Idee Fuga dagli Esg
Se si usa la compliance contro la sostenibilità
Riflessioni a margine del Forum degli Stakeholder di Cassa Depositi e Prestiti - Cdp, in cui l'ad Dario Scannapieco ha spiegato che non si cambia la linea in materia
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ormai quasi due ssettimane fa, presso la Borsa, si è tenuto il Forum multistakeholder di Cassa Depositi e Prestiti – Cdp (nella foto sopra, ndr). Confesso di essermi avvicinato con grande curiosità all’evento, sia per la rilevanza della Cassa nel sistema Italia, sia per il forte vento contrario ai temi della sostenibilità, che si respira dopo l’elezione di Donald Trump.
Parto dell’incipit dell’evento, dal video di apertura: un contenuto potente, con immagini veloci ed incalzati, che hanno subito circoscritto il perimetro del campo da gioco. A partire da Trump, mentre recita l’oramai noto motto pro-petrolio «drill baby drill», utilizzato come un mantra nel corso della campagna elettorale, passando per il discorso del presidente argentino, Javier Milei, che nell’ultimo appuntamento di Davos, si è scagliato contro l’«ambientalismo fanatico» ed il wokismo che caratterizza la narrativa degli odiati “marxisti”.
Il caleidoscopio di immagini ed estratti, frenetico come un reel di Instagram, si è chiuso con alcune delle più recenti catastrofi naturali, collegate all’avanzata della crisi ambientale. In apertura, l’amministratore delegato, Dario Scannapieco, ha confermato con fermezza l’impegno di Cdp sulla strada della sostenibilità e della transizione giusta, escludendo quindi passi indietro. L’ad della Cassa ha proposto un passaggio radicale per aprire il binomio rischio-rendimento che oggi caratterizza le strategie di investimento, al principio dell’impatto, seguendo un salto concettuale tanto caro al movimento globale degli investimenti social-impact.
La fermezza della Cassa
Si tratta di un passaggio non banale, alla luce delle tensioni che stanno animando il mondo corporate, la finanza e i Governi a seguito dell’elezione di Trump, l’inizio della battaglia commerciale a colpi di dazi dimostra che si sta aprendo un periodo di grande incertezza, sul cui esito è difficile fare delle previsioni. Nell’attraversare queste turbolenze, la fermezza della Cassa genera un effetto benefico sull’intero ecosistema economico nazionale, grazie all’innegabile forza di trascinamento che esercita attraverso le sue policy.
Nel mantenere le posizioni, conquistate in questi anni con grande fatica, è necessario aprirsi contestualmente a una riflessione più ampia su ciò che è oggi sostenibilità. Diversi osservatori evidenziano il tema dei costi della sostenibilità, lo stesso Rapporto Draghi è stato malevolmente interpretato in questa chiave: se la sostenibilità rappresenta un costo sull’impresa, e ne limita dunque la sua capacità di creare valore, dobbiamo – sostengono alcuni esegeti del rapporto – alleggerire questo fardello. È interessate notare come queste critiche siano dirette ai costi collegati alla compliance e alla rendicontazione, quasi a stabilire un’equazione tra fare sostenibilità e produrre report Gri, Csrd et similia.
La nuova partita europea
Su questo passaggio si gioca la partita, anche mettendo in discussione il modello di sostenibilità disegnato e proposto dalla Commissione Europea, con tutta l’enfasi spostata sulla costruzione di sistemi regolatori, piuttosto che avviare una radicale (e doverosa) discussione sui meccanismi di generazione di valore. L’effetto paradossale è stato una corsa alla compliance fine a sé stessa, anziché lavorare affinché il settore privato ripensasse ai propri modelli di creazione del valore. E, quindi, l’ulteriore paradosso è pensare che il problema sia l’eccesso delle regolamentazioni, e non la persistenza di modelli insostenibili – e profondamente ingiusti – di creazione del valore.
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Essere sostenibili non significa riempire compulsivamente le griglie del GRI o snocciolare Sdgs come fosse i grani del rosario – semmai questo è solo l’esito di un processo molto più profondo, bensì avere il coraggio di mettere il dito – un po’ come San Tommaso – nei propri modelli di business.
E per compiere questo delicato passaggio, se penso all’acronimo Esg, scelgo istintivamente la lettera G, perché è la governance che porta la responsabilità di queste scelte, sul “perché” non credo ci sia bisogno di dilungarci molto, basta osservare il nostro pianeta per capirlo.
Sullo stesso argomento ascolta il podcast di Giampaolo Cerri:
Sostenibilità, la Cassa non cambia rotta semmai aggiusta le vele.
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