Idee Muri da abbattere

La politica non guarda al futuro: d’accordo, ma siamo sicuri che lo faccia la società civile?

Se non affrontiamo, oggi, la questione generazionale, spalancando porte e finestre delle nostre organizzazioni, tra dieci anni, il Terzo Settore sarà un soggetto residuale nella società

di Federico Mento

Di recente, Assifero, organizzazione che raccoglie parte del sistema filantropico italiano, ha lanciato l’iniziativa Future Chair, con l’obiettivo di sensibilizzare gli attori della filantropia sull’impatto delle scelte prese dagli organi decisionali sulle future generazioni.

Future Chair pone un tema strategico, che va oltre il mondo della filantropia: in una società come quella italiana fortemente ipertrofica nella distribuzione demografica, con una netta preminenza delle generazioni over 50, come possiamo tenere in considerazione il punto di vista di coloro che non hanno ancora voice. A mio avviso, la sedia vuota dovrebbe essere posta in ciascuna delle istanze decisionali, affinché gli owner di quelle scelte siano consapevoli delle conseguenze che ricadranno sulle spalle delle nuove generazioni.

Sarebbe troppo semplice gettare la croce sulla politica, non guardando a ciò che accede nelle nostre organizzazioni

— Federico Mento

La Politica dovrebbe essere lo spazio naturale nel quale esercitare uno “sguardo lungo”, vedere prima, anticipare le sfide, guidare le transizioni. Purtroppo, la politica sembra aver rinunciato a confrontarsi con il futuro, piuttosto agisce come gestore del quotidiano, incurante dell’impatto delle proprie decisioni su medio-lungo termine. Sarebbe però troppo semplice gettare la croce sulla politica, non guardando a ciò che accede nelle nostre organizzazioni.

Come soggetti della società civile, parliamo spesso delle nuove generazioni, delle povertà educative, dell’emergere di nuove disuguaglianze, che non sono più riconducibili alle differenze di reddito, ma a qualcosa di più profondo, che determina o meno la possibilità di agire in un contesto attraversato costantemente dal cambiamento.

Siamo certi di essere attrezzati per gestire le nostre organizzazioni con lo “sguardo lungo”? In che misura, siamo capaci di portare il punto di vista delle nuove generazioni nella definizione delle strategie?

— Federico Mento

Siamo certi di essere attrezzati per gestire le nostre organizzazioni con lo “sguardo lungo”? In che misura, siamo capaci di portare il punto di vista delle nuove generazioni nella definizione delle strategie, nella revisione della missione, nei modelli organizzativi, nella gestione della governance? Per essere estremamente crudo e diretto, penso che gli strumenti sino ad oggi utilizzati per rispondere alle istanze delle giovani generazioni vadano paradossalmente ad acuire le distanze. Pensiamo, ad esempio, a modelli di cooptazione, che tanto ricordano la “concessione” paternalistica, elargita nelle stanze dove si prendono le decisioni, quelle vere però, che spesso non coincidono con i luoghi formali di presa di decisione. Oppure a modelli “circoscrittori”, in questo caso agiti da un paternalismo più gentile, ma sempre asimmetrico, che creano spazi ad hoc, le riserve indiane: qui stanno i giovani, sono liberi di “giocare” nello spazio che abbiamo identificato, ma guai ad uscire dalle demarcazioni.

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Proseguendo nella franchezza, se non affrontiamo, oggi, la questione generazionale, spalancando porte e finestre delle nostre organizzazioni, tra dieci anni, il Terzo Settore sarà ahimè un soggetto residuale nella società. Eppure, non è affatto residuale la domanda di partecipazione delle nuove generazioni, che si muove però nello spazio dell’attivismo, fluida, veloce, digitale, disintermediata. Senza disconoscere l’importanza di aspetti tanto cari alle nostre consuete – e a volte fumose – riflessioni (gli statuti giuridici, la fiscalità, il tema della rappresentanza ecc.), dovremmo riconoscere che è questa la vera sfida da affrontare e non ci sono scorciatoie da percorrere. Ho avuto la fortuna di incontrare, negli ultimi anni, centinaia di giovani, estremamente preparati, spesso con esperienze di studio all’estero, motivati, curiosi, profondamente connessi ai loro territori. Mentre noi siamo impigliati nostri rituali immutabili, che rendono poco interessanti e contendibili le nostre organizzazioni, le giovani generazioni lanciano nuove iniziative, startuppano, si mobilitano per il pianeta, praticano nuove modalità di partecipazione. Portare anche nelle nostre sedi decisionali una sedia vuota, ci può aiutare a fissare la priorità generazionale, ma possiamo e dobbiamo essere più ambiziosi: fare in modo che quella sedia non sia più vuota e che accanto ve ne siano, sempre di più, altre. Dall’esito di questa sfida, dipende il futuro delle nostre organizzazioni.

Foto di Kenny Eliason su Unsplash

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