Welfare

Il 46% dei percettori del Reddito di cittadinanza sono lavoratori poveri

I percettori del reddito erano 814mila prima della pandemia, poi sono cresciuti di un milione in piena emergenza Covid19. Vitale il sostegno economico del Reddito di cittadinanza anche per gli occupati esposti alle debolezze del mercato del lavoro e all’ampia diffusione del lavoro povero in Italia.

di Redazione

Oltre 814 mila cittadini, in rappresentanza di altrettante famiglie, hanno percepito il Reddito di cittadinanza già da prima dell’emergenza Covid19, pari al 45% dei percettori. Poco più di 1 milione di famiglie (il 55%), invece, ha iniziato a percepire il RdC durante la crisi sanitaria. Complessivamente la platea di percettori di RdC è stata di circa 1,8 milioni di famiglie. A questi beneficiari si aggiungono circa 1,6 milioni di famiglie che intendono fare richiesta della misura di sostegno a breve e 1,4 milioni di nuclei la cui domanda non è stata accolta. La domanda evasa e potenziale di sostegno è dunque assai rilevante.

È quanto emerge dal policy brief che l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) dedica al Reddito di cittadinanza attraverso l’indagine Plus, rappresentativa dell’intero territorio nazionale su un campione di oltre 45.000 individui dai 18 ai 74 anni.

“Il Reddito di cittadinanza ha rappresentato un’ancora di salvezza per 1,8 milioni di famiglie, ma va notato che circa il 46% dei percettori risultano occupati (552.666 standard e 279.290 precari) con impieghi tali da non consentir loro di emergere dal disagio e da costringerli a ricorrere al RdC per la sussistenza. Si potrebbe dire che basterebbe migliorare le condizioni retributive e lavorative di questi lavoratori per quasi dimezzare immediatamente l’attuale numero dei percettori del Reddito di cittadinanza. Peraltro, anche la grande domanda potenziale (rilevata sempre tramite le risposte degli intervistati) rivela un 49,8% di simili “working poors”- ha spiegato il prof. Sebastiano Fadda, Presidente dell’INAPP – e ciò conferma la necessità di osservare il mercato del lavoro ben oltre il semplice aspetto del numero degli occupati per spingere analisi e interventi sul tema della qualità del lavoro, delle retribuzioni, della produttività, e della riduzione della precarietà”.

Un’ulteriore conferma della grande debolezza e parcellizzazione del mercato del lavoro italiano si evidenzia anche guardando ai motivi addotti per il rifiuto delle proposte di lavoro pervenute ai beneficiari del RdC: il 53,6% indica l’attività non in linea con le competenze possedute, il 24,5% attività non in linea con il proprio titolo di studio, l’11,9% lamenta una retribuzione troppo bassa. Solo il 7,9% indica la necessità di spostarsi come causa prevalente del rifiuto. Al di là dell’identificazione dell’offerta congrua, quanto mai difficile da definire – scrivono i ricercatori dell’INAPP – il rifiuto per circa il 78% dei rispondenti beneficiari di RdC è attribuito alla modesta qualità delle proposte ricevute.

Tuttavia, la stessa presa in carico dei beneficiari del Reddito di cittadinanza da parte dei Centri per l’Impiego o dai Servizi Sociali ha riguardato una quota troppo bassa di essi. Solo il 39,3% ha dichiarato di essere stato contattato dai Centri per l’Impiego e il 32,8% dai Comuni. Ma di quel 40% circa contattato dai Centri per l’Impiego, a sua volta, solo il 40% ha sottoscritto il Patto per il Lavoro, e solo alla metà di questi è stata avanzata una proposta di lavoro (peraltro rifiutata dal 56% degli stessi, con le motivazioni sopra illustrate). Invece, tra coloro che sono stati contattati dai Comuni, solo il 30% ha sottoscritto un patto per l’inclusione sociale, e tra questi solo il 20% ha partecipato a Progetti di Utilità Collettiva. Emerge la difficoltà dei servizi sociali e dei centri per l’impiego a prendere incarico i beneficiari e quella degli enti locali ad attivare progetti di utilità collettiva (PUC).

È importante considerare i benefici di carattere psico-sociale percepiti dai fruitori del RdC: il 64% dichiara di avere maggior fiducia nelle istituzioni, il 63% di aver avuto più tempo per la cura dei figli, il 61% di aver migliorato la sua condizione economica, il 58% ha fatto volontariato, il 54% percepisce un miglioramento della sua salute psico-fisica e, in generale, 1 su 2 dichiara di aver aumentato la fiducia in sé stesso, nel futuro, nei rapporti con gli altri e nella classe politica.

“Il sistema socioeconomico italiano è fragile e la pandemia ne ha peggiorato le dinamiche – ha concluso il presidente dell’INAPP – Il Reddito di cittadinanza si è dimostrato una misura utile per fronteggiare la diffusa povertà, notevolmente peggiorata sotto l’impatto del coronavirus, ma il perimetro della popolazione in condizione di vulnerabilità è più ampio. Una parte della popolazione resta esclusa in ragione degli stessi requisiti formali di accesso o per la scarsa informazione sulla policy. Inoltre, gli strumenti che al RdC sono stati affiancati per promuovere un miglior inserimento lavorativo e una maggiore inclusione sociale, stando ai dati sopracitati, si sono mostrati poco efficaci. È urgente guardare alle cause per giungere ad una ristrutturazione organica sia del sistema delle politiche attive del lavoro sia dei servizi sociali ed evitare che anche gli ultimi due programmi lanciati in proposito (GOL e Fondo Nuove Competenze) si rivelino poco efficaci. Il problema non è solo, e non tanto, quello della disponibilità di risorse, quanto quello di utilizzarle in maniera efficiente nell’ambito di una pianificazione integrata delle politiche del lavoro con le politiche industriali e in genere con le politiche di sviluppo”.

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