Idee Cinema
Parthenope? Un bellissimo imbroglio
Alla fine della proiezione la domanda resta viva: era un mistero o una truffa? Chi prova a sciogliere il quesito in una risposta muore di retorica, chi non se la pone perde lo sguardo “altro”, chi resta con la domanda che scava dentro scopre la sua religiosità, inizia a vedere
Che l’ultimo film di Paolo Sorrentino sia un trionfo di immagini, suoni e colori, è acclarato più o meno unanimemente, soprattutto dai tanti critici del film che si affannano nel risparmiare quei tre elementi, anche quando le stroncature vanno giù dure.
Se sia un capolavoro filmico nel suo insieme o un’opera retorica e mediocre è, invece, il vero divario nel pubblico, dagli esperti ai singoli commentatori social. Difficile ascoltare opinioni di chi sia rimasto totalmente indifferente alla pellicola, o entusiasta o indignato, o coinvolto fino al pianto o annoiato fino allo sbadiglio.
Per questo a me Parthenope è piaciuto tantissimo. Perché ti imbroglia. “La bellezza è come la guerra, può prendere senza chiedere e spalanca tutte le porte” avvisa il poeta, ed è proprio questo che avviene in sala.
Mentre ti immergi nell’estetica di un corpo femminile che non avevi mai visto prima (perché l’attrice è volutamente alla sua prima apparizione in un lungometraggio), mentre ti perdi nei suoi occhi e nelle sue leggere sinuosità, invitato da un piccolo demone a concentrarti solo sulla schiena, ti immergi contemporaneamente nella musica e nel mare. Come in fondo dovrebbe avvenire per chi incontra una sirena. Cerchi di dare un senso etico alla bellezza, perché siamo indotti a pensare istintivamente che ciò che è estremamente bello sia anche intrinsecamente buono, ma non trovi terra. A volte ti pare di aver colto una qualità, un attimo dopo non c’è più. La bellezza e le voci che ingannano Ulisse sono di fronte a te che sei in qualche modo legato ad una poltrona di cinema e sei costretto a vedere ed a cercare un senso.
E mentre cerchi, ti accorgi che anche lei è come te, sta cercando un senso, una direzione alla sua bellezza. “Dovrei fare l’attrice?”, sarà la domanda che si pongono tutte le donne dotate di un mistero estetico che anche gli altri riconoscono apertamente. Ma si intuisce subito che la recitazione sarebbe stata solo una caricatura della realtà e gli occhi per un attimo si spengono. E torna il vaticinio di un poeta “il silenzio dei belli è un mistero, nei brutti è un fallimento”.
La dea potrebbe restare in silenzio e interrogare lo stesso gli astanti, ma non ci sta, è alla continua ricerca della “risposta giusta” ed anche della “risposta ad effetto”, e continua la sua ricerca, nel potere, nel dovere verso i genitori, nel sesso, nella maternità, ancora senza trovarla. La cerca nel dolore, vuole concentrarsi sui motivi che ispirano al suicidio, ma accade il primo vero divesivo nella narrazione. La proverbiale saggezza napoletana, la sua spiritualità diffusa e latente la portano con mano ad alzare lo sguardo verso “le frontiere del miracolo”. Non guardare dentro l’abisso degli occhi spenti del mondo, fino a diventare di sale, ma inventarsi uno sguardo altro, che entri con coraggio negli antri del mistero profondo che pulsa sotto la vita di una città, cogliere “l’impatto culturale del miracolo nelle città avanzate”, cogliere il nesso tra la superficie ed il profondo, tra lo spirito di un luogo ed il suo folklore, tra la sua banalità e la sua santità. Ed il viaggio della sirena continua ancora, la sua bellezza spalanca le porte fino al limite della blasfemia, toccando la sabbia in fondo all’oceano dell’umanità per poi risalire ancora. Un altro piccolo miracolo l’attende, la bellezza misteriosa dei mostri e delle persone semplici, l’incontro a tu per tu con l’humus di Napoli, fatto solo di acqua e sale, affetti domestici, risate scomposte. È il momento di ripartire.
In Parthenope c’è un grande racconto sugli spiriti fondativi delle città, quelle leggende che da secoli informano lo spirito di popoli legati da una comune origine, di cui i popoli stessi hanno perso le tracce ed a cui restano intimamente e incoscientemente legati.
E quando il film finisce, la domanda resta viva: era un mistero o una truffa? Chi prova a sciogliere il quesito in una risposta muore di retorica, chi non se la pone perde lo sguardo “altro”, chi resta con la domanda che scava dentro scopre la sua religiosità, inizia a vedere.
Ma siccome anche solo “vedere la realtà” senza riderne renderebbe tutto noioso, ecco che emerge Napoli nelle parole del suo daimon: alla fine di tutto, mentre il tempo scorre accanto al dolore, resterà solo l’ironia. Napoli può sopravvivere alle sue perdite ed alla perdita dei suoi amori giovanili, ma non può esistere senza l’ironia e lo sberleffo, senza le frasi ad effetto con cui il dialetto napoletano ha contaminato l’arte nel mondo.
Con questa stessa ironia, anche il film guarda se stesso, senza finire mai, e ti sale la voglia, un attimo dopo che compaiono i titoli di coda, di tornare a vederlo.
Credit foto: Gianni Fiorito
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