Welfare

Il 40% degli immigrati pensa di lasciare l’Italia

Gli immigrati oggi rappresentano oltre il 10% del PIL, ma molti di loro ora vogliono andarsene. L'indagine della Cgil rivela un aspetto dela crisi che rischia di mettere ancora più in difficoltà il nostro sistema di welfare

di Redazione

L’Associazione Bruno Trentin, ISF e IRES presenteranno il 2 ottobre alle ore 10, presso la sede nazionale della CGIL,  la ricerca ‘Qualità del lavoro e impatto della crisi tra i lavoratori immigrati’. Il quadro che emerge dall'indagine così come dai dati Istat, descrive ancora una volta un lavoro immigrato dequalificato, in cui non c’è quasi mai progressione di carriera e che rimane fortemente confinato nei settori a minor valore aggiunto. La crisi ha colpito l’occupazione, le retribuzioni e le condizioni di lavoro. Aumentano gli orari ma diminuiscono le giornate lavorative, aumenta il lavoro nero, le forme di falso part time e il falso lavoro autonomo.

Ma soprattutto, aumentano le paure e quella più grande è di perdere o non trovare più lavoro. Questo timore coinvolge la quasi totalità degli immigrati, perché il lavoro, oltre a garantire un reddito e una vita dignitosa è la condizione senza la quale non è possibile soggiornare regolarmente nel nostro paese. Per questo motivo lievita il peso della ricattabilità e le condizioni di lavoro, già molto problematiche, diventano ancora più vessatorie. Anche chi vive in Italia da molti anni (e sono la grande maggioranza degli immigrati), non sembra che sia riuscito a superare le dinamiche discriminatorie di un mercato del lavoro duale e, purtroppo, anche per le seconde generazioni il percorso di piena acquisizione dei diritti di cittadinanza appare molto difficoltoso. Lo stesso progetto migratorio viene messo in discussione da un numero sempre crescente di immigrati. La riduzione delle rimesse, i mancati ricongiungimenti familiari, i parenti più stretti che sono costretti a emigrare di nuovo, i ragazzi in età scolare obbligati ad abbandonare il proprio percorso formativo per sostenere il reddito familiare, sono tutti elementi che destabilizzano la vita degli immigrati e quella delle loro famiglie sia che vivano in Italia, sia che vivano nei paesi d’origine. Evidentemente non è un caso se 4 immigrati su 10 pensano di dover intraprendere un nuovo percorso migratorio che li porti lontano dal nostro paese.

Questi dati, non possono e non devono essere sottovalutati. In primo luogo per le ricadute, spesso drammatiche, che hanno sulle persone protagoniste delle migrazioni. Secondo poi, per i possibili effetti sul nostro sistema paese. Gli immigrati oggi rappresentano oltre il 10% del PIL, contribuiscono a sostenere il welfare, in particolare nel campo previdenziale e offrono un decisivo contributo al recupero demografico. Esiste il rischio di un depauperamento di risorse professionali (le persone più motivate a partire sono quelle più giovani e con titoli di studio più alti), nonché la progressiva destrutturazione di settori determinati del nostro sistema produttivo e sociale. Esiste il rischio di strutturare una società con cittadini di serie A e non cittadini di serie B, creando un vulnus pericoloso per la stessa tenuta del nostro sistema democratico. Aumenta il bacino della povertà, che associato all’immobilismo “dell’ascensore sociale” rischia di creare nel futuro forti tensioni come quelle che hanno già attraversato le periferie di molte città europee negli scorsi anni.

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