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Il 12-13 giugno si vota. Cosa succede il giorno dopo?

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di Silvano Rubino

Scenario numero 1. Il referendum sull’acqua pubblica del 12-13 giugno non raggiunge il quorum. A pochi mesi di distanza, entro il 31 dicembre, scattano gli effetti della legge Ronchi, quella che la consultazione mirava ad abrogare. A Milano, quindi, per esempio, Metropolitana Milanese (che gestisce l’acqua in città) e Amiacque (in provincia), attualmente società a totale controllo pubblico, vengono messe sul mercato: come sancisce la legge, almeno il 40% del loro capitale deve andare a soci privati. Si fa una gara a evidenza pubblica, aperta a tutti, anche alle multinazionali. «Si tratta di società pubbliche che sono dei veri e propri gioielli», spiega Giuseppe Altamore, giornalista, autore di Acqua Spa, uno dei massimi esperti italiani delle questioni legate all’oro blu. «Inevitabile dunque che ci sarà molto interesse da parte dei privati a conquistarne il controllo». Anche perché, aggiunge Altamore, «la legge è fatta in modo tale che a quel 40% di socio privato viene di fatto affidata la gestione, è il socio operativo, che governerà la società». Vantaggi per il consumatore milanese? «Zero, anzi: verosimilmente si troverà di fronte a un aumento delle tariffe, perché i nuovi soci privati dovranno prevedere dei profitti maggiori».

Oggi, lo ricordiamo, per portare l’acqua potabile ai rubinetti di casa, MM fattura 0,55 euro ogni mille litri, comprensivi di fognatura e depurazione dei reflui. Uno dei prezzi più bassi d’Europa. La tariffa media di Amiacque è 0,72 euro, tra le più competitive del continente ed inferiore alla media nazionale (1 euro). Lo stato della rete distributiva di Milano e provincia è in linea con i migliori riferimenti europei, con perdite complessive del 10% per la città e del 20% per la provincia (la media italiana viaggia sul 30%). Un caso (ma non l’unico) in cui la gestione pubblica fa rima con efficienza e tariffe basse (e anche con la qualità dell’acqua che sgorga dal rubinetto) e dove l’obbligo di ingresso dei privati, previsto dalla legge Ronchi, non porterebbe alcun miglioramento, anzi. Qualcuno obietterà: ma in altri luoghi dove la gestione pubblica è stata disastrosa, come in Sicilia, in Puglia, in Sardegna? Non c’è da augurarsi che l’ingresso dei privati possa portare finalmente la fine degli sprechi, delle clientele, delle logiche spartitorie? La risposta è: magari fosse così semplice. Il rischio, in realtà, sempre rimanendo nello scenario 1, quello del mancato quorum del referendum, è che «le gare di alcuni gestori, soprattutto al Centro-Sud, vadano deserte»…

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