Mondo
Il buon safari di Campfire
Una ong gestisce la caccia alla selvaggina tradizionale in vaste aree. A beneficio della popolazione
La caccia può servire alla salvaguardia dell?ambiente. E persino alla ripopolazione della fauna. È la paradossale scoperta messa in pratica in Zimbabwe da Campfire, un?associazione che da una quindicina di anni cerca di conciliare lo sviluppo delle popolazioni rurali con la salvaguardia della fauna selvatica.
Tutto comincia a metà degli anni ?80, quando una comunità agricola, attraverso un suo organismo rappresentativo, il Consiglio distrettuale rurale, chiede al governo di poter gestire autonomamente le proprie risorse faunistiche. Fino ad allora, infatti, la fauna selvatica, di proprietà dello Stato, rappresentava per la popolazione locale solo un impedimento all?agricoltura e all?allevamento. La caccia era proibita, ma il bracconaggio e la distruzione sistematica della vegetazione per ricavare aree coltivabili erano spesso gli unici modi che la gente aveva per sopravvivere.
La situazione era particolarmente grave nelle ?communal lands?, le terre comuni create all?inizio del secolo quando nell?allora Rhodesia i coloni occuparono le terre più fertili del Paese escludendo la popolazione nera, che così si trovò relegata in terre aride e semiaride. Qui ancora oggi più di cinque milioni di persone, circa la metà della popolazione dello Zimbabwe, lottano per sopravvivere. Sono terre inospitali, che non riescono a sostenere agricoltura intensiva né pascoli e sono ricche solo di animali selvatici, che spesso distruggono le coltivazioni, predano il bestiame che tra mille difficoltà la popolazione tenta di allevare e rappresentano un pericolo anche per gli uomini.
Come trasformare la concorrenza fra uomini e animali in un?alleanza produttiva? Quando il governo concede l?autorizzazione alle comunità rurali di gestire le risorse faunistiche nasce, nel 1989, Campfire (Communal Areas Management Programme For Indigenus Resources). Il Programma di gestione delle aree comuni per le risorse indigene, ideato completamente da africani, nasce con lo scopo di coordinare i distretti rurali e di armonizzare lo sviluppo della popolazione con l?ecosistema, attraverso una gestione sostenibile della fauna selvatica.
L?idea è semplice: è la selvaggina l?uso del territorio più razionale dal punto di vista sia ecologico che economico.
Con Campfire le comunità cominciano a organizzarsi autonomamente nella gestione della fauna selvatica, puntando soprattutto sulla caccia e sull?ecoturismo. La maggioranza delle comunità decidono di vendere concessioni per safari di caccia a operatori turistici seguendo quote di abbattimento date dal Dipartimento dei parchi nazionali e della gestione della fauna. La gente si accorge che la ?vendita? di pochi animali ai turisti è molto più fruttuosa dell?abbattimento indiscriminato attraverso il bracconaggio.
Gli stessi animali che prima erano un ostacolo allo sviluppo economico cominciano a diventare vitali per lo sviluppo nei distretti rurali. I proventi ottenuti dalla gestione delle risorse naturali e faunistiche vengono ripartiti fra le famiglie delle comunità che aderiscono al metodo Campfire. Un recente rapporto stilato dal WWF ha stimato che il reddito delle famiglie che abitano le ?terre comuni? con Campfire ha avuto una crescita fra il 15% e il 25%. I guadagni ottenuti grazie all?afflusso di turisti, alla caccia, alla vendita di prodotti di artigianato e prodotti naturali ha garantito una forma di sicurezza alimentare contro le frequenti siccità che colpiscono la regione.
L?associazione Campfire, inoltre, reinveste le entrate in progetti di sviluppo per le comunità più svantaggiate. In questi anni sono stati scavati pozzi per rifornire i villaggi di acqua potabile, sono state costruite scuole e dispensari e sono state offerte opportunità di formazione perché la gente dei villaggi imparasse a realizzare e amministrare progetti in modo autonomo.
La flora e la fauna della zona è diventata un bene prezioso. Ha permesso lo sviluppo economico di una popolazione che, sin dall?inizio degli anni Ottanta, riusciva a sopravvivere a stento, con la necessità di continui aiuti alimentari da parte del governo.
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