalla guerra civile ha grossa difficoltà a credere nella tenuta di quell?accordo. In ogni caso migliaia di persone erano accampate lì da tre mesi e da parte dell?Unhcr non c?è stato alcun tentativo di risolvere la situazione. Molti addossano tutta la colpa al governo egiziano, che in realtà si è trovato ad affrontare qualcosa di cui non era originariamente responsabile. Vita: Lavorando a contatto con i rifugiati aveva già riscontrato difficoltà nei rapporti con l?Unhcr? Maria: Sì, quando facevo assistenza legale ho aiutato molti profughi provenienti da Sudan, Eritrea e Somalia a prepararsi per i colloqui necessari per ottenere la yellow card, e ci sono sempre stati problemi. Nell?Alto Commissariato c?è troppa burocrazia, il personale che ci lavora non fa alcuno sforzo per comprendere la condizione in cui si trovano i profughi e non sembra interessato alle questioni legate ai diritti umani. Vita: Dopo i fatti del 30 dicembre ci sono stati cambi al vertice dell?Agenzia Onu? Maria: Non ancora, ma probabilmente ci saranno, e ce n?è davvero bisogno. Chi lavora all?Unhcr deve smetterla di comportarsi da burocrate governativo e iniziare a pensare in maniera diversa. E, soprattutto, considerare la grande responsabilità che l?Agenzia ha verso i rifugiati di tutto il mondo.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA