Idee Lavoro

Se l’anticipo del Tfr diventasse una forma di welfare?

L'intervento dell'open innovation manager del consorzio Cgm: «L’obiettivo è di dotarsi una strategia condivisa dove l’anticipo del trattamento di fine rapporto non sia visto come una sconfitta del proprio modello di business ma come la realizzazione del percorso di empowerment del loro capitale più prezioso: le persone»

di Flaviano Zandonai

Di solito è uno degli ultimi punti all’ordine del giorno, ma lo si affronta piuttosto spesso. Si tratta delle richieste di anticipo del Tfr che dipendenti e soci inoltrano al consiglio di amministrazione della propria cooperativa sociale. Di solito sono cifre contenute che però servono, sempre più spesso, per far fronte a spese ordinarie, come ricordava qualche giorno Massimo Ascari prossimo presidente di Legacoopsociali che si dichiarava stufo di anticipare il Tfr ai propri collaboratori per pagare il cambio degli pneumatici dell’auto.

Da una parte queste richieste rappresentano un indicatore dell’impoverimento del lavoro – peraltro non solo in campo sociale – in una società che diventa sempre più cara. Colpa dell’inflazione naturalmente. Ma forse anche colpa di un’evoluzione dell’economia dei servizi che si struttura e professionalizza e che quindi “chiede il conto” ai clienti. E questo succede anche in quei settori – il welfare in primis – dove le imprese sociali hanno contribuito a costruire e stabilizzare un mercato che ha tratto dall’informalità beni e servizi prima resi disponibili in modo sporadico e attraverso reti sociali sulle quali non si può – e, va ricordato, non si vuole – più contare.

La classica situazione del cane che si morde la coda dalla quale è necessario uscire in tempi brevi con soluzioni di lungo periodo. Il fronte principale da questo punto di vista è quello dell’offerta, ovvero tutti quei dispositivi che tendono a sostenere la capacità di spesa dei lavoratori. Ciò avviene intervenendo (in realtà ben poco) sulla dinamica dei prezzi e soprattutto disseminando il mercato di incentivi, bonus e supporti spot che nel migliore dei casi fanno prendere una boccata d’aria ai budget personali e familiari o poco più. Ma c’è un altro fronte che è quello della domanda di beni e servizi e relative modalità di accesso e finanziamento. In questo ambito un ruolo (potenzialmente) importante lo possono svolgere le imprese, naturalmente anche quelle sociali. E così l’anticipo Tfr può essere inquadrato non tanto come misura “benevola” di ultima istanza, ma come parte del paniere di welfare aziendale, come ricordava un recente articolo di “Percorsi di secondo welfare”. Così contestualizzata la misura appare meno contingente e precaria. Può infatti diventare parte di piani di supporto basati sulla mobilitazione e ricomposizione di una molteplicità di risorse nascoste o sottoutilizzate di cui le imprese sociali già dispongono e che possono mettere a disposizione dei propri lavoratori e soci. Risorse non solo economiche ma anche materiali e immateriali come spazi abitativi e altre infrastrutture sociali, mezzi per la mobilità, servizi di welfare per chi fa welfare. Un potenziale ancora poco esplorato ma ricco di opportunità considerando quello che queste imprese fanno (beni e servizi di interesse collettivo) e quello che sono (organizzazioni di persone e non – o meno – di capitali).

Di questo, anche di questo, si sta parlando nel corso di un percorso laboratoriale organizzato dal Consorzio Cgm con Cooperjob e Kopernicana che ha preso avvio in questi giorni presso il campus culturale di Artesella in Trentino. Vi partecipano una cinquantina tra Hr specialist, manager e imprenditori sociali da tutta Italia ingaggiati intorno a principi, regole e pratiche per (ri)produrre “lavoro umano”. L’obiettivo è di dotarsi una strategia condivisa dove l’anticipo del Tfr non sia visto come una sconfitta del proprio modello di business ma come la realizzazione del percorso di empowerment del loro capitale più prezioso: le persone.

Credit foto: Pexels

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