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Lavoro e intelligenza artificiale: ha ragione mister Tesla o mister Linkedin?

Elon Musk ha parlato di un futuro in cui l'automazione e l'IA potrebbero rendere il lavoro umano largamente superfluo. Reid Hoffman, cofondatore di LinkedIn pensa invece che «gli umani verranno sostituiti da essere umani che usano l'IA». Chi ha ragione?

di Antonio Palmieri

Luglio è tradizionalmente un tempo di vacanze. Lo è per chi è già in vacanza e per chi invece attende agosto. Quindi paradossalmente è il tempo migliore per (ri)mettere a fuoco il “bipolarismo” sul futuro del lavoro nell’era dell’intelligenza artificiale. Un bipolarismo diviso tra chi preconizza un futuro senza lavoro e chi invece vede un nuovo futuro per il lavoro, tra gli alfieri della sostituzione e i sostenitori dell’affiancamento dell’intelligenza artificiale al lavoro dell’essere umano.

Sam Altman, il “papà” di ChatGPT, ceo di OpenAI, ed Elon Musk, fondatore di SpaceX e Tesla, ceo di X (ex Twitter), pur divisi su molte cose, prevedono che l’intelligenza artificiale renderà il lavoro umano obsoleto. Altman ha più volte espresso l’idea che le macchine svolgeranno la maggior parte, se non tutto, del lavoro necessario nella nostra società. Musk ha parlato di un futuro in cui l’automazione e l’IA potrebbero rendere il lavoro umano largamente superfluo. “In uno scenario favorevole, probabilmente nessun essere umano in futuro avrà un lavoro”. Questa la sua previsione, ribadita ancora poche settimane fa a VivaTech 2024. 

Per Altman e Musk questo scenario richiederà il ripensamento della struttura economica della società. Mentre le macchine e l’IA si occuperanno della produzione e dei servizi, a noi umani spetterà un reddito universale, garantito dallo Stato. Come finanziarlo? Secondo Musk sarà necessario introdurre una robot tax, la tassa sui robot. Per Altman va introdotta una Universal Basic Compute, ossia la distribuzione di una quota della potenza di calcolo avanzata dell’intelligenza artificiale, che gli individui possono utilizzare, vendere o donare, una nuova forma di denaro in un mondo guidato dalla tecnologia.

Dall’altra parte della barricata, tra chi vede un nuovo futuro per il lavoro, troviamo Reid Hoffman, cofondatore di LinkedIn, imprenditore tech e investitore di venture capital e David Autor, economista del lavoro al MIT, Massachusetts Institute of Technology, esperto di automazione e disuguaglianza.

«Gli umani – ha detto Hoffman intervistato da Repubblica il 10 giugno – verranno sostituiti da umani che usano l’AI. Questo non significa che la transizione non sia impegnativa e difficile, perché implicherà diverse incognite. Come la imparo? L’azienda mi darà la possibilità di farlo? O assumeranno una nuova persona in grado di usarla?”. Dal canto suo Autor ha formulato la tesi secondo cui l’intelligenza artificiale può contribuire a creare posti di lavoro: da un lato avremo bisogno di nuove figure professionali qualificate e dall’altro nuove opportunità alle classi più colpite dall’automazione e dalla globalizzazione. Perché? Perché, se li sappiamo usare bene, gli strumenti dell’intelligenza artificiale ci fanno diventare più bravi e, quindi, più pagati.

Sono due visioni inconciliabili. La prima prospettiva, forse non a caso indicata da chi prospera grazie all’intelligenza artificiale, mitiga le paure ma propone una visione negativa del lavoro, visto come una triste necessità dalla quale essere liberati grazie alle macchine, ai software e alla benevolenza dello Stato. 


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Nella seconda prospettiva la tecnologia diventa uno strumento per potenzialmente liberare il meglio di noi stessi. L’affiancamento dell’intervento dell’intelligenza artificiale è vista come miglioramento dell’umano. Una prospettiva che rimette l’umano al centro del processo e che indica il lavoro ben fatto come espressione del nostro essere. 

La sostanza è che siamo solo all’inizio dell’era dell’intelligenza artificiale. Senza dubbio la rivoluzione dell’IA generativa è difficile da affrontare, perché riguarda capacità finora esclusive di noi esseri umani. Da qui le grandi paure della perdita di posti di lavoro in moltissimi settori e la sostituzione dell’uomo da parte dei software. Oggi non abbiamo elementi per dire quale delle due visioni si avvererà. 

Tuttavia, in attesa di vedere come finirà, abbiamo però tre certezze, caratterizzate dal fatto che non abbiamo bisogno di emotività, ma di fare la fatica di comprendere tutti i fattori della realtà e di una comunicazione costruttiva, capace di spiegarli con chiarezza.

La prima certezza è quella indicata dal titolo del ciclo di incontri organizzati dalla Fondazione Pensiero Solido: “Intelligenza artificiale e lavoro. Come cambia, come dobbiamo cambiare noi.” L’impatto dell’intelligenza artificiale ci obbliga a ripensare e a ripensarci rispetto al lavoro, al ruolo che oggi ricopre nella vita delle persone, a quale leadership occorre per guidare il cambiamento in atto. Continueremo a ragionare di questi aspetti nel terzo incontro della serie, lunedì 15 luglio dalle 17.30 al Cefriel, in Viale Sarca 226 a Milano.

La seconda certezza. Come finirà dipenderà anche dalle scelte di utilizzo delle varie forme di intelligenza artificiale che faremo, come società e, soprattutto, singolarmente. Per esempio, nessun algoritmo obbliga un imprenditore a sostituire/licenziare una persona che lavora, invece di affiancarle un sistema di intelligenza artificiale che svolge i compiti ripetitivi e liberi tempo da dedicare a lavori a più alto valore aggiunto. 

La terza e ultima certezza è che nell’attesa di vivere il futuro del lavoro, dobbiamo continuare a batterci contro la realtà presente, che troppo spesso è fatta di lavoro senza un futuro. Il lavoro povero per i giovani, sottopagato e senza prospettive, il lavoro che esclude le donne che vogliono essere madri, il lavoro che sfrutta gli immigrati che vogliono integrarsi nel nostro paese, il lavoro che ci costringe a lasciare a casa il meglio di noi stessi, perché organizzato secondo un modello comando/controllo che oggi non regge più. Vasto programma?


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