Idee L'Europa che vogliamo
Rearm Europe? Non è quello il punto: gli europei hanno bisogno di costruire un destino comune
I meccanismi che hanno regolato le istituzioni europee si dimostrano oggi ampiamente inadeguati e non è certo il piano ReArm Europe proposto da Ursula Von der Leyen o il Libro Bianco sulla Difesa a ribaltare la situazione. Serve tracciare un percorso di convergenza di medio e lungo termine verso un progetto di difesa europea integrata e di condivisione delle risorse che contempli sia la dimensione militare sia quella civile di sicurezza

Bella l’immagine dall’alto di Piazza del Popolo sabato scorso, a Roma, gremita di manifestanti colorati di blu stellato. Una partecipazione massiccia, pacifica, spontanea e gioiosa niente affatto scontata a dimostrazione che l’Europa continua a rappresentare un punto di riferimento ideale convincente e, per certi versi, romantico di una larga parte della popolazione del nostro paese. Nel lanciare l’iniziativa Michele Serra poneva la domanda se esiste una pubblica opinione europea, europeista e democratica, in grado di offrire un segnale. Il segnale c’è stato ed è inequivocabile.
Di questa imponente manifestazione, tuttavia, non c’è traccia sulla stampa degli altri 26 Paesi che con l’Italia fanno parte dell’Ue. È il limite del progetto europeo la cui costruzione è ostaggio di 27 opinioni pubbliche rigidamente separate che non comunicano o comunicano a fatica fra di loro. Quello che è prioritario per alcune non lo è affatto per le altre e viceversa.

Il conflitto in Ucraina è una questione esistenziale per i cittadini di Polonia, dei Paesi Baltici e di quelli scandinavi ma non per gli italiani, gli spagnoli e i portoghesi. Da noi le tragedie dei migranti sulle rotte della speranza nel Mediterraneo occupano i titoli di testa dei media; non così nei Paesi dell’Europa nord orientale dove, se la notizia arriva, al massimo passa in un trafiletto di coda. Esistono barriere linguistiche, sensibilità storiche e retroterra culturali nel Vecchio Continente da cui non si può prescindere.
Ho lavorato per 25 anni alla Commissione Esteri del Parlamento europeo. Per me è stata una sorta di palestra dove mi sono esercitato a guardare e comparare il mondo da punti di osservazione distinti e distanti. Ho imparato che l’opinione di un estone e di un lituano per quanto riguarda le relazioni con la Russia, con la quale fino al 1991 condividevano lo stesso soggetto statale, ovvero l’Unione sovietica, sono più credibili e ponderate rispetto a quelle di un italiano o di uno spagnolo; viceversa per quanto riguarda i rapporti con il mondo arabo.
Non è causale se alle riunioni di commissione i dibattiti sul conflitto ucraino non vedevano quasi mai la partecipazione di eurodeputati italiani. D’altronde da noi si è cominciato a parlare di Ucraina solo quando è scattata l’invasione russa mentre la guerra, ignorata dai grandi media nostrani, infuriava già dal 2014. Ogniqualvolta mi capita di assistere ad un talk-show in televisione dove si discute di temi europei mi fa specie constatare come gli ospiti siano quasi sempre solo italiani che si parlano addosso come se il destino dell’Europa fosse una questione che riguarda esclusivamente il nostro Paese. Raramente proviamo a ragionare con una logica genuinamente europea. Se manca lo sforzo di rispetto e condivisione di angoli prospettici diversi, se viene meno la ricerca del compromesso il processo di integrazione europea crolla.
È un dato di fatto che l’Ue ci ha garantito 70 anni di pace interna; è altrettanto vero, purtroppo, che non siamo stati capaci di proiettare all’esterno quel modello di pace, stabilità e relativa prosperità di cui andiamo giustamente fieri. I conflitti in Ucraina e in Medio Oriente attestano drammaticamente che la Politica di Vicinato Europea è fallita e che se non si agisce tempestivamente ed efficacemente rischiamo di subire, e in parte li stiamo già subendo, contraccolpi devastanti.
I meccanismi di funzionamento che hanno regolato le istituzioni europee in questi anni si dimostrano oggi ampiamente inadeguati e non è certo il piano ReArm Europe proposto da Ursula Von der Leyen o il Libro Bianco sulla Difesa pubblicato ieri a ribaltare la situazione. Per contro, senza una razionalizzazione delle attuali ingenti spese militari complessive dei singoli Paesi membri per ridurre sprechi e doppioni incanalandole in un progetto davvero comune e coerente si rischia solo di gonfiare i muscoli con gli anabolizzanti di una struttura ossea fragile e impreparata a sostenere l’azione.
L’Europarlamento, che riflette l’anima comunitaria dell’Ue anche se in materia ha solo compiti di indirizzo, avrebbe potuto tracciare un percorso di convergenza di medio e lungo termine verso un progetto di difesa europea integrata e di condivisione delle risorse che contempli sia la dimensione militare sia quella civile di sicurezza ma ha miseramente fallito appiattendosi sulla proposta della Commissione. Resta ma non basta la mobilitazione della società civile e le belle immagini di Piazza del Popolo. Il cammino è ancora lungo.
Foto La Presse: manifestazione per l’Europa indetta dal giornalista Michele Serra presso in Carignano. Torino
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