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«Perché proprio io?». La risposta di Kurt Vonnegut alla domanda impossibile

L'autore statunitense suggerisce che esiste un’altra modalità di abitare nel tempo e mostra la vanità dei tentativi di contrastare il suo trascorrere: l’illusione del giovanilismo, il consumismo di cose ed esperienze, la socializzazione pervasiva di ogni frammento di vita, la riduzione di ogni azione a performance o a competizione

di Maria Laura Conte

«Benvenuto a bordo, signor Pilgrim» disse l’altoparlante. «Domande?». Billy si passò la lingua sulle labbra, rifletté un momento e infine chiese: «Perché proprio io?».

La domanda di tutte le domande risplende da questa pagina del romanzo Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut, uno di quei libri da leggere prima di invecchiare troppo. Perché tratta delle ferite misconosciute della guerra, che oggi divora sempre più terreno intorno a noi, e dell’umanità che nel mentre, assuefatta, continua a correre in cerca di ancora oggi.

Billy è un tipo originale, corpo minuto, intelligenza non particolarmente acuta, sempre in balia di eventi assurdi che ne fanno un improbabile protagonista di imprese eroiche. Due su tutte: sopravvive al bombardamento di Dresda durante la seconda guerra mondiale e il rapimento da parte di extraterrestri, che lo portano sul pianeta Trafalmadore, dove impara a viaggiare nel tempo. 

Alla domanda di Billy, «Perché proprio io?», risponde un trafalmadoriano saccente: «Questa è una tipica domanda da terrestre, signor Pilgrim. Perché proprio lei? Perché proprio noi, allora? Perché qualsiasi cosa? Perché questo momento semplicemente è. Ha mai visto degni insetti sepolti nell’ambra?».

Ecco l’immagine cardine del romanzo: la goccia di ambra che trattiene in trasparenza la vita, il deposito del tempo vissuto, per sempre. Come un gioiello. L’extraterrestre mette a fuoco e scatta la foto di noi nel tempo: «Be’, eccoci qua, signor Pilgrim, incastonati nell’ambra di questo momento”». Siamo insetti noi? Sì, ma siamo anche ambra: tratteniamo, in qualche piega intima, ogni filo, ogni colore, della trama vissuta e degli incontri che ci hanno costituito. 

Gli abitanti del pianeta lontano Trafalmadore, che ha creato la mente di Vonnegut, sono liberi dalla paura dello scorrere del tempo e quindi anche dall’ansia della morte e delle sue mille declinazioni quotidiane: vedono tutta la parabola del tempo come noi potremmo vedere un tratto delle montagne rocciose, spiegano. Al suo interno si muovono in scioltezza, avanti e indietro. Basta un dettaglio, un tratto del volto, un profumo o un oggetto, e si proiettano istantaneamente nel passato o nel futuro. «Tutto il tempo è tutto il tempo», dicono. Tradotto in lingua terrestre: nessun momento è mai andato, perduto. Nulla del tempo si consuma e incenerisce. Rimane. Viaggiare nel tempo sembra così alla portata di tutti: richiede esercizio nel custodire rapporti personali, amici e reti, e alimentare la memoria, rinfrescarla e ricaricarla continuamente di ricordi nuovi. 

Vonnegut suggerisce che esiste un’altra modalità di abitare nel tempo e mostra la vanità dei tentativi di contrastare il suo trascorrere: l’illusione del giovanilismo, il consumismo di cose ed esperienze, la socializzazione pervasiva di ogni frammento di vita, la riduzione di ogni azione a performance o a competizione…

Con l’escamotage fantascientifico-sociologico, Vonnegut disinnesca il sospetto che le cose siano ingiustificate: se è vero che niente si autodetermina (Billy surfa continuamente sulla cresta di vicende straordinarie che gli capitano e non crea lui), allora è vero anche che nulla accade per caso. Un senso del tempo c’è: quello che è, resta. Al massimo si sbiadisce il ricordo. 

Certo nelle dinamiche dei personaggi del romanzo si aprono crepe profonde sul tema della responsabilità, del dovere, delle diseguaglianze e ingiustizie, della disumanità radicale di cui l’umanità sa essere capace. C’è il dramma singolare che si incastona in quello collettivo, e la forza distruttiva dei conflitti nei confronti di città intere e singole persone. C’è la follia che origina le guerre e da esse è generata. 

Ma viste con gli occhi di Billy – trafalmadoriano di ritorno – queste crepe appaiono, per quanto profonde e buie, inserite in un percorso che ha il suo senso. Non riuscire a coglierlo subito, non è un’obiezione accoglibile.

Foto: Wikipedia

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