Politica

Il blitz di Natale (fallito) della lobby dell’azzardo

Nel testo del decreto Cultura, al vaglio ieri del Consiglio dei Ministri, è ritornata la "pubblicità indiretta" delle scommesse. Il ministro Giuli ha fermato per ora la norma pro-gioco spinta dal senatore Lotito. Maurizio Fiasco (Alea): «Il senso di questa norma è quello di spalancare l'attrattività simbolica delle scommesse alla giovane età»

di Ilaria Dioguardi

Con il decreto-legge n. 87 del 2018 (convertito nella legge 9 agosto 2018, n. 96) venne introdotto un divieto assoluto per la pubblicità di giochi e scommesse, incluse le sponsorizzazioni e le forme di pubblicità indiretta. Ma nel testo del decreto Cultura, al vaglio ieri del Consiglio dei Ministri, è ritornata la “pubblicità indiretta” delle scommesse. Il ministro della Cultura Alessandro Giuli ha fermato, per il momento, la norma pro-gioco spinta dal senatore Claudio Lotito. «Sembra proprio che non bastino nemmeno quei 160 miliardi di euro del flusso di denaro puntato nel 2024», dice Maurizio Fiasco, sociologo, presidente dell’Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio-Alea.

Fiasco, può dirci cosa c’è dietro il “colpo di mano” tentato? Perché le lobby dell’azzardo vogliono la “pubblicità indiretta”?

L’economia dell’azzardo intrappola l’Italia in un gioco senza fine. Il refrain non cambia: la pubblicità è necessaria per canalizzare sulle scommesse autorizzate una quota che va ai siti illegali. Ma si ignorano i dati di fatto di prima del 2019: le valanghe di spot, sponsorizzazioni, alert che inducevano a scommettere seguendo in tv le partite (di football, di tennis, di basket ecc.) erano ininfluenti per inibire i siti illegali. Ed erano proprio questi ultimi ad avvantaggiarsi del continuo reclutamento di giocatori, soprattutto giovani. Quanto al controllo sul web e sulle reti televisive, comincio a sospettare che ci siano delle “entità” che impediscano allo Stato italiano di esercitarlo: nonostante l’evoluzione tecnologica lo consenta eccome!

Ci spiega meglio?

Prima della norma che ha vietato un’associazione esplicita tra scommessa ed eventi sportivi, era la normalità il martellamento sia sulle tv generaliste, sia sulle tv specializzate, sia ancora sulle piattaforme per seguire i match e gli eventi. Interpolando le partite con una catena di scommesse, si faceva strame della narratività dell’evento agonistico, uccidendo la sostanza della sportività: che è la competizione per la bravura, per l’abilità, per la prestanza. Tali valori erano oscurati da una manipolazione semantica, che recita così: “Scommettere è sportivo e lo sport è scommessa”. Indurre i giovani a tale percezione è l’obiettivo centrale dell’industria del gioco d’azzardo: per l’acquisizione di nuovi clienti di età la più bassa possibile. Ecco spiegata l’insistenza a far cancellare il divieto di pubblicità: potenziare l’attrattività simbolica delle scommesse per i giovani.

Cosa significa “pubblicità indiretta”?

Far passare per mera esposizione commerciale la quotazione delle scommesse. Si espone pubblicamente il match fixing: dell’esito della partita e, ancor più, di decine e decine di micro eventi che si verificano nei 90 minuti sul campo di calcio. Per il primo fallo laterale, per la prossima ammonizione, per il calcio d’angolo al termine di un’azione, per il rigore che verrà battuto ecc. Lo stesso vale per altri sport: l’esito di un game di un incontro di tennis, la squadra che segnerà un canestro mentre si svolge una partita di basket.

Qual è, dunque, la differenza con quel che è possibile finora?

Attualmente lo scommettitore può trovare le quotazioni solo accedendo con l’app dello smartphone al sito degli allibratori. Glielo consente, per l’appunto, la tecnologia digitale, che fa entrare nel sito della società dove gli appare il prospetto delle quote. Oppure gli arrivano le notifiche sul dispositivo delle possibilità di puntare, minuto per minuto. Anche questo è pubblicità, sia pur mascherata come “esposizione dell’offerta commerciale”.

Maurizio Fiasco

Qual è la modifica che, se fosse passato il testo del decreto Cultura, sarebbe stata fatta?

La “pubblicità indiretta”, ovvero con l’esposizione della quota, sarebbe giunta live, sugli schermi televisivi o sui display, a tutti gli spettatori, nel corso degli eventi. Senza bisogno di cercarla sui siti. Senza invitare apertamente, dicendo: “Scommetti”. Inoltre, come un product placement, si potrebbero cucire i marchi delle società di scommesse, ad esempio sulle magliette dei giocatori.

Il target di questa misura così richiesta dall’industria delle scommesse, diceva, è il mondo giovanile?

Sì, l’obiettivo fondamentale è incrementare il reclutamento delle fasce giovanili alla scommessa, con il potente equivoco semantico che lo sport è scommessa. Tacciono molti pedagoghi, non si pronuncia il garante dell’Infanzia. E che dire del “ministro dello Sport” Andrea Abodi? Dovrebbe propugnare il rilievo dei valori educativi, salutistici, di apprendimento delle regole, di dignità, di condotte onorevoli dell’agonismo. Un ministro che ha il mandato di promuoverne la circolazione e il rilancio della pratica effettiva: davanti al dato gravissimo e sconcertante di oltre un terzo di bambini e ragazzi che dal Covid a oggi hanno interrotto qualsiasi attività sportiva. Un ministro che, invece di trovare la strada per riconquistare le giovani generazioni ai campi di gioco, si fa megafono di un “attentato” vero e proprio allo spirito sportivo. Del resto, non sono solo le società del betting che se ne infischiano del benessere dell’età evolutiva.

Cosa intende?

Gli allibratori di scommesse reclamano un trattamento simile a quanto riservato all’industria degli alcolici e dei superalcolici, come anche alle multinazionali del tabacco. Queste ultime, in barba al decreto Sirchia del 2003, hanno ripreso tranquillamente a inondare di pubblicità i loro prodotti. Come? Distinguendo i dispositivi elettronici per le sigarette a tabacco surriscaldato dalle cartucce da inserire. È una marchiana ipocrisia: si sostiene che promuovere lo strumento sia diverso dall’offrire le ricariche. Sarebbe come sostenere che gli spot per vendere armi non abbiano a che vedere con la pubblicità alle Full metal jacket! Ma le analogie sono anche altre.

La pubblicità è libera (ed imponente) per i cibi ipertrattati e ipercalorici, che provocano l’epidemia di disturbi alimentari, rivelati dai tanti casi di ipertensione arteriosa, di diabete infantile, di obesità, di sovrappeso. Qualche settimana fa, sono stati diffusi i risultati di una ricerca sui costi per il servizio sanitario nazionale dei cibi ipercalorici: un miliardo di euro si stima siano i danni per gli effetti dell’assunzione in massa di questi cibi.

Se a tali colossi industriali che danneggiano la salute pubblica,  è consentito fare ampiamente pubblicità, perché mantenere il divieto per il gioco d’azzardo? Sospetto una strana, implicita alleanza tra gli oligopoli  del tabacco, i trust del food, le grandi compagnie dell’alcool e le multinazionali del gioco d’azzardo. Tutti convergono nella pressione per mettere in mora l’art. 32 della Costituzione: il diritto inalienabile del cittadino alla salute. Se il Parlamento e il Governo si acconciano a questi desiderata industriali-commerciali, a rischio è la democrazia. Si consolida una cessione di sovranità: dalle istituzioni repubblicane alle multinazionali dei prodotti tossici.

L’emendamento all’articolo 66 prevede che il ministero della Salute disponga di 94 milioni di euro a rigore per tutte le dipendenze.

Sì, l’emendamento all’articolo 66, che è passato in legge di Bilancio, prevede che il ministero della Salute disponga di 94 milioni di euro a rigore per tutte le dipendenze. Dunque, sembrerebbe un aumento della provvista finanziaria. È tutt’altro. Invece di dar corso ai 44 milioni di euro assegnati per il 2024 alla prevenzione, alla cura e all’assistenza, e dunque pronti per i piani regionali, li si trasferiscono sulla competenza 2025, aggiungendoli agli annunciati 50 milioni. Dunque 44 più 50 fa 94. Ma così facendo (anche per la soppressione dell’Osservatorio per il contrasto dell’abolizione del gioco d’azzardo) si blocca la programmazione delle regioni, fino a quando (ed è assai dubbio che il ministero della Salute lo faccia) non saranno compilati, valutati, approvati e coperti dai fondi i nuovi piani 2025.

Insomma, le regioni, le Asl e il Terzo settore resteranno all’asciutto per almeno 12 mesi. Riassumendo, io noto: l’inevitabile abbassamento dell’offerta di prevenzione, cura e assistenza che faciliterà la strada all’aumento del mercato dei giochi d’azzardo; nell’interregno domineranno ministero dell’Economia e delle finanze, Agenzia delle dogane e dei monopoli, e concessionari; la questione delle dipendenze regredirà da concreta e illuminata policy a tenzone ideologica. Su questo scenario la pubblicità delle scommesse è il dettaglio che aiuta a capire.

Foto di apertura su Unsplash

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