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Il Burundi sull’orlo di una crisi di nervi

Scontri, morti e arresti a Bujumbura all’indomani dell’annuncio della candidatura del presidente uscente, Pierre Nkurunziza. Le radio private burundesi, partner di VITA, non trasmettono più all’interno del paese. La sede della radio RPA, accusata di “alimentare il movimento insurrezionale dei manifestanti”, occupata da polizia e membri del governo. Ma non chiuderà. Timide reazioni della Comunità internazionale.

di Joshua Massarenti

L’ombra della guerra civile e del caos sta nuovamente alleggiando sul Burundi. Stamane centinaia di giovani sono scese nelle strade di Bujumbura per protestare contro la candidatura del Presidente uscente, Pierre Nkurunziza, alle prossime elezioni presidenziali previste in giugno. Subito dopo l’annuncio della candidatura, l’opposizione e la società civile avevano indetto una grande manifestazione per contestare la volontà del presidente burundese di correre per un terzo mandato, violando così l’Accordo di pace di Arusha firmato nel 2000 e che limita la funzione presidenziale a due mandati.

Secondi fonti locali raccolte dal sito d’informazione burundese IWACU, gli scontri che hanno opposto i manifestanti e le forze dell’ordine in vari quartieri della capitale avrebbero fatto sino ad ora tre morti tra i civili (a Ngagara, Cibitoke e Musaga), tutti colpiti dagli spari della polizia.

Secondo il vice-portavoce della Polizia, Pierre Nkurikiye, le forze dell’ordine sono ancora impiegate nei quartieri Nord della capitale, dove gli scontri sono stati tra i più intensi. Secondo la difficile ricostruzione fatta da IWACU nella sua diretta, i primi manifestanti si sarebbero radunati nei pressi del centro per marciare verso il cuore della capitale, ma sono stati subito dispersi dalle bombe lacrimogeni lanciate dalle forze dell’ordine. Le stesse scene si sono poi ripetute a Musaga, dove la polizia è stata accerchiata da giovani contrari ai tentativi di arresto di manifestanti. Nella difficile ricostruzione dei fatti effettuata da IWACU, atti di violenza, o comunque momenti di tensione, si sarebbero verificati nei quartieri di Buyezi, Cibitoke (un morto e quattro feriti), Buterere, Bwiza, Nyakabiga e Mutakura. Le tensioni hanno anche lasciato a spazio a scene sorprendenti come “gli abbracci calorosi tra alcuni poliziotti e manifestanti a Mutakura” oppure “gli applausi rivolti dai contestatori ai militari” (del campo di Muha), che sino ad ora non sono intervenuti nella capitale.

Una serie di fonti concordanti fra loro assicurano che le forze dell’ordine sarebbero invece infiltrate dai membri della temutissima milizia pro-governativa, Imbonerakure (che in kirundi significa “coloro che vedono lontano”). “Abbiamo chiesto di manifestare pacificamente e così è stato, ma la polizia e le milizie del partito al potere hanno aperto il fuoco sui manifestanti”, accusa Frodebu Leonce Ngendakumana, uno dei dirigenti dell’opposizione. Un’accusa subito contestata dal ministro dell’Interno, Edouard Nduwimana, che denuncia “l’appello alla rivolta di alcuni uomini politici e responsabili della società civile”.

Nel pomeriggio, la calma sarebbe tornata a Bujumbura, ma c’è da chiedersi quanto durerà. Probabilmente poco, visto che Vital Nshimirimana, il rappresentante legale del Forum delle organizzazioni della società civile (FORSC) e capofila del movimento “Stop al 3° mandato”, ha indetto una nuova manifestazione per domani mattina.

Intanto, dall’estero giungono notizie poco rassicuranti. Secondo IWACU, il governo burundese avrebbe fatto pervenire alle Missioni internazionali della Repubblica centrafricana (MISCA) e della Somalia (AMISON) una nota in cui chiedono il ritorno dei contingenti burundesi nel paese entro le prossime 72 ore. Contattato da IWACU, il portavoce dell’esercito burundese, il colonnello Gaspard Baratuza, afferma che non c’è stata nessuna informazione ufficiale riguardo un eventuale ritiro di questi contingenti dalla RCA e Somalia.

Una comunità internazionale poco reattiva

Finora l’ondata di repressione che si è abbattuta a Bujumbura non ha destato molte reazioni tra gli attori della Comunità internazionale. Tra Siria, Iraq, Libia o Nepal, gli spazi e il tempo concessi al Burundi sono pochi. Almeno per il momento. Gli Stati Uniti sono stati i primi a reagire esprimendo il proprio “rammarico rispetto alla decisione del partito governativo del Burundi di ignorare le disposizioni dell’Accordo di Arusha nominando il Presidente Pierre Nkurunziza come suo candidato per un terzo mandato presidenziale. Con questa decisione, il Burundi sta perdendo un'occasione storica per rafforzare la sua democrazia”.

Tra le poche personalità che si sono espresse ieri in Europa, c’è Cécile Kyenge, che in un’intervista rilasciata a Infos Grands Lacs (media partner di VITA), ha condannato la scelta fatta da Nkurunziza di candidarsi per un terzo mandato. “Dalla Chiesa cattolica all’opposizione, passando per la società civile e l’insieme della Comunità internazionale, ivi compreso i paesi della sotto-regione, tutti avevano definito questa candidatura una scelta sbagliata”. Candidandosi, il presidente uscente “mette in pericolo il consenso di Arusha che garantisce la pace” in Burundi.

Oggi su Twitter, la Presidente della Commissione dell’Unione Africa, Nkosazana Dlamini Zuma, ha chiesto “a tutti gli attori” burundesi “di rispettare l’accordo di Arusha, la Costituzione e la legge elettorale”. Zuma ha anche esortato (quando la repressione era già in atto) “le autorità burundesi di far prova del massimo ritegno e di proteggere la popolazione in seguito all’annuncio della candidatura” di Nkurunziza “per un terzo mandato”.

Le radio private ridotte al silenzio

Parallelamente, il regime al potere ha deciso di ridurre al silenzio le principali radio private del paese, tra cui Radio Publique Africaine, l’emittente radiofonica più seguita del paese. Secondo IWACU, alle 10h30 le trasmissioni di RPA, Radio Bonesha e Radio Isanganiro sono state interrotte all’interno del paese “per motivi di sicurezza”, ma i programmi rimangono accessibili sui loro siti. Alle 11h15, la polizia ha iniziato ad accerchiata la sede di RPA, raggiunta sui luoghi da tre ministri del governo – quelli dell’Interno (Nduwimana), della Comunicazione (Tharcisse Kkezabahizi) e della Sicurezza pubblica (Gabriel Nizigama) – con l’intenzione di chiudere la radio. Una volontà confermata dal Presidente dell’Osservatorio dell stampa burundese, Innocent Muhozi. E’ iniziato allora un lungo negoziato tra i ministri e il direttore della radio, Bob Rugurika, con la presenza dell’ex Presidente burundese, Domitien Ndayizeye, e sotto lo sguardo curioso di giornalisti burundesi e stranieri, nonché una folla di simpatizzanti di RPA rimasti fuori dalla sede.

“Non siamo venuti qui per chiudere la radio, ma per discutere”, ha dichiarato Nduwimana. Una dichiarazione accolta positivamente dal direttore dei programmi di RPA, Gilbert Niyonkuru, che ha salutato “il ministro dell’Interno per aver scelto di dialogare con la direzione della nostra radio, sospendendo de facto gli effetti del mandato del procuratore della Repubblica”, Arcade Nimubona, che accusa RPA di spingere i manifestanti alla rivolta. La RPA era stata inoltre accusata di seguire in diretta le manifestazioni, gettando benzina sul fuoco e spingendo i burundesi a fuggire dal paese. Al termine delle discussioni, la RPA ha accettato di sospendere la copertura degli eventi in diretta, denunciando il fatto di essere l’unica stazione radiofonica minacciata di chiusura.

Oltre ad essere la radio più ascoltata del Burundi, RPA (e il suo direttore Rugurika) sono molto temuti dal regime per le numerose inchieste realizzate in passate per denunciare i casi di corruzione e di bad governance che si sono verificati nell’entourage del Presidente Nkurinziza. Grande scalpore aveva fatto l’arresto di Rugurika con l’accusa di “concorso in omicidio” dopo aver diffuso sulla sua radio un’inchiesta sul massacro di tre suore italiane nel settembre 2014 in cui una fonte anonima denunciava il coinvolgimento dei servizi segreti burundesi.

RPA e Radio Isanganiro fanno parte di un’agenzia massmediatica (Agence Infos Grands Lacs) creata dall’ong Panos Grands Lacs (IPGL), con cui VITA ha firmato poche settimane fa una partnership triennale per la produzione di contenuti al servizio dei media dell’agenzia presenti in Repubblica democratica del Congo, Burundi e Rwanda.

Credito foto: Presidenza del Burundi

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