Sostenibilità

Il cacao nacional fa bene alla foresta e ai suoi abitanti

Progetti in corso/ Ecuador: il gruppo Kallari impiega contadini e artigiani in attività tradizionali, che portano sviluppo salvaguardando la biodiversità, di Elisa Cozzarini

di Redazione

«Lavorare con le piccole organizzazioni locali richiede molto impegno e tempo. Però ne vale la pena, perché la conservazione delle risorse naturali è possibile solo se si coinvolgono gli stessi proprietari delle terre da proteggere, in America Latina come in tutto il mondo. Il nostro successo in Ecuador non è dipeso né da me né dalle ong che hanno collaborato alla creazione delle cooperative Kallari». A pensarla così è la fondatrice, la biologa americana Judy Logback.

«Il gruppo Kallari esiste perché i leader delle comunità di agricoltori e artigiani quechua della foresta amazzonica hanno voluto impegnarsi per soddisfare i bisogni della loro gente e per le future generazioni». All?inizio, nel 1997, erano coinvolte circa 50 famiglie autoctone della provincia di Napo, in Ecuador.

Oggi sono più di 800 e producono il cacao nacional, presidio Slow Food per la biodiversità. La pianta, tra le prime coltivate dai maya in Sudamerica, ora è diventata quasi l?ultima, sopravvissuta grazie all?isolamento dell?area di Napo. In altre zone del Paese, infatti, il cacao nacional è stato sostituito da ibridi considerati più produttivi e resistenti.

Oltre che dal taglio della foresta e dalle coltivazioni intensive, il territorio è in pericolo anche per la presenza di giacimenti petroliferi. Gli agricoltori del consorzio Kallari stanno lavorando per dimostrare che il cacao, coltivato con metodi tradizionali, con le mani e il machete, può rappresentare una soluzione economica importante. Allo stesso tempo, evitando l?uso di macchinari e con la rotazione delle colture, si preserva l?ecosistema.

Le cooperative, poi, producono manufatti, anche questi venduti all?estero, in dodici Paesi, grazie alla rete commerciale sviluppata dal consorzio. «All?inizio abbiamo vigilato perché l?uso di piante per l?artigianato non danneggiasse la ricchissima biodiversità locale. Pensate che in soli 12 metri quadrati, la foresta amazzonica raccoglie una varietà di specie quasi maggiore che in tutti gli Stati Uniti», spiega ancora la Logback.

«Chiediamo agli artigiani di usare il maggior numero di piante possibile, ma in piccole quantità. Già ne usano più di 200, circa il 10% della biodiversità locale. Vorremmo arrivare al 25%, cioè circa 500 specie, per ridurre la pressione sulle singole varietà». Così i giovani quechua imparano a intrecciare ceste, fare incisioni, raccogliere cacao e caffè. Il tutto secondo la tradizione, ragazzi e ragazze insieme.

Il lato rosa dello sviluppo

Il progetto Kallari è stato uno dei tanti esaminati in Sudamerica, Africa e Asia da un network di cinque organizzazioni, tra cui il WWF, con sede in Danimarca. Obiettivo dell?analisi è dimostrare la necessità di includere questioni di genere, saperi, tradizioni, miti e cosmologie locali nella gestione delle risorse naturali. Spesso infatti sono aspetti sottovalutati nei progetti di cooperazione delle ong internazionali e, a volte, pure negli interventi di organizzazioni indigene e governative. E poi, di solito si conosce meglio il modo maschile di gestire le risorse rispetto al femminile, perché gli uomini, più che le donne, sono coinvolti nella pianificazione e realizzazione degli interventi finanziati dall?esterno.

Eppure, nei Paesi del Sud del mondo, le donne sono responsabili della metà della produzione di cibo. In alcuni Stati africani, arrivano a camminare anche dieci chilometri per andare a prendere l?acqua, mentre in India costituiscono il 75% della manodopera per la semina del riso, il 60% per il raccolto e il 33% per la trebbiatura.

Dai progetti analizzati dal network in Ecuador, emerge che le donne hanno molta voglia di impegnarsi nella gestione delle risorse naturali. In Amazzonia, però, esiste una netta divisione di ruoli e responsabilità. È compito femminile provvedere alle colture di sussistenza, accudire i figli e gli animali, dare una mano ai mariti per le coltivazioni dedicate alla vendita.

Gli uomini, invece, si occupano del taglio del bosco, del commercio, e partecipano attivamente all?organizzazione della comunità. Le donne, anche se presenti alle riunioni, non prendono decisioni. Ma grazie al lavoro, il loro ruolo è valorizzato e gli uomini iniziano a rispettarle per questo. E, quando si riesce a stabilire un equilibrio tra compiti maschili e femminili nella gestione di progetti di cooperazione, si arriva anche a cambiare i rapporti di genere. E gli uomini, soprattutto i più giovani, sono più disposti ad accettare di collaborare con le donne. Persino nei lavori di casa.

www.ignarm.dk

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