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“Più è finta, più è vera e più è vera, più è finta”: il chiasmo di Maurizio Cattelan

Cosa ci dice la banana di "Comedian"? «Schifezza epocale e capolavoro, insensatezza e genialità, volgare presa in giro e vetta artistica seminale. Va tutto insieme. Se si propende per l’uno o per l’altro aspetto, polarizzandosi in un giudizio che non accetta obiezioni, si opera comunque una riduzione dell’opera»

di Doriano Zurlo

Mettiamola così. Se un artista raffigura una banana può farlo in tanti modi. Al modo di Cézanne, per esempio, cercando di scolpire i volumi e ispirando così la successiva arte cubista. Oppure con un procedimento grafico, come Andy Warhol per la copertina del disco dei Velvet Underground & Nico. Opera di cui, tra l’altro, la banana di Cattelan, Comedian, sembra essere una citazione. In entrambi i casi, è chiaro, abbiamo l’interpretazione pittorica di cosa sia una banana. E in entrambi i casi diremo «che bella banana!» a qualcosa che di fatto una banana non è. Non lo è nella materia attraverso cui si presenta, e non lo è nemmeno nella forma con cui si presenta. In un caso limite, quello dell’illustrazione iperrealista, potremmo avere qualcosa che è quasi indistinguibile da una banana vera. Che cosa diremo? Diremo: sembra una fotografia! Ovvero, di nuovo la rappresentazione di una banana. Possiamo dedurre, certo con qualche superficialità, che “l’arte più è finta e più è vera”. Dove “finto” sta per l’oggetto che non è mai l’oggetto in sé, perché è rappresentato, e “vero” sta per la ricezione del pubblico, che dice, per l’appunto, ‘che bella banana!’ e dunque assegna, a ciò che vede, un valore di verità.

Ora, Maurizio Cattelan ha appiccicato una banana vera, con del nastro adesivo, a un muro. Questa immagine ha fatto il giro del mondo. La reazione della maggior parte delle persone è stata quella che ci si può aspettare: non è arte! è una presa in giro! ma come fa ad avere valore una schifezza del genere! 

Si può dare torto a chi reagisce così? Tutto sommato, no. Però possiamo riflettere, e assumere che “più l’arte è vera e più è finta”. Dove “vero” sta per la materialità della banana e dello scotch, e “finto” sta per la ricezione del pubblico, che rifiuta, che giudica l’opera qualcosa di falso (non è arte!). Strano paradosso, no? Se la banana è finta, si afferma la verità dell’arte. Se la banana è vera, si nega la verità dell’arte.

Vorrei ora che si cogliesse la forma di questo ragionamento. Se lo condensiamo, suona così: “Strana cosa l’arte. Più è finta e più è vera, e più è vera e più è finta”. In termini retorici questo è un chiasmo. Chiasmo deriva dalla lettera greca χ (chi) che, per la sua forma incrociata, descrive quel tipo di frase dove due termini concettualmente paralleli si dispongono in un senso nella prima parte della frase, e in senso inverso nella seconda parte. Ma tu guarda. Anche Comedian ha una forma incrociata. È un chiasmo visivo. Allora forse dentro quest’opera, per molti aspetti insulsa – e chi sono io per obiettare a questo giudizio – c’è qualcosa che ha a che fare con la verità dell’arte, e dunque anche con la sua non verità. E di riflesso con la verità della vita, e dunque anche con la sua non verità. Forse non è poi così insulsa.

A proposito di Comedian, Roberto Ago, su ArtTribune del 12 dicembre 2019, scrisse: «A taluni è sembrato un capolavoro di sprezzatura, a tal’altri mera spazzatura, e il bello è che, in barba ad Aristotele, comunque ci si schieri si ha torto e ragione ad un tempo». L’opera era stata appena esposta all’Art Basel di Miami. Un paio di mesi prima che il Covid irrompesse nelle nostre vite. Sono d’accordo col giudizio di Roberto Ago. Bisogna tenere insieme i due corni della vicenda: schifezza epocale e capolavoro, insensatezza e genialità, volgare presa in giro e vetta artistica seminale. Va tutto insieme. Se si propende per l’uno o per l’altro aspetto, polarizzandosi in un giudizio che non accetta obiezioni, si opera comunque una riduzione dell’opera, anche qualora ci si decidesse per il capolavoro. Si deve oscillare nella dialettica inaugurata dall’opera stessa. Si deve stare nel chiasmo.

Per questo trovo inadeguati non solo i giudizi di rifiuto indignato, ma anche quelli sprezzanti di chi, col ditino puntato, spiega l’arte al povero volgo ignorante, dall’alto di una superiorità estetico/morale conquistata – e già questo fa ridere – per il fatto di aver letto dei libri. Anche perché in genere questi “spiegoni” si riducono a dire che chi compra l’opera di Cattelan non compra l’opera, compra l’idea. Vero. La banana marcisce, la banana va sostituita, l’idea no, non marcisce. Questo è uno spunto di riflessione interessante. Ma è tutto qui? E poi, quale sarebbe l’idea? È una banana attaccata a un muro. E ancora: un artista, anche contemporaneo, è uno che ha “belle idee”? Sembra una categorizzazione piena di limiti, insufficiente. Oppure: non è l’oggetto a essere arte, ma l’idea di presentarlo in un dato modo. Sarà. Ma non è, ancora, troppo poco? E soprattutto: non è già stato fatto? In modi non del tutto dissimili Marcel Duchamp ha capovolto un orinatoio nei primi anni del ’900, Piero Manzoni ha inscatolato la sua “Merda d’artista”, Gino De Dominicis ha esposto una vera “Mozzarella in carrozza” nel 1970. Che fai Cattelan, copi?

Dobbiamo accettare che i livelli di lettura siano tanti. L’artista ci porta dentro un gioco di specchi che si rinfrangono all’infinito, lasciandoci disorientati. Diciamo pure che è un’opera d’arte insulsa. Siamo autorizzati a farlo, tanto quanto altri sono autorizzati a dire che si tratta di un capolavoro. L’arte è l’esperienza di chi sta davanti all’oggetto artistico, prima che norma o canone imposti da critici e intellettuali. Da fruitore comune, continuo a trovare adeguato accomodarmi nel chiasmo. Oscillare tra i due opposti: insensatezza e capolavoro. Perché così, forse, si coglie la vera dimensione dell’opera, che consiste nel suo essere ambivalente. E se, alla fine, fosse proprio questo l’effetto che l’artista voleva ottenere? Smascherare, nichilisticamente, l’insulsatezza (si perdoni il neologismo) dell’arte. Non solo di quella contemporanea. Di tutta l’arte. La sua impotenza a renderci felici. A cambiare la vita. A trovare per noi un senso definitivo e glorioso. Ma…

L’arte è l’esperienza di chi sta davanti all’oggetto artistico, prima che norma o canone imposti da critici e intellettuali

Ma, a differenza di tante altre espressioni di insensatezza e insulsatezza – tipiche di tanta arte contemporanea – qui non ci troviamo davanti al puro vuoto. Comedian è piena di cose. C’è la sprezzatura, il frutto comprato al mercato che ora vale più di opere che hanno richiesto tempo, fatica e talento. C’è la provocazione, lo scandalo. La gente muore di fame e un miliardario è disposto a spendere sei milioni di euro per una banana e un pezzo di scotch (ma è più scandaloso questo, o la buona uscita da 100 milioni di dollari dell’amministratore delegato di Stellantis? È più scandaloso il mercato dell’arte o il mercato del lavoro?). C’è lo sberleffo a Platone, che criticava l’arte in quanto materiale di risulta, volgare copia della realtà che è già a sua volta una copia del mondo delle idee. Qui c’è una banana. Non la sua copia. Nessuno potrà scrivere c’eci n’est pas une banane. E poi c’è la citazione. Riprendendo Warhol, Cattelan ci dice che l’arte contemporanea non può che essere pop. Nessuna pretesa metafisica. Nessun Aldilà a cui guardare, nemmeno l’al di là dell’arte. Piuttosto un cupo riferimento all’al di qua, alla nostra condizione mortale. La banana di Warhol è eterna, quella di Cattelan marcisce. Niente di nuovo. Cattelan da sempre ci parla della morte. Dietro alle sue opere c’è quell’oscura malinconia – come la chiama Nancy Spector, curatrice di alcune sue mostre – che va ben oltre la maschera irridente e clownesca, o l’attitudine allo sberleffo dissacratorio che ne connota la cifra superficiale. 

Sberleffo dissacratorio, istrionismo, clownerie… che sono però parte integrante dell’estetica dell’artista. L’opera si chiama Comedian, e noi sappiamo che il commediante, il comico, il guitto, è lui, è Cattelan, che forse ci vuole dire, con Shakespeare, che «la vita non è che un’ombra che cammina, un povero guitto / che si pavoneggia e si dimena per la sua ora sulla scena / e del quale poi non si sa più nulla… è una favola / raccontata da un idiota, piena di strepiti e furore / senza significato alcuno» (Macbeth, atto V).

Ancora una nota, a questo proposito. Ma quanto troverà divertente, il famoso artista, il fatto che la sua banana – la sua banana! – sia oggetto di ammirazione e dileggio, e faccia il giro del mondo, e trovi chi è disposto a pagare una fortuna per possederla?

Va bene. È tutto? No, manca un pezzo. C’è un grande rimosso, direbbe la psicanalisi. E questo rimosso è, sic et simpliciter, l’opera. Perché tra il tanto parlare, il tanto esaltare e il tanto detrarre, e i metadiscorsi e le prese di posizione, alla fine ci si perde nel marginale, nel corollario, nel concettuale, e ciò che si smette di vedere, che scompare, è proprio l’oggetto artistico in sé. Che ha una sua estetica. Minimale, per carità, ma non per questo irrilevante. Non dobbiamo dimenticare che Maurizio Cattelan è un grande artista figurativo. Forse il più grande tra i contemporanei. Per lui la figura ha ancora un senso. Enigmatico, ma insopprimibile. Di qui, la domanda: ma non sarà che la banana di Cattelan è anche bella?

Sarebbe piaciuta ad Armando Testa, maestro e amante della sintesi visiva. Nell’era della sua riproducibilità tecnica, l’arte è fatta anche di abbreviazioni, di segno puro, di forma che entra in circolazione mediatica e cambia, ce ne rendiamo conto o meno, il nostro modo di vedere le cose; o perlomeno lo amplia, lo trascina a nuove dimensioni, lo emancipa dalle costrizioni e dai pregiudizi dello sguardo. Comedian è un incrocio di giallo e argento su fondo bianco. L’accostamento cromatico non sembra casuale, è un bell’accostamento. Il chiasmo è imperfetto, perché il nastro prosegue in linea retta e la banana curva. Fa la mezzaluna. Fa un sorriso. Come fanno le banane. Il nastro si ingobbisce qui è là dove non riesce ad aderire né alla banana né al muro. Così una X diventa qualcosa di nuovo. Un segno singolare, riconoscibile, indimenticabile, come lo swoosh di Nike. Comedian è un’opera grafica. È anche una campagna pubblicitaria, fatta di titolo e visual non didascalici tra loro. È qualcosa che ha senso nell’era della riproducibilità tecnica dell’arte. Va vista sulla copertina di un libro, o di un disco. O sul post di un social, dove ci attira inesorabilmente. Perché davanti a quella X noi ci fermiamo. Solo per un istante. Ma un istante in più rispetto a quanto tutte le altre immagini che scrolliamo compulsivamente riescono a fare. Comedian è anche uno sberleffo alla stessa “riproducibilità tecnica dell’arte”. Qui non c’è bisogno di tecnica, per riprodurre. Bastano un muro bianco, o comunque molto chiaro, una banana non troppo matura e un nastro adesivo grigio, di quel grigio lì. 

In foto: l’opera d’arte “Comedian” di Maurizio Cattelan esposta durante un’anteprima d’asta da Sotheby’s a New York, lunedì 11 novembre 2024. (Foto AP/Eduardo Munoz Alvarez)

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