Formazione
Il 70% degli italiani chiede un’estate ad alta intensità educativa
Solo il 34% dei genitori e il 48% degli insegnanti promuove la DAD. Ma non per l'eccesso di lavoro che impone ai genitori, come ci vanno raccontando: perché i genitori sono preoccupati dalla sottovalutazione della situazione emotiva reale dei ragazzi. Per questo ci vuole un grande piano estivo, da organizzare subito, per sfruttare i mesi caldi e il miglioramento della situazione che le vaccinazioni porteranno
Il 70% degli italiani è favorevole a tenere aperte le scuole per tutto giugno e luglio. Non per far lezione in classe, ma come luoghi aperti per la programmazione di attività educative destinate a bambini e ragazzi. Un grande piano di attività gratuite e non obbligatorie, di laboratorio e di socializzazione (teatro, musica, sport, lingue, visite, ecc.), che utilizzi soprattutto l’esterno, con il coinvolgimento di educatori ed operatori specializzati di associazioni ed enti del Terzo Settore. Si tratterebbe di aprire le scuole alla comunità ed ai territori. È quanto emerge dall’indagine “Scuola a distanza: la DAD un anno dopo, secondo gli italiani. Opinioni e vissuti dei genitori con figli minori (5-17 anni) e degli insegnanti italiani dopo 12 mesi di emergenza Covid”, che ha previsto anche un approfondimento di sulla proposta di attività estive nelle scuole. L’indagine, presentata questa mattina, è stata condotta dal 23 al 26 marzo dall’Istituto Demopolis per l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile su un campione demoscopico stratificato di 2.004 intervistati.
L’idea di un'estate che investa sull'educazione, con patti territoriali e esperienze di scuola aperta, piace più a educatori e genitori che agli insegnanti, più al Nord (75%) che al Sud (61%). Bisognerebbe puntare, secondo gli italiani, a restituire ai minori l’accesso alla pratica sportiva (58%), progettare recuperi curriculari (54%), promuovere attività ludiche (53%) e progressi nelle lingue straniere (51%), favorire la riscoperta delle città e della natura: sempre con attività facoltative, che coinvolgano le comunità e i territori, perché la scuola non è e non può essere l’unica istituzione rsponsabile della crescita dei ragazzi. È questa peraltro una consapevolezza che il Covid ha rapidamente consolidato nell’opinione pubblica: se a novembre 2019 il 46% degli italiani si dichiarava convinto che ci sia una responsabilità collettiva della crescita dei minori; a novembre 2020 il dato era cresciuto al 67% e oggi arriva al 71%.
Quanto all’esperienza della DAD, la giudica positivamente il 34% dei genitori con figli tra i 5 e i 17 anni e il 48% degli insegnanti. Viene riconosciuta oggi una migliore organizzazione rispetto alla fase emergenziale (il dato sale fino al 79% fra gli insegnanti), ma tanto le famiglie quanto gli insegnanti – uno su due in entrambi i casi, con pochissima differenza – sono consapevoli che con la didattica a distanza non è ancora garantito un accesso adeguato a tutti gli studenti. I genitori evidenziano anche la distrazione dei ragazzi durate le lezione (73%), una sottovalutazione della situazione emotiva dei ragazzi (63%), la poca padronanza tecnica da parte degli insegnanti (48%) e una metodologia didattica non adeguata (44%), con un 39% che lamenta un carico eccessivo per i genitori a supporto della DAD.
Dati che finalmente smentiscono anche la narrativa odiosa che in questi mesi è stata appiccata addosso ai genitori, come adulti interessati solo a un baby parking per i propri figli, stremati dal doversi destreggiare fra password, tabelline e analisi grammaticale o maniaci del programma. Sono criticità oggetive anche quelle, ma non sono quello il problema. Cosa è maggiormente negativo nella DAD, secondo i genitori? Al primo posto c’è l’assenza di relazioni fra compagni (83%), la tendenza all’isolamento e all’abbandono della vita sociale (61%), la riduzione degli stimoli esterni alla scuola (55%). Le difficoltà tecniche di connessione sono citate solo dal 23% dei genitori. «L’indagine – conclude il direttore dell’Istituto Demopolis, Pietro Vento – conferma il costo sociale ed evolutivo imposto dall’emergenza e dalla chiusura prolungata delle scuole su bambini e ragazzi, con effetti consistenti sull’incremento delle disuguaglianze e della povertà educativa tra i minori nel nostro Paese. Nell’anno del Covid, un vastissimo orizzonte di normalità relazionale, di dinamiche sociali, di occasioni di apprendimento è stato precluso ai minori. L’83% dei genitori testimonia come l’aspetto maggiormente negativo nella didattica a distanza, per bambini e ragazzi, sia stata l’assenza di relazioni con i compagni».
«In quest’ultimo anno la didattica a distanza ha tenuto in piedi un’idea di scuola, seppur con molte difficoltà per famiglie, ragazzi e insegnanti», commenta Marco Rossi-Doria, vicepresidente di Con i Bambini. «Come emerge chiaramente dall’indagine, oltre ai deficit di accesso e inclusività, una preoccupazione diffusa riguarda il contesto emotivo e relazionale di bambini e ragazzi. Dobbiamo recuperare la dimensione affettiva e di socialità perché l’esperienza vissuta con grande responsabilità da bambini e ragazzi è pari solo a quella dei loro bisnonni. Questo non può essere però solo un compito della scuola, in generale l’educazione dei minori è una responsabilità di tutta la comunità. Occorre implementare e consolidare patti educativi, alleanze nel tempo tra scuola, famiglie, civismo educativo e istituzioni locali, per uscire da questa crisi ma soprattutto per costruire una società più equa, matura e responsabile».
Photo AHMED HINDAWI on Unsplash
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