Idee Dopo le manifestazioni di Roma
Usciamo dalla dicotomia: riarmo vs disarmo. Le piazze piene non chiedono una pace vuota
I dibattiti oscillano tra queste due posizioni contrapposte e pressoché irrealizzabili entrambe. Il rischio è che la postura della popolazione italiana nel mondo esca ancora più indebolita da questa faida, tutta interna, che nulla dice di concreto a chi sta invocando giustizia e pace, in Ucraina come a Gaza

Da quando Donald Trump si è alternato a Joe Biden alla guida degli Usa, le piazze italiane sembrano aver avuto finalmente un sussulto. Sia il 15 marzo a piazza del Popolo che il 5 aprile ai Fori Imperiali, sempre a Roma, le immagini della folla erano imponenti, e nonostante ci sia chi prova a dividerle misurandole ( in evidente vantaggio numerico per la seconda), dobbiamo dire che non ci sarebbe ragionamento più miope di coloro che spingono a disunire l’Europa sul tema della difesa della pace.
La discesa di migliaia di persone in piazza, è indubbiamente una risposta immediata ed istintiva tanto ai piani di guerra di Trump quanto alla parola “riarmo europeo” evocata con forza dalla Von der Leyen.
È ormai chiaro a tutti che l’Ucraina è per il tycoon, un capitolo da chiudere in fretta senza alcun vero interesse per la causa ucraina, allo scopo di passare ai programmi successivi: la gestione delle guerre commerciali attivate, i nuovi territori di conquista annunciati ( Groenlandia , Canada, Panama) e la conduzione in solitaria delle nuove tensioni tra Usa e Brics, senza più portare il fardello di dover discutere con gli alleati l’Ue la sua politica estera e, in particolare, quella militare ed energetica.
Ciò che ha sorpreso il mondo, e indispettito l’opinione pubblica italiana, è stata la risposta immediata delle istituzioni europee che, in settant’anni di pace, ci avevano abituati a tempi di reazione infinitamente più lunghi degli americani. La presidente della Commissione è stata tempestiva e simmetrica: riarmo. Non si può dire che sia altrettanto chiara a riguardo la voce delle piazze e dei principali partiti che le hanno animate (Pd e 5stelle), anche in virtù del loro comportamento parlamentare.
Tanto che oggi sembra di vivere in Italia su un guado ove poter fissare solo gli antipodi delle questioni: o riarmo o disarmo. I dibattiti oscillano tra queste due posizioni contrapposte e pressoché irrealizzabili entrambe. Il rischio è che la postura della popolazione italiana nel mondo esca ancora più indebolita da questa faida, tutta interna, che nulla dice di concreto a chi sta invocando giustizia e pace, in Ucraina come a Gaza.
Il professore Stefano Zamagni ha sollevato un tema fondamentale, in suo recente editoriale su Avvenire: non basta dire che deve esserci la difesa comune europea, che dal marzo 2022 sta muovendo i suoi primi timidi passi, è urgente prevedere anche che la difesa debba muoversi come un’agenzia indipendente, al pari del meccanismo che regge la Bce, come anche il Mean, il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, asserisce da tempo.
La difesa comune non può essere oggetto di continue oscillazioni dovute alla ricerca del consenso dei partiti: deve avere chiari obiettivi e un metodo di funzionamento normato in ogni aspetto
La difesa comune non può essere oggetto di continue oscillazioni dovute alla ricerca del consenso dei partiti: deve avere chiari obiettivi e un metodo di funzionamento normato in ogni aspetto, essere soggetta a vincoli di mandato con una durata precisa e contemporaneamente indipendente nell’intrapresa delle azioni difensive.
La nascita della Ced ed il progressivo superamento della Nato, o almeno una sua importante trasformazione, pare sia l’unico vero auspicio condiviso tanto per chi appoggia il piano di riarmo che chi sogna il disarmo globale. La difesa comune sembra essere l’unico punto programmatico che unisce piazza del Popolo ai Fori Imperiali.
Visti i tempi che corrono andrebbe fatta nascere in fretta, con l’obiettivo preciso di organizzare una pacificazione competente, utilizzando tutte le armi già in nostro possesso e rinforzandone alcune su cui siamo evidentemente deficitari: la diplomazia, l’intelligence, le infrastrutture tecnologiche, i corpi di pace, i corpi militari coordinati. Chi sventola in piazza la bandiera della pace non può essere pregiudizialmente contrario, ad esempio, ad un’Europa che sia indipendente ed autosufficiente nei cavi sottomarini che veicolano il 97% di tutti i dati trasmessi nel mondo, usati oggi per il 75% da tre aziende statunitensi e per lo più di proprietà della Cina (mentre la Russia gode del suo Polar Express), come ha ben spiegato il professore Luigi Troiani nel suo ultimo volume “La Diplomazia dell’arroganza”.
E se “riarmo” o “difesa” dovessero significare “più cavi sottomarini” nessuno potrebbe gridare allo scandalo. Le guerre si vincono non solo quando si evitano, ma anche quando si evitano più morti di soldati e civili grazie al controllo puntale delle informazioni; non è il tempo delle mitragliatrici e dei carri armati, ma della prevenzione degli attacchi ibridi che possono mettere in ginocchio ed in posizione di cecità interi stati in pochi secondi.
Nel 1990, in Europa, si produceva il 44% dei semiconduttori mondiali, oggi il 9%. La nostra dipendenza dai semiconduttori da Paesi che da qui a poco potrebbero volgerci le spalle o addirittura aggrediti , come è accaduto con i dazi, è una questione di difesa, e necessita di investimenti. E così via.
In ultimo, c’è la tecnologia più importante di cui disponiamo abbondantemente: la capacità di pacificare i popoli con l’uso del diritto internazionale, che in buona sostanza, come evidenziato anche nel corso dei recenti dialoghi di Anacapri tra Troiani e l’ambasciatore Pierfrancesco Zazo, è una scienza gemmata dal diritto e dalla filosofia europea. Si tratta di un patrimonio che ci ha portati ad essere meritoriamente premio Nobel per la pace nel 2012.
Una vera difesa europea dovrebbe avere a suo servizio non solo i corpi militari, ben preparati per le indiscutibili ragioni di deterrenza e di risposta pronta alle aggressioni, ma anche un corpo di pace pronto ad intervenire nei conflitti in corso, per prevenirli o per gestire le tregue. Un corpo di pace ben finanziato e ben equipaggiato, che sia presente nelle zone di conflitto del mondo, a difesa degli oppressi e contemporaneamente a difesa del dialogo possibile tra le popolazioni coinvolte negli scontri armati. Anche questa è difesa. Se invece del formato Normandia (Francia, Germania, Russia, Ucraina ed Osce), negli accordi di Minsk avessimo agito con un Corpo Civile di Pace in Donbass ed in Crimea, forse oggi avremmo risparmiato miliardi di euro di intervento tardivo a difesa dell’Ucraina aggredita.
Non sappiamo cosa ci aspetta, ma sappiamo con certezza che nel prossimo domani non potranno essere nè le armi nè le bandiere della pace a garantire ai nostri nipoti l’attesa di vivere ancora in uno stato di diritto
Non sappiamo cosa ci aspetta, ma sappiamo con certezza che nel prossimo domani non potranno essere nè le armi nè le bandiere della pace a garantire ai nostri nipoti l’attesa di vivere ancora in uno stato di diritto. Abbiamo bisogno di un insieme di azioni finalizzate ad una pacificazione competente e ad una difesa innovativa. Dobbiamo ancora una volta esercitare il nostro ruolo nel mondo: essere figli di Atene, del diritto romano, della pietà religiosa, di Erasmo e del sogno di Ventotene.
Il rischio che non dobbiamo correre è di avere piazze piene per una pace vuota di significati.
Nella foto, la manifestazione di Roma del 5 aprile. (AP Photo/Andrew Medichini)
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