Idee VITA30, l'editoriale
VITA: non un giornale, ma un modo di vivere
Il 27 ottobre 1994 usciva in edicola il primo numero dell'allora settimanale. Trenta anni dopo VITA serve ancora? E se sì, a cosa? La nostra risposta in vista della due giorni del 25 e 26 ottobre quando alla Fabbrica del Vapore di Milano "festeggeremo" i primi 30 anni della testata fondata da Riccardo Bonacina
In una sequenza dell’ultimo film del grande Hayao Miyazaki, “Il ragazzo e l’airone”, il giovane protagonista si trova tra le mani un libro lasciatogli in eredità dalla mamma, rimasta sotto le bombe dell’ultimo conflitto mondiale. Il titolo di quel libro, “E voi come vivrete?” ci aveva subito colpito: era come un messaggio lanciato oltre che a Mahito Maki, il ragazzino del film, anche a noi proprio nell’imminenza della scadenza dei primi 30 anni della nostra storia. Da “VITA” a “vivere”, dal sostantivo al verbo il passaggio era istintivo. Di qui l’idea di farne il tema, anzi la domanda, al centro di una due giorni che cadrà proprio nell’imminenza dell’anniversario i prossimi 25 e 26 ottobre a Milano alla Fabbrica del Vapore (il primo numero di VITA con Riccardo Bonacina fondatore e direttore era uscito il 27 ottobre 1994, qui il programma e le indicazioni per registrarsi ai vari eventi, tutti gratuiti). In vista dell’evento il direttore Stefano Arduini, nell’editoriale che apre il numero di ottobre del magazine e che qui riproponiamo in versione integrale, condivide con i lettori e la comunità di VITA la risposta a un’altra domanda: a cosa servirà VITA nei prossimi 30 anni?
La data del 27 ottobre del 1994, giorno in cui usciva il primo numero di VITA, allora settimanale, appena fondato da Riccardo Bonacina segna un momento a suo modo storico nel panorama mediatico italiano. Quel mondo fatto di volontari, attivisti, cooperanti, imprenditori e operatori sociali, filantropi, educatori… quel mondo che avremmo imparato a chiamare Terzo settore prendeva voce sul piano mediatico e della pubblica opinione. Qualcuno definì VITA come “l’Espresso del sociale”. Un giornale nato da «un moto di rabbia», l’espressione è di Bonacina, di fronte al fatto che nella dieta mediatica di allora i temi del sociale e dell’impegno civile erano considerati ancillari: buone azioni di buona gente, ma che in fondo contava poco. Non era così. E 30 anni di storia dimostrano che quell’intuizione, costruita sulla base di un’alleanza fra un gruppo di giornalisti e un network di organizzazioni non profit (il comitato editoriale), aveva colto un bisogno reale di rappresentanza e racconto.
Oggi VITA serve ancora? E se sì, a cosa serve? Sono queste le domande a cui dobbiamo guardare. La nostra risposta è un sì convinto. Ma è un sì differente rispetto a quello di tre decenni fa. Oggi la funzione di VITA si è allargata. La sfida non è più solo quella di rappresentare un mondo. Si aggiunge l’esigenza che sentiamo forte, di essere strumento di conoscenza e pervasività dei valori della solidarietà, della cooperazione, della pace, del mutualismo, dell’interesse generale che devono sconfinare dal perimetro del Terzo settore per contaminare l’intera società. In questo senso il Terzo settore, con un apparente paradosso, smette di essere settore per diventare scala di valori e modello di vita.
Grazie allo storytelling, come ben descrive il filosofo coreano Byung-Chul Han, in questi anni di accelerazione digitale, il capitalismo si è appropriato della prassi narrativa e l’ha sottomessa alle regole del consumo. Lo storytelling produce racconti che hanno la forma di oggetti di consumo. Con il supporto dello storytelling i prodotti si caricano emotivamente così da promettere esperienze uniche. Lo storytelling fa presa perché si presenta come offerta a buon mercato di senso e di identità. Un’identità che spinge a consumare l’informazione, o i brandelli che ne rimangono, in tempi sempre più rapidi e modi sempre meno approfonditi, perché subordinati alla necessità di vendere un prodotto o un’informazione. Le community di cui oggi gli esperti di comunicazione tanto si riempiono la bocca sono esattamente questo: gruppi di acquisto costituiti essenzialmente da consumatori. E i consumatori sono solitari. Mettono like e condividono contenuti in una prospettiva individualistica (come quando andiamo a fare la spesa). Non solo. Meta afferma che l’attenzione media ai video postati sui suoi social (Facebook e Instagram nello specifico) è di tre secondi e dopo dieci secondi nella stragrande maggioranza dei casi il lettore/consumatore scrolla la pagina. Il paradigma dell’informazione contemporanea prevede non solo consumatori solitari, ma anche profondamente incapaci di interpretare le informazioini e quindi smarriti, malgrado lo tsunami di input a cui siamo sottoposti.
Rispetto a 30 anni fa, oggi i temi sociali hanno potenzialmente un’audience infinitamente più grande. VITA non è più l’unico media che parla di certi argomenti. La differenza, ed è questo il senso del nostro presente e del nostro futuro, è che noi lo facciamo in una prospettiva di senso che ci è propria. All’informazione sui nostri temi diamo una prospettiva di orientamento in un continuum temporale a cui non si può arrivare applicando, come fanno ormai tutti, la logica dello storytelling digitale. La nostra è narrazione di storie, esperienze, inchieste, persone che devono contribuire a generare legami, relazioni, alleanze per creare comunità (e non community) legate da un sistema di valori e non da una preferenza di acquisto. In questo quadro il sociale non viene prima o dopo l’economia o la politica. Il sociale è di per se stesso un modo di guardare all’economia, alla politica e a tutto il resto.
Il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano (vedi il programma nelle pagine seguenti e tutti gli aggiornamenti nel sito dedicato 30.vita.it da cui potete anche iscrivervi, naturalmente in modo gratuito) in occasione del trentennale proporremo ai nostri lettori, amici e stakeholder una due giorni sotto questo titolo “E noi come vivremo?”. Un titolo scelto da Riccardo Bonacina e Giuseppe Frangi che ha coordinato in questi mesi la costruzione del palinsesto dell’evento. Un titolo che richiama VITA, usando il verbo all’infinito in modo da significare un’azione in divenire, che apre lo sguardo in cerca di futuro. Il tema non è come in futuro dovremmo raccontare il Terzo settore o i soggetti sociali, ma quale proposta “esistenziale” fa al mondo questo ricchissimo universo di pratiche e di idee che raccontiamo ogni giorno. Cambiare in meglio il nostro modo di vivere, di investire, di mangiare, di spostarci, di educare… e così via. È a questo che deve servire VITA. Un percorso che non vogliamo e possiamo fare da soli, ma grazie ai privati cittadini, alle organizzazioni sociali, alle imprese, alle pubbliche amministrazioni che vorranno mettersi in cammino insieme a noi.
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