Idee L'altra prospettiva

E se il “Donald II” fosse un’opportunità?

Trump sarà la prova del nove per capire se il mercato della sostenibilità possa reggersi sulle proprie gambe, senza sovvenzioni pubbliche. Investire in una just transition a tutto tondo, attenta sia all’ambiente che alle persone, non è solo la chiave per rilanciare il mercato Esg ma anche la nostra possibilità migliore per rispondere ai bisogni delle persone e creare una società più egualitaria

di Filippo Addarii

Donald Trump ha vinto le elezioni. Il misogino, razzista, indagato e condannato tycoon non ha ricevuto il “you’re fired” – per citare il suo vecchio adagio in The Apprentice – da parte del popolo americano che molti, dalle loro turres eburneae su entrambi i lati dell’Atlantico, auspicavano e attendevano.

Dal momento che presumo che molti lettori di questa testata, come me, siano poco entusiasti dell’esito delle urne, mi permetto di lasciare un avvertimento contro l’utilizzo di questa retorica. Non possiamo permetterci di squalificare chi, per la seconda volta, è stato scelto dai cittadini per guidare Stati Uniti. O almeno, non possiamo permetterci di farlo se non cerchiamo di comprendere le cause profonde della sua vittoria. Un esercizio su cui ci cimentiamo da anni ma che, evidentemente, non siamo ancora in grado di padroneggiare.

Rileggere Blythe sul Global Trumpism

Le parole del 2016 di Mark Blythe, economista keynesiano della Brown University – non esattamente uno da cappellino MAGA nero à la Elon Musk – rimangono inesorabilmente più attuali di molte chiavi di lettura che ho visto in queste ore. Blythe indicò nel fenomeno della crescente disuguaglianza in Occidente la causa principale del doppio shock Brexit-Trump. Nello specifico, nei suoi studi sul “Global Trumpism”, l’economista mostrava come la presa di The Donald su ceto medio e popolare negli Stati Uniti fosse attribuibile alla mancata redistribuzione della ricchezza derivata dalla dirompente crescita economica partita alla fine degli anni Settanta. Una crescita che, nei fatti, aveva beneficiato pochi e lasciato indietro molti, portando a livelli di disuguaglianza sociali ed economici insostenibili nel lungo termine. “The global revolt against elites […] is also driven by the global economy itself”, scriveva Blythe su Foreign Affairs all’alba della prima vittoria di Trump. Purtroppo, dal 2016 ad oggi non ci sono stati segnali che facessero pensare a un miglioramento della situazione o della sua percezione, negli Stati Uniti come in Europa. Anche politiche a favore della transizione climatica che ci piacciono tanto in realtà hanno scavato nello stesso solco sempre a vantaggio delle grandi imprese, investitori e delle elite. Ed è per questo che dobbiamo cambiare approccio per ricostruire un patto sociale che sia in grado di dare risposte a chi si è sentito sempre più abbandonato negli ultimi 35 anni.

Filippo Addarii.,
fondatore di PlusValue

Anziché fasciarsi la testa con la fine
della democrazia

Invece di fasciarsi la testa con preoccupazioni sulla fine della democrazia o cadere nella facile retorica dei “deplorables” (ripresa da Joe Biden con il suo “The only Garbage I see…” ossia “l’unica spazzatura che vedo”, di qualche giorno fa), dobbiamo agire, hic et nunc, per fronteggiare la crisi sociale che sta gettando benzina sul fuoco quella politica. Dobbiamo coinvolgere le persone, oltre che gli attori di mercato, delle istituzioni e della società civile, per lavorare alla ricostruzione di un patto sociale valido tanto per l’Occidente quanto per il resto del mondo. Parlo di attori di mercato, oltre che di istituzioni, popolo e società civile, perché avremo bisogno di investimenti per rilanciare il nostro patto sociale. 

Il settore privato con i capitali pazienti

Riesco già a sentire le critiche: “Ricorrere a investimenti privati per diminuire le disuguaglianze sociali? Sarebbe come dare le chiavi di casa a un ladro”. La risposta che posso dare è duplice: in primis, il settore pubblico da solo non può permettersi gli investimenti di cui abbiamo bisogno, e questo è un dato di fatto; in secundis, il settore privato è ricco di investitori dotati di capitale paziente (come i fondi pensionistici) in cerca di opportunità attrattive con ritorni di lungo termine e stabili. Esiste qualcosa di più lungo termine della stabilità sociale e politica? Questo capitale può essere impiegato per investire nelle persone come nelle infrastrutture che caratterizzano il nostro modello sociale (edilizia a prezzi accessibili, istruzione, sanità). Queste ultime, oltre a ridurre la disuguaglianza e a permettere alle persone stesse di realizzare il proprio potenziale all’interno della società, sono anche di potenziale interesse per gli investitori privati, come dimostrato da una Task Force della commissione Europea nel 2018. Non solo, questo modello ha il potenziale di rilanciare il mercato Esg, da troppo tempo appiattito sulla componente ambientale, creando nuove opportunità e dando nuova linfa alla e significato alla narrativa della sostenibilità. 

Trump, una prova del nove per
il mercato della sostenibilità

Con il nuovo mandato di Trump, vedremo senz’altro una forte diminuzione del supporto del Governo federale alla sostenibilità negli Stati Uniti. Il rischio che una svolta a destra si ripeta in Europa nei prossimi anni esiste, come dimostrato dalle ultime elezioni e dai recenti sondaggi nei principali paesi dell’Unione. Questa sarà la prova del nove per capire se il mercato della sostenibilità possa reggersi sulle proprie gambe, senza sovvenzioni pubbliche. Investire in una just transition a tutto tondo, attenta sia all’ambiente che alle persone, non e’ solo la chiave per rilanciare il mercato Esg. È anche la nostra possibilità migliore per rispondere ai bisogni delle persone e creare una società più egualitaria.

It’s not just about the money, it’s about doing the right thing.

La foto di apertura e di AP Photo/Julia Demaree Nikhinson/LaPresse.

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