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Identificato un gene responsabile di una forma di Sla

Grazie alla ricerca Telethon la scoperta è del team di Antonio Orlacchio, presso il laboratorio di Neurogenetica della Fondazione Santa Lucia di Roma

di Benedetta Verrini

Identificato il gene responsabile di una forma ereditaria di sclerosi laterale amiotrofica (Sla): ad annunciarlo è uno studio finanziato da Telethon e pubblicato sulle pagine della rivista Brain da Antonio Orlacchio, responsabile del laboratorio di Neurogenetica dell’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma e docente di Neurologia presso il dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Roma “Tor Vergata”.

La Sla è una malattia neurodegenerativa letale che colpisce progressivamente i motoneuroni, le cellule del sistema nervoso che impartiscono ai muscoli il comando di movimento. In genere si manifesta tra i 40 e i 50 anni e l’aspettativa di vita non supera i dieci anni. Esistono però anche forme più rare a esordio giovanile (il 5% di tutti i casi), in cui i pazienti sopravvivono anche 40-50 anni. È proprio osservando le caratteristiche cliniche di persone affette da questo tipo di Sla che Orlacchio e il suo gruppo hanno ipotizzato che potesse trattarsi di una forma con peculiarità genetiche sovrapponibili a quelle di altre malattie neurologiche.

I loro sintomi clinici, l’età di esordio e la progressione della malattia erano infatti molto simili a quelli riscontrati in pazienti affetti da un’altra patologia neurodegenerativa, la paraplegia spastica ereditaria con assottigliamento del corpo calloso. Questa malattia è dovuta a difetti nel gene SPG11, che si trova sul cromosoma 15 e contiene le informazioni per la spatacsina, una proteina fondamentale per la sopravvivenza dei motoneuroni.

I ricercatori si sono quindi chiesti se alla base delle due patologie potesse esserci un difetto a carico del medesimo gene. Per verificare questa ipotesi hanno studiato il patrimonio genetico di 25 famiglie di persone affette da questa particolare forma di Sla, provenienti da tutto il mondo: oltre a pazienti italiani, sono stati infatti reclutati malati di origine turca, brasiliana, canadese e giapponese. Orlacchio e il suo gruppo sono così riusciti a mettere insieme la più ampia casistica mondiale finora disponibile, avvalendosi della collaborazione di importanti centri internazionali di ricerca come il dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Roma “Tor Vergata”, il dipartimento di Genetica medica dell’Istanbul University Cerrahpasa School of Medicine (Turchia), il dipartimento di Neurologia dell’Università federale di Paraná (Brasile), il Centro di ricerca sulle malattie neurodegenerative e il dipartimento di Medicina dell’Università di Toronto (Canada), il dipartimento di Neuroscienze cliniche dell’Università di Cambridge (Gran Bretagna) e il dipartimento di Neurologia dello Hyogo Brain and Heart Center di Himeji (Giappone).

Grazie alle attrezzature di ultima generazione dell’Irccs Fondazione Santa Lucia (www.hsantalucia.it/neurogen/index_it.htm) è stato possibile analizzare dettagliatamente il Dna dei pazienti e confermare come presentassero un difetto proprio a carico del gene della spatacsina. Per questo, il gene sarà d’ora in poi classificato con un doppio nome: SPG11 e ALS5, a riprova di come un suo malfunzionamento possa essere responsabile di due diverse malattie genetiche.

Salgono così a undici i geni finora individuati come responsabili di forme ereditarie di Sla. Per quanto nella maggior parte dei casi la malattia sia sporadica (non venga cioè ereditata dai genitori), le forme genetiche possono dare informazioni molto utili per comprendere i meccanismi molecolari con cui si sviluppa questa grave malattia neurodegenerativa. Una ricaduta più immediata dello studio è invece la possibilità di diagnosticare con precisione questa particolare forma di Sla a partire dai sintomi clinici e pianificare così gli interventi più adeguati. Infine, la proteina codificata dal gene ALS5 potrà rappresentare un bersaglio molecolare per un razionale sviluppo di nuovi farmaci.

In Italia il lavoro di Antonio Orlacchio è stato finanziato, oltre che da Telethon, dal ministero della Salute, dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (Aams) e da fondi raccolti con varie iniziative nella città di Gubbio.

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