Idee Cultura

La letteratura secondo Francesco (che si è ispirato a Marcel Proust)

Papa Francesco sostiene che le opere letterarie sono degne di essere lette non in quanto propedeutiche alla fede ma “in quanto tali”. Per il piacere di fare una esperienza che non ha bisogno di ulteriori giustificazioni

di Doriano Zurlo

È passata un po’ sotto traccia la Lettera del Santo Padre Francesco sul ruolo della letteratura nella formazione, pubblicata il 4 agosto del 2024. Nulla di strano. In un Paese come il nostro, dove si legge pochissimo, la letteratura non è argomento di conversazione comune. Nella mia “bolla social” però, scrittrici e scrittori sono legione. Ebbene, anche lì s’è detto poco o nulla. Nemmeno quegli autori che si dichiarano cattolici o che provengono da un retroterra cattolico poi abbandonato, si sono esposti più di tanto. Per questa ragione, mi ero fatto l’idea che le parole del Santo Padre fossero, nel migliore dei casi, superflue. A corroborare la tesi, qualche commento sporadico giungeva a giudicarle infarcite di banalità. Sottotesto: il Santo Padre si occupi delle cose sue; turiboli, ostensori, perorazioni per la pace… che la letteratura è roba da professionisti.

Mi ha fatto cambiare idea il professor Stefano Brugnolo, docente universitario di Critica letteraria e letterature comparate e autore di numerosi libri sull’argomento (l’ultimo di intitola Rivoluzioni e popolo nell’immaginario letterario italiano ed europeo, Quodlibet). Voglio riportare stralci del suo pensiero, così come lui stesso l’ha pubblicato su Facebook, e aggiungere, qui e là, qualche considerazione personale.

Ecco cosa dice Brugnolo:

«Il Papa ha scritto una lettera molto interessante sulla letteratura e sul ruolo che essa può avere nelle vite degli uomini. Se ne è parlato poco ma secondo me vale la pena leggerla. Non sono un credente e nemmeno un fan aprioristico di questo Papa, ma trovo che le cose che lui dice sulla letteratura siano interessanti e degne di essere commentate. Tra l’altro sono scritte bene, molto meglio di tanti testi scritti da specialisti della critica. In Francia uno come William Marx ha scritto su Le Monde: “les paroles du pape François sur la littérature, qui vont contre la tradition de censure de l’Eglise, sont révolutionnaires”.

Qual è il punto? Il punto è che Papa Francesco sostiene che le opere letterarie sono degne di essere lette non in quanto propedeutiche alla fede ma “in quanto tali”. Per il piacere di fare una esperienza che non ha bisogno di ulteriori giustificazioni. Vale la pena leggere quelle opere perché leggendole esci da te stesso e fai esperienza dell’Altro. E la cosa che mi ha impressionato è che nel dire questo il Papa si avvale delle idee di Marcel Proust, uno scrittore che in effetti ha perorato la causa della letteratura come una delle poche possibilità che ci sono date di mettersi in relazione profonda con gli altri. Papa Francesco si è lasciato ispirare da Proust (che cita più volte) per afferrare meglio il significato della lettura di opere letterarie nelle nostre esistenze. Scrive per esempio: «Si capisce così che il lettore non è il destinatario di un messaggio edificante, ma è una persona che viene attivamente sollecitata a inoltrarsi su un terreno poco stabile dove i confini tra salvezza e perdizione non sono a priori definiti e separati».

È proprio così. In un testo letterario vige il regime della formazione di compromesso, in cui non si dà una netta separazione tra bene e male, ma i valori si intrecciano. «L’atto della lettura è, allora, come un atto di “discernimento”, grazie al quale il lettore è implicato in prima persona come “soggetto” di lettura e, nello stesso tempo, come “oggetto” di ciò che legge».

A me pare convincente e mi stupisco che questa verità sia detta da un capo religioso (…). Il Papa pare riconoscere quello che Francesco Orlando ha sostenuto: che le opere letterarie ci permettono di fare esperienza dell’ambivalenza della vita; dell’impossibilità di comprenderla secondo schemi predeterminati. Il che è quasi eretico. Certo, per il Papa giustamente «leggere non significa essere indifferenti davanti a quelle ambivalenze, siamo invece coinvolti, chiamati a rispondere con il nostro vissuto a quelle sfide».

Questa la prima parte del pensiero del professor Brugnolo, al quale vorrei però assicurare che il Papa eretico non è. Vi è una tradizione, nella cultura cattolica, di riconoscimento del valore intrinseco dell’arte a prescindere dal fatto che essa abbia scopi edificanti o apologetici o agiografici. Valori morali possono essere espressi, certamente, ma sono una specie di “effetto collaterale”, qualcosa che ricaviamo noi, appunto, con il discernimento. Non sono lo scopo dell’arte. L’arte è scopo a sé stessa. Flannery O’Connor, scrittrice del ’900 di caratura gigantesca, convintamente cattolica, interrogata a una conferenza sui motivi che la spingevano a scrivere, rispose: «Perché mi viene bene», scandalizzando non poco una platea che si aspettava parole intonate a intenti apologetici e propagandistici.

Le parole di O’Connor sulla scrittura (raccolte nel volume: Nel territorio del diavolo. Sul mistero dello scrivere, Theoria, 1993), sono illuminanti: «La narrativa è la più impura, la più modesta e la più umana delle arti. È la più vicina all’uomo nel peccato, nel dolore e nella speranza, e spesso viene ricusata dai cattolici proprio per le ragioni che la fanno quello che è. Sfugge a qualunque ortodossia intesa a costringerla, perché la sua dignità è riflesso della nostra, basata, come la nostra, sul libero arbitrio che agisce anche in barba al disappunto divino». E ancora: «Tutti credono, e i cattolici non sono da meno, che il cattolico scrittore di narrativa si impegni a usarla per provare le verità della Fede, o quantomeno l’esistenza del soprannaturale. Può darsi. Di certo nessuno può essere sicuro delle sue spregevoli intenzioni se non per quel tanto che emergono a lavoro finito; ma quando dal lavoro finito emerge che azioni pertinenti sono state indebitamente contraffatte, ignorate e soffocate, i propositi iniziali dello scrittore, quali che fossero, sono stati già vanificati. Lo scrittore di narrativa così scopre, se mai scoprirà qualcosa, che non spetta a lui modificare la realtà o modellarla in favore di una verità astratta. Lo scrittore imparerà, forse più velocemente del lettore, a essere umile di fronte a ciò che è. Ciò che è, è tutto quello con cui ha a che fare; il concreto è il suo mezzo; e capirà, da ultimo, che la letteratura può trascendere le sue limitazioni solo trattenendovisi all’interno».

Torniamo a Brugnolo. Nel suo post riprende queste altre parole, sempre dalla lettera del Papa:

«Per quanto riguarda i contenuti, si deve riconoscere che la letteratura è come “un telescopio” –secondo la celebre immagine coniata da Proust – puntato su esseri e cose, indispensabile per mettere a fuoco “la grande distanza” che il quotidiano scava tra la nostra percezione e l’insieme dell’esperienza umana. “La letteratura è come un laboratorio fotografico, nel quale è possibile elaborare le immagini della vita perché svelino i loro contorni e le loro sfumature. Ecco, dunque, a cosa “serve” la letteratura: a “sviluppare” le immagini della vita” , a interrogarci sul suo significato. Serve, in poche parole, a fare efficacemente esperienza della vita».

E ancora: «È necessario recuperare modi di rapportarsi alla realtà ospitali, non strategici, non direttamente finalizzati a un risultato, in cui sia possibile lasciar emergere l’eccedenza infinita dell’essere. Distanza, lentezza, libertà sono i caratteri di un approccio al reale che trova proprio nella letteratura una forma di espressione non certo esclusiva ma privilegiata. La letteratura diventa allora una palestra dove allenare lo sguardo a cercare ed esplorare la verità delle persone e delle situazioni come mistero, come cariche di un eccesso di senso, che può essere solo parzialmente manifestata in categorie, schemi esplicativi, in dinamiche lineari di causa-effetto, mezzo-fine».

Il professor Brugnolo ne ricava questo: «Mah, che dire, come teorico della letteratura preferisco Francesco a tanti altri teorici che oggi vanno per la maggiore. Molti di questi presunti teorici mirano troppo spesso ad asservire la la letteratura ad un discorso ideologico, politico, culturale. L’approccio del Papa pare a me più libero, meno preoccupato di usare la letteratura per far trionfare un certo piano divino o umano. Mi pare che ci dica che vale la pena leggere perché insomma leggere è fare esperienza dell’Altro. E che tanto gli basti».

Sono d’accordo con il professore. Le parole del Papa mi sembrano tanto più convincenti quanto più osservo il panorama a tratti scuorante che ci offre il mondo letterario italiano attuale, dove si sfoggia saccenza e il solito senso di superiorità di chi fa “cultura” – e non mi stancherò mai di ripetere quanto possa essere ridicolo sentirsi superiori agli altri perché si è letto qualche libro – e, allo stesso tempo, si mostrano i tratti volgari della “polarizzazione da social network” che ci coinvolge tutti, l’ignorante e il colto in egual misura. Da una parte, infatti, ci sono i letterati spinti dall’industria culturale, sempre presenti a qualsiasi evento pubblico, militanti, si scambiano recensioni elogiative tra loro… sembrano avere una idea della letteratura come forma di “educazione” del volgo alle istanze del progressismo e della polical correctness. Li chiamerei radical chic di sinistra. Dall’altra ci sono quelli che chiamerei radical chic di destra, una schiera di ipercritici sprezzanti – quelli che Brugnolo in parecchi suoi interventi definisce “critici teppisti” – altrettanto sussiegosi e convinti di tenere in mano lo scettro della verità, il cui eloquio esoterico e criptico maschera una gran povertà di idee, e una supponenza che non si capisce da cosa sia generata, visto che da quella parte (come dall’altra) un nuovo Dostoevskij ancora non si è visto.

Meglio la lettera del Papa. E Flannery O’Connor.

Foto: La Presse

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.


La rivista dell’innovazione sociale.

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti
e funzionalità esclusive