Non profit
Il buco nell’ acqua
La privatizzazione che verrà e le ragioni del coro di no che arriva della società civile
L’ultimo tassello è il decreto 135, in fase di conversione.
E il bene pubblico per eccellenza diventerà, ancora di più, una questione di business. Vi spieghiamo cosa prevede
la norma. E, soprattutto, qual è la vera posta in gioco della grande battaglia sull’oro blu L’ora dei tre fatidici fischi è già segnata. 24 novembre. Novantesimo minuto di una delle partite più importanti per il destino delle risorse idriche del Belpaese. La partita dell’acqua. È l’ultimo giorno utile previsto dal calendario parlamentare per la conversione in legge del decreto 135/2009 sulla cosiddetta privatizzazione delle public utilities, la galassia delle società di gestione dei servizi pubblici locali che si occupano, soprattutto, del ciclo dei rifiuti, del trasporto locale su gomma e del servizio idrico. Entro questa data le forze di maggioranza di centrodestra, dopo aver fatto rete in prima lettura a inizio novembre al Senato, dovranno cercare di segnare anche alla Camera e incassare i tre punti, l’approvazione definitiva.
Un vero e proprio spartiacque, è il caso di dire, per un bene pubblico per eccellenza. Il provvedimento, va precisato, non tocca la proprietà dell’oro blu, bensì la gestione del servizio idrico integrato (acqua, fogna e depuratori). Già ora, del resto, esistono società private a cui è affidato il settore in alcuni territori. L’acqua, dunque, resta formalmente pubblica. Una prerogativa che è stata ribadita grazie a un emendamento al decreto del Pd. Il che non ha tranquillizzato affatto la vasta schiera degli oppositori del provvedimento.
Un business miliardario che, secondo il BlueBook 2009, solo in termini di investimenti previsti supera i 60 miliardi. Il punto è che gli eventuali soci privati potrebbero essere interessati più al “bottino” delle tariffe che alla spesa per gli investimenti. Quello dell’acqua, infatti, è un monopolio naturale. In questo settore, a dispetto dei richiami dei liberisti alla concorrenza, non c’è da scegliere fra più operatori come nel caso dei telefonini e dei treni. L’utente rischia pertanto di finire ostaggio del gestore. Sarà un caso se, strada facendo, sono usciti dal campo di applicazione del decreto 135 la distribuzione del gas e dell’energia elettrica, il trasporto ferroviario regionale e le farmacie mentre sono rimasti i servizi idrici? Dubbi che rinfocolano i timori di chi vede con sospetto l’ingresso dei privati. «C’è il rischio che il pubblico si ritrovi a gestire solo quello che non è appetibile per i privati o che si privatizzino i profitti e si pubblicizzino le perdite», osserva Francesco Ferrante, della segreteria di Legambiente. Contro il decreto si schiera compatto il Forum dei Movimenti per l’acqua, la rete associativa a cui aderiscono più di ottanta organizzazioni nazionali e più di mille comitati territoriali, che invita a sottoscrivere l’appello e la petizione per dire No al decreto (vedi a pagina 6).
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