Idee Persone con disabilità

Dopo di Noi, una legge troppo sola

Analizzando alcune delle esperienze che sono riuscite a realizzare i percorsi di distacco e di emancipazione dei figli, emerge in primis come sia risultata decisiva la capacità del lavoro sociale territoriale di costruire dei nuovi setting di co-progettazione che hanno alimentato nuovi processi fiduciari tra famiglie, servizi e istituzioni. Questo aspetto conta più della norma

di Marco Bollani

Prima della legge 112/2016, per effetto delle norme vigenti e delle principali prassi di intervento nell’ambito dei servizi e degli interventi di welfare per la disabilità, la prospettiva del percorso di vita delle persone con disabilità “grave” (ed in particolare per le persone con disabilità intellettive e del neuro-sviluppo), presupponeva di fatto la loro permanenza a casa dei genitori e con i loro familiari finché questi fossero in grado di garantire la necessaria assistenza. E che, solo con il venir meno dei sostegni dei genitori e dei familiari, il percorso di vita del figlio potesse realizzarsi, “dopo la sua vita in famiglia”, all’interno di un servizio residenziale. 

In estrema sintesi, un percorso di vita “segnato” dalla condizione di disabilità, “a casa con i genitori finché ce la fanno, per poi accedere presso un servizio residenziale” quando i figli non sono più assistibili al domicilio. Un percorso di vita quindi che delineava un tracciato esistenziale “condizionato”. 

La Legge 112 (“Dopo di noi”) si prefigge di superare tale prospettiva di “libertà condizionata” e di condizionamento esistenziale per le persone con disabilità e i loro genitori. Disponendo misure specifiche e diversi strumenti concepiti per consentire, anche alle persone con disabilità, di potersi emancipare dai rispettivi genitori prima del venir meno dell’apporto di cura e di assistenza della famiglia di origine. Orientando quindi gli stessi genitori non “a tenere i figli a casa finché ce la fanno”. Bensì a sostenere il loro percorso di uscita e di emancipazione dalla famiglia di origine, “finché sono in tempo”. Delineando in tal senso la possibilità di una prospettiva di vita adulta indipendente dai genitori anche per i figli con disabilità. Tra l’altro rivolgendo il proprio intervento proprio a partire dalle persone con maggiori bisogni di sostegno, riservando i propri fondi ed interventi alle persone con “grave” disabilità accertata ai sensi dell’art. 3 comma 3 della Legge 104. 

Il primo e forse più importante elemento innovativo della Legge 112 non è dato quindi, a parere di chi scrive, dagli strumenti che essa individua e disciplina. Ma è dato dal cambiamento della prospettiva esistenziale e di nuovi percorsi di vita che essa traccia: dal tenere il figlio a casa finché i genitori ce la fanno, al costruire un nuovo percorso di vita indipendente dai genitori, finché essi sono in tempo. 


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Ora, a distanza di sette anni dal varo della Legge 112/2016 Dopo di Noi, i risultati che emergono da un primo sguardo complessivo sulla sua applicazione a livello nazionale evidenziano molte difficoltà applicative e poche esperienze territoriali (seppur in molti casi molto promettenti) che hanno conseguito gli obiettivi di servizio previsti dalla Legge.  In particolare emerge lo scarso utilizzo delle risorse messe a disposizione dallo Stato, decisamente inferiore alle stime del fabbisogno economico previsto per rispondere ai bisogni che la legge affronta. 

Non sorprende pertanto in tal senso l’intervento della Corte dei Conti che, con la deliberazione del dicembre 2022, raccomanda alle autorità pubbliche, nazionali, regionali e locali di sfruttare meglio le risorse previste, a partire da quelle aggiuntive stanziate nel Pnrr, per realizzare gli obiettivi di servizio della legge a tutela e promozione del benessere delle persone a cui la legge si rivolge. 

Dall’osservazione di molti processi territoriali di attuazione della legge emergono tuttavia almeno tre macro fattori di criticità che non possono essere trascurati per provare a migliorarne l’applicazione e che a parere di chi scrive richiedono una re-interpretazione del suo mandato da parte dei principali attori coinvolti nella sua applicazione. 

  • Il primo elemento riguarda la complessità fenomenologica della materia che la legge è chiamata ad affrontare. 
  • Il secondo elemento riguarda la tenuta attuale del sistema di welfare nazionale e territoriale su cui la norma deve essere applicata e che la norma stessa interpella a rimettersi in gioco ed a generare processi innovativi. 
  • Il terzo elemento riguarda la specificità e la peculiarità del lavoro sociale chiamato ad innescare tali processi innovativi.
     
  1. In ordine alla complessità della materia che la legge disciplina non possiamo non rilevare che il distacco e l’emancipazione del figlio con disabilità “grave” dai genitori rappresenti un ambito di intervento di altissima complessità personale, sociale e istituzionale … Si tratta di una prospettiva di intervento fisiologicamente e costitutivamente difficilissima sia da disciplinare, sia soprattutto da gestire e che si presta davvero poco a programmazioni e progettazioni standardizzabili nei tempi di attivazione e nei protocolli prestazionali o di  assegnazioni monetarie.
  2. Rispetto alla tenuta attuale del sistema di welfare la norma delinea  un cambiamento di prospettiva radicale nella prassi degli interventi da attuarsi su un “tessuto” normativo e di infrastrutturazione sociale pre-esistente molto fragile. Per certi  aspetti lacunoso in quanto caratterizzato da un quadro frammentato degli interventi e delle politiche per la disabilità da territorio a territorio. Quindi difficilissimo da governare da parte delle istituzioni ad ogni livello. E condizionato anche da persistenti difficoltà da parte delle organizzazioni di Terzo settore e dei movimenti delle persone con disabilità nel costruire un piano programmatico condiviso di riforma degli interventi e delle politiche capace di incidere sui vari territori e nei contesti di vita delle persone.  
  3.  In ultimo, ma non per importanza, rispetto alla specificità del lavoro sociale richiesto dalla Legge Dopo di Noi, non possiamo non rilevare come la sua applicazione richieda anch’essa una nuova modalità di lavoro molto meno burocratica e prestazionale e molto più dialogica verso le persone con disabilità ed i loro genitori e molto più integrata soprattutto sul piano culturale prim’ancora che su quello metodologico, tra i diversi attori professionali del servizio pubblico (sanitario e sociale) e del privato sociale oggi in prima linea sui territori nell’ambito nei servizi e degli interventi di welfare per la disabilità. 

Dall’osservazione dei primi e ancora pochi processi territoriali di applicazione della Legge 112 che sono riusciti a traguardarne gli obiettivi di servizio emerge come non esista una cassetta degli attrezzi standardizzata per progettare il Dopo di Noi. Emergono piuttosto diversi strumenti e diverse metodologie di lavoro che insieme a diversi elementi contingenti e fattori ambientali, sociali e contestuali (sia favorenti sia ostacolanti), costituiscono il terreno applicativo su cui ingaggiare una nuova sfida esistenziale per le persone con disabilità ed i loro genitori ma anche per il lavoro sociale istituzionale e delle organizzazioni di terzo settore. 

È interessante in tal senso rilevare come tra le indicazioni fornite dalla Corte Conti nella citata deliberazione 2022 emerga l’auspicio che i necessari correttivi per invertire la tendenza applicativa della norma possano emergere proprio a livello locale e zonale grazie soprattutto ai rinnovati istituti giuridici cooperativi disciplinati dal Codice del Terzo settore che disegnano una rinnovata dimensione di collaborazione tra responsabilità istituzionali e apporto di innovazione proprio da parte degli Enti del Terzo settore.

Possiamo leggere nell’auspicio della Corte dei Conti anche il riconoscimento del valore sussidiario di alcune buone prassi territoriali che sono riuscite a generare dal basso un’infrastruttura integrata e sinergica tra enti pubblici e del privato sociale favorendo l’avvio di nuovi percorsi di vita e di emancipazione dei figli dai genitori come il primo vettore utile per migliorare l’applicazione della Legge ed innescare il cambiamento dei percorsi esistenziali delle persone con disabilità promosso e auspicato dalla Legge 112 in attuazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.  

Analizzando alcune delle esperienze che sono riuscite a realizzare i percorsi di distacco e di emancipazione dei figli da parte dei genitori attivando nuove forme di co-abitazioni stabili come previsto dalla Legge 112, emerge in primis come sia risultata decisiva la capacità del lavoro sociale territoriale di costruire dei nuovi setting di co-progettazione

Analizzando infatti alcune delle esperienze che sono riuscite a realizzare i percorsi di distacco e di emancipazione dei figli da parte dei genitori attivando nuove forme di co-abitazioni stabili come previsto dalla Legge 112, emerge in primis come sia risultata decisiva la capacità del lavoro sociale territoriale di costruire dei nuovi setting di co-progettazione che hanno alimentato nuovi processi fiduciari tra famiglie, servizi e istituzioni, che a loro volta hanno alimentato una nuova disponibilità ad agire di tutti gli attori coinvolti meno alimentata dall’applicazione di procedure prestabilite e più disposta a mettersi in cammino per provare ad utilizzare le risorse della Legge 112 per  sperimentare nuove opportunità di vita, in risposta sia a situazioni di emergenza sia a processi di investimento ideativo degli stessi genitori o degli operatori dei servizi diurni o anche residenziali territoriali.   

In questo senso il fattore trainante e decisivo per innescare l’azione, la motivazione e le scelte di vita adulta legate al distacco dei genitori e dai genitori, non può essere fissato in un metodo in una procedura. Sono la volontà, la convinzione, la determinazione e la fiducia che si riesce a generare attorno a questa sfida che possono stimolare le persone a “mettersi in cammino ed in azione” per realizzare tale scopo, tale obiettivo. 

Sarà l’esperienza che si fa camminando che farà emergere le indicazioni del “come stiamo facendo” che in-formeranno, nel senso di dare forma, solo successivamente, al “come si fa …”. E non il contrario. Non si esce di casa e si lasciano i genitori e non si lasciano andare i figli sulla base di un metodo o di una procedura o anche di una dotazione economica. Si esce di casa per la voglia e la motivazione di cambiare la vita e si lasciano andare i figli quando si riconosce questa loro aspettativa e questo desiderio e si rintracciano concrete opportunità e legami fiduciari maturi oltre il perimetro delle relazioni familiari per realizzare tali opportunità con i dovuti e appropriati sostegni. Oppure si esce di casa quando ci si rende conto, come genitori e anche come figli, che non ce la si fa più a stare insieme e si decide di intraprendere un percorso di vita diverso per attenuare il peso ed il disagio di una reciproca dipendenza tendenzialmente esclusiva che condiziona la vita. 

Per questo, a parere di chi scrive, le difficoltà applicative della Legge 112, non dipendono prevalentemente dalla struttura del suo impianto normativo seppur sfidante e innovativo, quanto piuttosto dalla natura davvero complessa e delicata dell’ambito di esercizio che la legge intende normare, da alcuni contenuti del suo dettato normativo che sono risultati difficili da applicare a causa di persistenti e croniche difficoltà di implementazione e di governo delle politiche sociali territoriali. E infine anche da un emergente difficoltà delle realtà associative e di Terzo settore nel promuovere l’innovazione sociale territoriale di cui il nostro sistema di welfare oggi necessita. 

Foto: un progetto Anffas sul “Dopo di noi” a Macerata/Archivio VITA

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