Idee Analisi

La ragione dei sabotatori in azienda? Il patto diabolico tra politica e impresa per contrarre i salari

Negli ultimi dieci anni, la politica fiscale ha trasferito risorse dai lavoratori alle aziende, senza però aumentare gli investimenti in ricerca, produttività o salari. Queste risorse sembrano essere finite nelle rendite degli azionisti, delegittimando la centralità del lavoro a favore del capitale

di Simone Cerlini

he rapporto c’è tra l’illusione monetaria e il recente “Gallup State of Global Workplace Report” che tanto interessa esperti del mercato del lavoro, risorse umane e ricercatori di soluzioni per attrarre e trattenere talenti? L’illusione monetaria è quel fenomeno per cui le persone percepiscono il valore del denaro in termini assoluti e non per quello che il denaro può comprare. Si tratta della fallacia per cui un investitore stima che il valore del proprio portafoglio titoli di 50.000 euro del 2000 sia lo stesso dopo vent’anni, se l’importo rimane invariato. In realtà, si tratta di un errore comune, poiché non si considera l’impatto dell’inflazione.

Questo fenomeno è ben conosciuto da chi si occupa di mercato del lavoro, rendendo quel mercato alquanto insolito perché non risponde alla legge della domanda e dell’offerta in modo razionale. Anche in situazioni di inflazione negativa, è improbabile che i lavoratori accettino riduzioni salariali. D’altro canto, sappiamo bene che la contrattazione non sempre riflette il crescente costo della vita. In termini tecnici, il mercato del lavoro è un mercato anelastico.

L’illusione monetaria non riguarda solo investitori ingenui e lavoratori, ma è anche diffusa tra i decisori politici. Lo dimostra il recente “Rapporto annuale sulla politica di bilancio – giugno 2024” dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, guidato da Livia Cavallari. Lo commenta Stefano Feltri nel suo spazio “Appunti” su Substack, e la sua lettura è che tutti gli interventi fiscali di questi anni sono stati inutili. Il reddito disponibile degli italiani è mediamente più basso nonostante un decennio di apparenti tagli fiscali. Feltri dimostra che i tagli fiscali sono stati compensati dal “fiscal drag”, un fenomeno per cui, quando i redditi aumentano a causa dell’inflazione, una quota parte cade in un’aliquota IRPEF più alta, aumentando di fatto il carico fiscale e riducendo il potere d’acquisto reale.

Negli ultimi vent’anni, l’inflazione media è stata circa del 2% annuo. Immaginando un adeguamento dei salari dello stesso importo, molti redditi sono passati a fasce fiscali più alte, comportando un aumento delle tasse pagate. Gli interventi sulle aliquote fiscali sono stati minimi negli ultimi vent’anni, mentre il legislatore è intervenuto con premi e sgravi di varia natura. Questo ha creato una dinamica distorta per cui solo i redditi tra i 35mila e i 40mila euro hanno guadagnato 85 euro, mentre tutti gli altri ci hanno perso.

Gli interventi sulle aliquote fiscali sono stati minimi negli ultimi vent’anni, mentre il legislatore è intervenuto con premi e sgravi di varia natura. Questo ha creato una dinamica distorta per cui solo i redditi tra i 35mila e i 40mila euro hanno guadagnato 85 euro, mentre tutti gli altri ci hanno perso

Senza interventi metodici sulle aliquote, l’imposizione fiscale cresce a causa della dinamica inflazionistica. Il rapporto mostra anche che l’imposizione fiscale sulle imprese è diminuita grazie alla riduzione delle aliquote e alle deduzioni che riducono l’imponibile. Negli ultimi dieci anni, la politica fiscale ha trasferito risorse dai lavoratori alle aziende, senza però aumentare gli investimenti in ricerca, produttività o salari. Queste risorse sembrano essere finite nelle rendite degli azionisti, delegittimando la centralità del lavoro a favore del capitale.

Cosa c’entra tutto questo con il rapporto Gallup? Il rapporto stima che in Italia ben il 25% dei lavoratori adotta comportamenti contrari agli obiettivi aziendali, ossia uno su quattro! Le aziende lungimiranti innovative bene fanno a ragionare sui valori, sul coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni, sul patto tra impresa e lavoro per la sostenibilità ambientale e sociale, e sullo stakeholder engagement come strategie per aumentare l’impegno dei dipendenti. Tuttavia, senza affrontare il problema cardine del salario, tutte le strategie di comunicazione interna ed esterna, di condivisione dei valori e dell’impatto sociale, appaiono inutili, contraddittorie e controproducenti se i dipendenti percepiscono che gli imprenditori o gli azionisti agiscono solo per il proprio interesse economico senza redistribuire equamente il valore aggiunto o senza programmare aumenti di produttività, che rendono possibili aumenti di salario, con investimenti mirati.

La ricchezza e la protervia dei manager (che spesso sono anche azionisti), degli imprenditori o degli investitori è un affronto che genera rabbia, quando il reddito da lavoro non consente di perseguire le aspirazioni legittime di una famiglia, di una casa dignitosa, di potere dedicare risorse (di tempo, ma anche monetarie) su sé stessi e sulle persone vicine per migliorare, crescere, vivere pienamente e valorizzare i propri talenti. La vera domanda a cui dobbiamo rispondere è quali sono le aspirazioni di lavora o di chi si avvicina al lavoro? Quali di queste aspirazioni sono frustrate e perché? Ci renderemmo conto che basterebbe davvero poco per creare le precondizioni per la soddisfazione in azienda: operare per salari equi.

Parti sindacali e decisori politici devono riconoscere l’importanza di combattere l’illusione monetaria. Senza un adeguamento delle politiche fiscali e un serio impegno nella redistribuzione del valore aggiunto, il mercato del lavoro continuerà a soffrire di disallineamenti e insoddisfazione, che anzi è destinata ad aggravarsi. Motivare i dipendenti non è solo una questione di benessere astratto sul posto di lavoro, ma anche di giustizia economica. L’ingiustizia percepita un po’ ovunque oggi è l’esito di un patto scellerato tra politiche fiscali e scelte di aziende canaglia. Sta alle aziende migliori e alla politica responsabile impegnarsi per affermare un nuovo insieme di valori. Un ambiente lavorativo produttivo è dove l’impegno dei dipendenti viene adeguatamente riconosciuto e ricompensato: un ambiente dove il valore fondamentale e condiviso è l’equità. 

Foto di Mike Bird per Pexels

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