Idee New media

Dalle storie alle “stories” abbiamo perso il tempo del racconto

Se il narrare creava comunità, lo storytelling attuale è più che altro uno story-selling che vive di emotional marketing. Il valore autentico di una storia è stato eroso, ma si può ancora recuperare l’incantesimo del raccontare. Il coreano Byung-Chul Han, autore del saggio “La crisi della narrazione”, definisce il nostro tempo un'epoca post-narrativa

di Maria Laura Conte

Le chiamano stories, quelle sui social, ma con le storie vere hanno in comune solo le lettere che ne compongono la parola. Si sono cannibalizzate spazi infiniti nel flusso della comunicazione, scorrono a milioni di milioni, ma nel tempo hanno contribuito – insieme ad altri processi – a erodere il valore della storia autentica.

Quella che, secondo Byung-Chul Han, autore del saggio acuto La crisi della narrazione, ha la forza di creare comunità intorno a sé perché porta in sé un “fuoco” attorno al quale le persone vogliono stare per ritrovarsi, per scaldarsi, per essere pienamente se stesse. Un luogo dove agganciarsi alla realtà così com’è e aprirsi agli altri, in una rete fitta di relazioni. 

Attorno a questo focolare nascono comunità di persone, agli antipodi delle community composte di consumatori, e sono luoghi aperti, accoglienti per chi è alla ricerca di senso e mantiene il desiderio di guardare oltre l’istante presente, un po’ più in là.

Lo storytelling è story-selling

La narrazione di questo tipo di storia crea nessi tra le persone, quanto lo storytelling pervasivo di oggi, invece, le frammenta: è marketing a servizio di scopi diversi, è story-selling (come è stato ribattezzato questo modo di usare le storie).

Funziona così: ruba uno spunto dalla vita che si muove intorno a noi, da un fatto, una foto, un evento, segue le “regole della composizione” per catturare la nostra distrazione e condurla dove intende portarla, smarrisce il suo contenuto di verità o lo fa a pezzi, per prenderne quel che serve per un determinato scopo: vendere un’auto? Una vacanza, un’esperienza, perfino un prodotto di beneficenza. Usa tutti i trucchi possibili, solletica le emozioni perché lavora scientificamente sulla mappa emotiva dei suoi target (è l’emotional marketing, in molti lo conosciamo per lavoro). 

Viviamo nell’epoca della post-narrativa

L’autore coreano (dalla vita affascinante tanto quanto quella del coprotagonista de L’ora di greco, romanzo di un’altra autrice coreana vincitrice del Nobel della letteratura, ma questa è un’altra storia) chiama la nostra epoca post-narrativa: saremmo usciti dall’incantesimo del racconto e precipitati nella mercificazione della storia

Ma al leggere questo passaggio si avverte la vibrazione della nostalgia: lo vogliamo recuperare quell’incantesimo? O ci arrendiamo al destino di affogare tra storielle e emoticon social? 

Il tempo lento da recuperare

Soluzioni facili non se ne intravvedono, data anche la nostra tossicodipendenza dal flusso di informazioni continue, dalle news istantanee, antagoniste compiute di narrazioni vere. Eppure una pista si intravede e sta nella possibilità di intervenire sulla nostra modalità di trattare la realtà e il tempo. Iniziando dal recupero del tempo lento, habitat giusto per la pazienza dell’ascolto (della lettura) e del racconto.

Di questo tempo lungo e lento necessitano le comunità narranti, i cui membri si fanno testimoni a vicenda di realtà vissuta e di significato: si prendono il tempo, anzi lo “perdono” per ascoltarsi, per indugiare su ciò che va oltre la contingenza immediata. E per ripristinare, un minuto dopo l’altro, l’incantesimo.

In apertura photo by S O C I A L . C U T on Unsplash

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