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Il bonus bollette? Gli enti di Terzo settore lo volevano, ma hanno dovuto rinunciarvi

Pochissime le richieste pervenute per avere un contributo a fronte del caro bollette del 2022. Le cause? Non il disinteresse o la mancanza di bisogno ma il fatto che con quegli aiuti gli enti più grandi rischiavano di sforare il tetto degli "aiuti di Stato" e di perdere altre agevolazioni. Così in tanti hanno rinunciato. Le riflessioni di Luca Degani (Uneba Lombardia) e Vanessa Pallucchi (Forum Terzo settore)

di Sara De Carli

lampadina abbandonata in un prato

Il direttore amministrazione finanza e controllo di una grande Fondazione che gestisce servizi residenziali e semiresidenziali per persone con disabilità, quel giorno dell’estate 2023 se lo ricorda ancora. Una mattinata intera a compilare la domanda per il contributo per l’aumento dei costi dell’energia e allegare bollette del 2021 e del 2022, per poi accorgersi all’ultimo passaggio che il contributo in questione andava conteggiato fra quegli aiuti “de minimis” per cui un’organizzazione deve stare al di sotto di una certa soglia di contributi pubblici, oltre i quali scatterebbe un aiuto di Stato. «A malincuore, ho rinunciato. Solo per l’Irap le agevolazioni per noi valgono circa 160mila euro, è evidente che il tetto di 200mila euro sarebbe stato superato», spiega.

Che cosa sono gli aiuti de minimis

Il regime degli aiuti “de minimis” è una procedura dell’Unione Europea, volta a dare ai singoli Stati la possibilità di fornire dei supporti finanziari limitati a talune catergorie ma senza che questo distorca la concorrenza all’interno del mercato unico.  L’importo complessivo degli aiuti “de minimis” che uno Stato membro dell’Ue può concedere nel 2023, all’epoca della domanda per il contributo energia, era di 200mila euro nell’arco di tre esercizi finanziari e solo dal 1° gennaio 2024 questo limite è stato innalzato a 300mila euro in un triennio. In questi aiuti rientrano per esempio l’esenzione o le agevolazioni per l’Irap, i contributi per l’assunzione di giovani o le agevolazioni regionali per l’Irpef. Un’organizzazione che abbia qualche decina di dipendenti – come sicuramente sono quelle che gestiscono strutture residenziali per anziani e persone con disabilità, con decine e decine di posti letto, individuate come destinatarie del primo fondo a disposizione, quello da 170 milioni di euro in capo al ministero della Disabilità – quei 300mila euro di agevolazioni “de minimis” fa presto a raggiungerli.

Questo è certamente il primo elemento che ha portato diverse realtà a non chiedere il contributo energia che il Governo ha messo a disposizione. Non a caso, nell’elenco dei beneficiari, non c’è nessun “grande nome”, benché – bilanci sociali alla mano – nel 2022 rispetto al 2021 queste realtà per le bollette di luce e gas abbiano sostenuto maggiori costi anche dell’ordine di 1-1,5 milioni di euro.

«Confermo la problematica relativa alla non cumulabilità degli aiuti di stato. In particolare per la nostra fondazione avevamo già superato il limite massimo degli aiuti che potevamo ricevere nel triennio e pertanto non abbiamo fatto richiesta del contributo in oggetto», conferma il direttore generale di un’altra Fondazione che si occupa di anziani. Le domande non sono arrivate quindi non perché il salasso sulle bollette non ci sia stato, non perché gli enti non sapessero dell’opportunità, non perché di un aiuto non avessero bisogno ma perché hanno preferito puntare su un aiuto certo (ad esempio l’agevolazione relativa all’Irap) piuttosto che su uno incerto e limitato come questo, che sarebbe arrivato solo finché ci sarebbero state risorse a disposizione e per un importo tutto sommato piccolo rispetto all’aumento delle spese sostenute. Col senno di poi, il problema non sussiste: ma questo non si poteva saperlo prima.

37,4 milioni chiesti su 270 (circa) disponibili

Sorprendentemente poche: così sono state le richieste di contributo giunte da Enti di Terzo settore, enti religiosi civilmente riconosciuti e Ipab per avere un contributo energia sui due fondi distinti (che in verità erano anche di più, con una confusione iniziale sul fatto che uno stesso ente potesse o non potesse accedere a più fondi) gestiti dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dal ministero della Disabilità. Per far fronte dell’aumento dei costi dell’energia termica ed elettrica nei primi tre trimestri del 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021, il Governo aveva messo a disposizione 170 milioni di euro per Ets che erogano servizi sociosanitari e socioassistenziali in regime semiresidenziale e residenziale in favore di disabili e anziani (con un contributo massimo di 50mila euro a ente) e un secondo fondo da 100 milioni di euro per tutti gli altri Ets (con un contributo massimo di 30mila euro). Come abbiamo già scritto, le richieste approvate per il fondo di competenza della ministra Locatelli sono state 1.183 per un ammontare di 21.619.969,61 euro (pari al 12,8% dei 170 milioni disponibili), mentre quelle per il fondo di competenza della ministra Calderone sono state 2.642, per un importo da liquidare pari a 15.808.512,92 euro (il 16% dei 120 milioni che il Governo aveva messo a disposizione). E allora, che riflessioni fare?

Con questo contributo a fondo perduto lo Stato si è rivolta per la prima volta a soggetti “del vecchio sistema”, non abituati alle procedure necessarie per presentare queste domande.

Luca Degani, presidente Uneba Lombardia

«L’aumento dei costi energetici c’è stato eccome. Le risorse senza dubbio servivano, non è questo il punto. Proprio questa mattina la Luic ha presentato dei dati elaborati a partire da un campione di 107 Rsa, rilevando che nel 2022 rispetto al 2021 l’aumento del costo medio di un KwH acquistato è stato massimo fra agosto e ottobre 2022, con un +166%, +170% e +118%», dice Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, organizzazione di categoria del settore sociosanitario, assistenziale e educativo. «Con questo contributo a fondo perduto lo Stato si è rivolta per la prima volta a soggetti “del vecchio sistema”, non abituati alle procedure necessarie per presentare queste domande. Di fatto, questi enti hanno “tenuto in pancia” i maggiori costi: moltissimi hanno i bilanci in perdita anche per il 2022 e l’aumento del costo dell’energia è il primo motivo», ammette.

Lo Spid, le piccole realtà, le reti e la cultura del “facciamo da soli”

«Diversi fattori possono aver inciso nello scarso numero di richieste per il contributo energia. Uno di questi è il livello ancora basso, purtroppo, di digitalizzazione degli enti: lo Spid, in particolare, necessario per presentare la domanda, può essere un grande ostacolo per le organizzazioni più piccole e non solo in quest’occasione», spiega Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum de Terzo settore. «Spesso, poi, le attività degli Ets si svolgono presso altre strutture che offrono loro una sede: in tutti questi casi non è stato possibile per gli enti presentare domanda di accesso al fondo, visto che non sono intestatari delle bollette». Parte del problema poi sta nella «difficoltà nella circolazione delle informazioni»: non tutti, insomma, sapevano di questa opportunità. «Questo ha avuto un peso importante a mio avviso, soprattutto per le realtà che non aderiscono a una rete associativa», ammette Pallucchi.


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Per la portavoce del Forum «questo ci deve far riflettere innanzitutto su come aiutare il Terzo settore a non perdere occasioni importanti di ricevere sostegni economici e quindi su come sviluppare e migliorare i servizi a oggi esistenti. In altri casi, le reti associative hanno favorito la partecipazione a misure che prevedevano aiuti pubblici, raccogliendo le domande e svolgendo quelle pratiche burocratiche che per i soggetti più piccoli sono molto difficili da gestire: per il contributo energia in questione, però, non è stata utilizzata questa modalità che valorizza il ruolo e le competenze delle reti».

Ma l’ultima riflessione è di ordine culturale: «Credo che incida molto la scarsa abitudine del Terzo settore ad utilizzare contributi pubblici e a guardarli come opportunità da cogliere, come ha rilevato anche l’Istat a proposito delle fonti di finanziamento del non profit italiano. C’è probabilmente una sorta di sfiducia, di diffidenza degli enti nei confronti degli aiuti pubblici che li porta a sottovalutarne il ruolo. Contemporaneamente, è molto forte la percezione di sé in quanto realtà fortemente abituate a “rimboccarsi le maniche”, a portare avanti le attività e raggiungere i propri obiettivi con molto spirito di sacrificio».

C’è una sorta di diffidenza degli enti nei confronti degli aiuti pubblici. Un atteggiamento che è il risultato di politiche che non hanno mai considerato il Terzo settore protagonista nello sviluppo dei territori ma che oggi rischia di far perdere agli enti occasioni importanti di crescita

Vanessa Pallucchi, portavoce Forum Terzo Settore

Un atteggiamento, riflette Pallucchi, «che è il risultato di politiche che non hanno mai considerato il Terzo settore realmente protagonista nello sviluppo dei territori e che oggi rischia di far perdere agli enti occasioni importanti di crescita. Anche su questo, quindi, un cambiamento importante deve maturare nel Terzo settore stesso e il Forum lo sta promuovendo, per una maggiore consapevolezza della propria identità e del proprio ruolo, ma anche delle opportunità a disposizione».

Foto di Ashes Sitoula su Unsplash

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