Idee Diritti

L’autonomia differenziata? Uno stravolgimento del principio costituzionale del decentramento

L'intervento dei coordinatori del Forum Disuguaglianze Diversità: "L’autonomia è stata immaginata dalla Costituzione per attuare a misura dei luoghi obiettivi nazionali di uguale accesso e qualità dei servizi: questo non è affatto assicurato nella legge che chiediamo di abrogare. Essa non offre alcuna vera garanzia di perequazione a favore di Regioni con minore imposte pro-capite creando le basi per aggravare la spaccatura del Paese in termini di qualità dei servizi"

di Fabrizio Barca e Andrea Morniroli

Pensiamo che la legge che attua la cosiddetta “autonomia differenziata” sia una pessima legge che stravolge la logica del decentramento voluta dalla Costituzione e danneggia la vita e il futuro di ogni persona del nostro paese.

Pensiamo questo proprio perché crediamo assai nell’autonomia dei livelli decentrati di governo. Crediamo che per rispondere alle diverse condizioni e aspirazioni delle persone in diversi territori obiettivi e indirizzi nazionali o europei devono essere declinati luogo per luogo nel confronto con le persone; e questo richiede decentramento. Quale sia il livello di autonomia, come debbano coordinarsi i diversi livelli, sta nell’arte del governare. La Costituzione, nel Titolo V ha stabilito che per 20 materie decisive, fra cui istruzione, ricerca, tutela della salute, energia, lo Stato legifera sui principi e le Regioni sul resto, ma ha aperto la possibilità che lo Stato affidi alle Regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Ovviamente, la bussola per concedere tale “ulteriore autonomia” non può che essere il benessere delle persone, di quelle che vivono nella Regione che la chiede e di quelle del Paese intero. La legge 86/2024 di cui chiediamo l’abrogazione è priva di questa bussola ed è anzi destinata ad accrescere ingiustizie e disuguaglianze.

Le ragioni puntuali di questo nostro giudizio sono riassunte in un “volantino” a cui rinviamo (qui), e fra queste: non sono previsti criteri per valutare la richiesta delle Regioni; vengono poste le basi per peggiorare ulteriormente la qualità dei servizi nelle Regioni dove più basso è il reddito pro-capite medio; produce una competizione distruttiva fra le Regioni per accaparrarsi personale; deresponsabilizza lo Stato, erodendo le basi del welfare universale; mina la tutela del lavoro e l’azione delle imprese.  Abbiamo voluto confrontare queste nostre convinzioni con persone che da tempo lavorano su questi temi, incontrandole durante un “banchetto” di raccolta firme che ci ha visto impegnati sulla soglia della Fondazione Basso lo scorso 17 settembre. Le parole che abbiamo ascoltato (qui e qui su Radio Radicale) sono importanti e arricchiscono il paniere di argomenti che, se, come ben deve essere, la Corte Costituzionale riterrà il quesito ricevibile, potremo usare in primavera per convincere oltre 25 milioni di persone a votare “SI, abroghiamola perché ci fa male”.

Con l’autonomia differenziata, ci ha detto Marco Esposito, giornalista del Mattino di Napoli “la residenza diventa un fattore che determina o meno la possibilità di veder garantiti i propri diritti o di poter usufruire degli stessi servizi”, finendo non solo per cristallizzare ma per rendere più densi i divari sociali, economici e territoriali che già oggi caratterizzano il Paese impedendone uno sviluppo giusto dal punto di vista sociale e ambientale. Un Paese in cui già oggi, come ci ha ricordato Serenella Caravella, ricercatrice Svimez, con dati inequivocabili, “le due dimensioni principali della cittadinanza – l’istruzione e la sanità – sono molto differenziate da territorio a territorio” e non solo tra Sud e Nord. E’ il segnale che emerge anche dalla nota “Autonomia differenziata e disuguaglianze di accesso ai servizi”, pubblicata dal ForumDD nel luglio scorso e curata da Mariella Volpe, economista e membro della nostra Assemblea.

Sul fronte della sanità e dell’assistenza agli anziani i dati mostrano come anche le regioni settentrionali corrono rischi di desertificazione sanitaria, essendo quasi tutte estremamente deboli nell’assistenza territoriale. Dai dati del Rapporto Ahead di Cittadinanzattiva, citati dalla vice-segretaria generale Francesca Moccia durante la nostra iniziativa, emerge ad esempio che Asti e provincia contano meno pediatri per numero di bambini rispetto alla media nazionale (1.813 bambini per professionista contro una media nazionale di 1.061, con la normativa che ne prevede circa 800).

E ancora. Con l’autonomia differenziata la Lombardia potrebbe pagare di più i propri medici, e se il Piemonte, più povero, non riuscisse a emularla si troverebbe a dover fronteggiare un’ulteriore carenza di medici. Rispetto all’assistenza agli anziani non autosufficienti, l’autonomia differenziata, deresponsabilizzando lo Stato centrale priva l’Italia di ogni speranza di una riforma unitaria sul settore, attesa da 20 anni, in un Paese che oggi investe molto meno di tanti altri paesi Eu per il long term care: il 10,1% dell’intera spesa sanitaria pubblica a fronte del 26,3% della Svezia, del 24,8% dell’Olanda, del 24,3% del Belgio, del 18,2% nel Regno Unito e del 16,3% in Germania.

L’impianto della legge può essere assai pesante per tutte e tutti noi anche nel campo dell’istruzione. Apre la strada alla perdita di un’unità nazionale negli indirizzi e nei principi generali che assicuri a ogni giovane di acquisire la conoscenza critica per scegliere con la massima libertà la propria strada nel mondo. E, come per la salute, crea le basi per cristallizzare disuguaglianze oggi già gravi, fra persone che vivono in territori diversi. Un solo esempio, la dispersione scolastica. In Italia, nonostante la tendenza in diminuzione, un giovane di età compresa tra i 18 e i 24 anni su dieci (10,5%) ha abbandonato prematuramente gli studi e i divari territoriali sono molto forti, con 17,3% per la Sardegna, 17,1% per la Sicilia e 16% per la Campania.

L’autonomia è stata immaginata dalla Costituzione per attuare a misura dei luoghi obiettivi nazionali di uguale accesso e qualità dei servizi: questo non è affatto assicurato nella legge che chiediamo di abrogare. Essa non offre alcuna vera garanzia di perequazione a favore di Regioni con minore imposte pro-capite creando le basi per aggravare la spaccatura del Paese in termini di qualità dei servizi, in barba agli art. 2 e 53 della Costituzione. I Livelli Essenziali di Prestazione, in assenza di “maggiori oneri” o assicurando “invarianza finanziaria”, non sono una garanzia. Peggio. Se essi sono costruiti in modo improprio possono addirittura giustificare la cristallizzazione delle disuguaglianze. E’ quanto avviene se si considera in qualche modo il livello di servizio di un territorio come la misura del “fabbisogno”, della domanda di servizi, di chi vive in quel territorio: insomma, “se in Calabria ci sono pochi asili nido è perché le donne della Calabria vogliono tirare su bimbe e bimbi a casa anziché lavorare”, facendo finta di ignorare che sono assenza di servizi e condizione economica a produrre quell’esito. Se si fosse ragionato così nel dopoguerra, ci ha narrato con forza anni fa la storica Leandra D’Antone, l’autostrada del Sole si sarebbe fermata a Napoli o Salerno: è la disponibilità di servizi adeguati che rimuove ostacoli al “pieno sviluppo della persona umana”, obiettivo primario della nostra Costituzione.  

Foto: attività all’interno della cooperativa Dedalus di Napoli, presso cui lavora Andrea Morniroli, uno degli autori di questo articolo

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