Idee Fundraising

La filantropia nell’era dell’intelligenza artificiale: tra controllo, fiducia e impatto

Un sondaggio su 500 fondazioni rivela che solo il 10% accetterebbe proposte scritte con l’Ai. Ma la maggior parte delle organizzazioni non ha ancora linee guida chiare. Serve un confronto per guidare e sfruttare questo cambiamento. Prosegue la riflessione del direttore Programmi di Fondazione Soleterre sull'uso dell’Intelligenza artificiale nel Terzo settore

di Tiziano Blasi

Se una piccola e valida organizzazione di volontari ti inviasse una proposta perfetta per un bando importante, con uno stile rifinito, teoria del cambiamento inoppugnabile e precisa raccolta dei dati di contesto. Se la proposta fosse migliore di quella delle più grandi e più riconosciute organizzazioni del settore. Se ti accorgessi che la proposta è stata scritta con ChatGpt, cosa faresti?

L’impatto dell’Ai nella progettazione

Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale generativa ha iniziato a permeare anche il settore della progettazione con un impatto importante per le organizzazioni come discusso in questo contributo sempre ospitato da queste colonne.  Quale sia invece l’impatto specifico per la filantropia istituzionale è un tema ancora da indagare.

Compilare bandi e proposte progettuali richiedeva un tempo considerevole, ma oggi attraverso l’Ai si possono svolgere in minuti lavori che prima richiedevano ore. Strumenti come ChatGpt, Claude o soluzioni specializzate come Grantable aiutano le organizzazioni non profit a scrivere analisi di contesto approfondite, comporre quadri logici, inserire parole chiave coerenti con la strategia del donatore, individuare e stimare indicatori, definire sostenibilità e analisi dei rischi, ecc.

Da un lato questa “democratizzazione” potrebbe livellare il campo: meno proposte scartate per un inglese stentato o per dettagli formali; dall’altro, i documenti generati dall’Ai, se usata in modo pigro, tendono a standardizzarsi. Inoltre, l’abbassamento della barriera di ingresso si sta già traducendo in un aumento gigantesco del numero di proposte presentate. Come farà un ente filantropico a gestire cinque volte le application che riceve oggi e la maggior parte formalmente impeccabili? 

Donatori disorientati: vietare o convivere con l’Ai?

Un sondaggio condotto da Candid su quasi 500 fondazioni ha rivelato un quadro di incertezza diffusa: oltre la metà dei grantmaker (57%) dichiara di non sapere se abbia mai ricevuto proposte scritte con l’ausilio di Ai. Solo il 10% afferma apertamente che le accetterebbe, mentre un altro 42% crede di non averne ancora incontrate. Segno che la maggior parte delle organizzazioni non ha ancora linee guida chiare in materia. 

In ambito scolastico e accademico, invece, c’è chi ha già tracciato confini netti, richiedendo una dichiarazione in caso di utilizzo di Ai o vietandone completamente l’utilizzo.  Altri hanno adottato software di rilevamento dell’Ai. 

L’illusione del controllo 

Applicativi come Turnitin, Originality.ai, GPTzero e Wiston Ai promettono di riconoscere i testi generati da Ai o prodotti da plagio con tassi altissimi (superiori all’80/90%). Nonostante questi proclami rassicuranti, diversi test indipendenti e casi reali segnalano limiti significativi. Innanzitutto, l’Ai evolve rapidamente e riesce a “camuffarsi” meglio.

Falsi positivi sono stati poi documentati in varie università, con studenti accusati di aver usato l’Ai senza in realtà averlo fatto. Sono poi nati immediatamente applicativi per umanizzare il contenuto come QuillBot e Undetectable.ai.

Considerando che anche una semplice parafrasi manuale può facilmente eludere i più avanzati strumenti di rilevazione, risulta evidente quanto l’approccio di tipo repressivo sia inefficace. Il presente capoverso, ad esempio, è stato interamente rielaborato con l’ausilio dell’Ai, pur risultando non identificabile dagli strumenti citati. 

Le trappole da evitare

Alla luce di queste riflessioni, ecco alcuni approcci da cui un ente erogatore farebbe bene a guardarsi:

  • Investire (ancora) più risorse in valutazioni automatizzate – A fronte di un aumento delle application,  puntare tutto sulla tecnologia per decidere a chi destinare fondi è una tentazione comprensibile di fronte a migliaia di candidature. Ma più algoritmi non significa per forza più equità, anzi si rischia l’opposto. 
  • Acquistare software anti-plagio/rilevamento e usarli in modo punitivo – Dotarsi di un rilevatore di AI rischia di essere non solo costoso e inefficace, ma anche dannoso, escludendo proposte semplicemente riviste o tradotte. Distinguere fra contenuti e persino documenti – l’ultima versione di ChatGpt non crea solo immagini eccellenti ma anche scontrini e fatture perfetti – generati da Ai o umani è una sfida irrealistica. Evitiamo di cadere in una distopia dove i progetti sono generati dall’intelligenza artificiale e valutati da altre intelligenze artificiali. 

Del resto, che una news sia scritta da un essere umano o da un’Ai è davvero il punto? O forse è più importante chiederci se quella notizia è vera? Allo stesso modo, se domani una ricerca tramite AI portasse alla creazione di un farmaco salvavita, non lo utilizzeremmo? Perché quindi il problema dovrebbe porsi per un progetto sociale?

Una filantropia più umana nell’era digitale

Meglio invece orientarsi verso strategie che valorizzino la qualità e la relazione nel finanziamento, riducendo al tempo stesso le tentazioni di scorciatoie offerte dall’AI. Alcune idee:

  • Creare repository aperti di progetti, report, valutazioni – Un database accessibile con esempi di progetti e indicatori permetterebbe ai proponenti di ispirarsi a buone pratiche esistenti e, allo stesso tempo, valorizzerebbe le esperienze pregresse. 
  • Preferire finanziamenti diretti alle organizzazioni (core funding) invece che ai singoli progetti – Una delle cause dell’iperproduzione di proposte dettagliatissime è l’abuso dello strumento del bando. Meglio erogare contributi pluriennali e flessibili seguendo un modello di trust-based philanthropy. 
  • Tornare alla relazione: incontri dal vivo e visite sul campo – Per la bontà di un’idea, nonché l’efficacia di un intervento, niente è più illuminante del confronto diretto con i protagonisti e con la realtà in cui operano. Un donatore dovrebbe investire tempo nel parlare di persona con i candidati e organizzare visite presso i progetti. Questo approccio qualitativo consente di cogliere sfumature che nessuna relazione scritta (umana o generata) potrà mai restituire. Significa anche riequilibrare il peso: non più solo il documento perfetto decide tutto, ma entrano in gioco la fiducia costruita e l’evidenza diretta dei risultati. 

In un’era digitale dove ci si concentra tanto sulle innovazioni – quanti progetti innovativi abbiamo già dovuto scrivere quest’anno – recuperare la dimensione umana dell’erogazione filantropica significa, ricordando Pasolini, esercitare la “scandalosa forza rivoluzionaria del passato”.

È il momento di confrontarci – a partire dalle reti come il Forum del Terzo Settore, Assifero e Acri – e attivarci per guidare e sfruttare questo cambiamento epocale.

In apertura photo by Steve Johnson on Unsplash

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.


La rivista dell’innovazione sociale.

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti
e funzionalità esclusive