Idee Rendicontazione

Cultura a impatto

La sfida della valutazione nelle organizzazioni culturali è quella di evitare la trappola delle misurazioni puramente quantitative e di trovare “misure qualitative” che permettano di comprenderne a fondo il contributo al benessere collettivo

di Paolo Venturi

La rendicontazione ha attraversato un percorso evolutivo che riflette i cambiamenti della società e delle organizzazioni, assumendo nuove forme e significati con il passare del tempo.

Negli anni ’50 e ’60, la rendicontazione era vista come un atto accessorio che dalla sensibilità dell’imprenditore si trasferiva all’impresa: un resoconto separato e residuale rispetto al core business. Con il tempo, però, questo approccio si è rivelato insufficiente, e la rendicontazione ha iniziato a trasformarsi, abbracciando principi e valori più ampi.

Far di conto e rendere conto

Tra gli anni ’70 e 2000, si è assistito a un cambiamento profondo e si è passati dal “contabilizzare” al “rendicontare”, cioè rispondere in modo trasparente e completo a una molteplicità di portatori di interesse. L’attenzione non era più rivolta solo agli azionisti, ma si estendeva a una comunità più ampia, che comprendeva dipendenti, clienti, comunità locali, partner e generazioni future.  È in questo periodo che si sviluppa il concetto di responsabilità sociale d’impresa (Cw4) e si diffonde la necessità di includere aspetti sociali, ambientali e culturali. La rendicontazione si apre così a una dimensione etica e relazionale, e ciò si riflette anche nelle normative e linee guida che oggi si stanno consolidando, come la direttiva europea Csrd, la tassonomia europea, la riforma del Terzo settore e la crescente compliance che influenza la gestione e il monitoraggio dei rischi. Tuttavia, nonostante tutti questi passi avanti, il vero valore creato dalle organizzazioni, in particolare quelle culturali, rimane invisibile. 

Valutare per rendere visibile l’invisibile

Al fine di rendere “visibile l’invisibile” negli ultimi 10 anni si è aperta una nuova fase, quella della valutazione. Un passaggio che non può essere appaltato alle metriche ma che postula il “rendersi conto” come racconta il libro (Rendere conto. Il bilancio di sostenibilità delle organizzazioni culturali ), edito da Egea e presentato a Milano la scorsa settimana in un evento promosso da Fondazione Eos (leggi sotto).

Questo passaggio invita le organizzazioni culturali a riflettere non solo su cosa fanno, ma anche sul perché e come distribuiscono il valore che generano. “Rendersi conto” diventa così una pratica riflessiva e di valutazione che permette alle organizzazioni di interrogarsi sull’impatto che producono e sul contributo reale che portano alla società. Questo nuovo approccio alla rendicontazione supera le secche della mera compliance e punta ad accrescere la consapevolezza e la visione strategica. Il bilancio di sostenibilità diventa cosi, per tutte le organizzazioni culturali, uno strumento di “capacity building”, un mezzo per comprendere e condividere con la pluralità dei propri stakeholder, il proprio valore e il proprio impatto sociale.

Dalla rendicontazione alla valutazione

Il passaggio dalla rendicontazione alla valutazione del valore generato segna un cambiamento radicale. Non si tratta più solo di misurare output o flussi economici, ma di riconoscere l’importanza del valore sociale e culturale che un’organizzazione è in grado di creare. La cultura dentro questa prospettiva, non rappresenta appena un bene di consumo o un bene pubblico, ma un “bene di stimolo” (T. Scitovsky) capace di stimolare trasformazioni significative nelle comunità e nei comportamenti delle persone che vi accedono.  Come ci insegna l’osservazione e molta letteratura, la cultura infatti si intreccia profondamente con la vita delle persone, influenzando ambiti come l’innovazione, il welfare, la sostenibilità ambientale, l’inclusione sociale e persino la rigenerazione urbana. Questo approccio, che supera la tradizionale quantificazione degli effetti e dei benefici, permette di cogliere la complessità e l’impatto reale della cultura, la quale si sottrae al riduzionismo che la vuole collocata in una piccola nicchia, aprendosi e intersecando settori e ambiti prima lontani e oggi adiacenti. .

Dentro questa prospettiva la comunità, assume una rilevanza centrale, infatti il reporting sociale diventa uno strumento “maieutico” per includere e coinvolgere una comunità che non è vista come “utenza” rispetto all’offerta culturale, ma come soggettualità che interagisce, co-produce e sperimenta. La cultura diventa innesco per rafforzare il “sense of community” di un territorio, alimentando legami sociali e favorendo processi inclusivi e deliberativi (Culture and Democracy: the evidence – Commissione EU 2023).

La funzione ecologica delle istituzioni

La sostenibilità delle organizzazioni culturali, va perciò iscritta in quella prospettiva territorialista (Magnaghi- Becattini) che riconosce una funzione ecologica alle istituzioni che abitano un territorio, aprendosi così alla valutazione d’impatto in maniera pragmatica ossia valutando “il possibile” come ha ricordato Paola Dubini co-autrice, con Diana Martello e Alberto Monti, del volume.

La sfida è quella di evitare la trappola delle misurazioni puramente quantitative e di trovare “misure qualitative” che permettano di comprendere a fondo il contributo delle organizzazioni culturali al benessere collettivo. “Rendersi conto” nell’era dove tutto sembra essere “sostenibile” diventa la modalità più adeguata per rendere la rendicontazione uno strumento autentico di .. trasformazione.

Nella foto di apertura, di La Porta/Controluce/Sintesi, le Catacombe di San Gennaro in Via Capodimonte a Napoli, alla cui valorizzazione lavora dal 2006 la Cooperativa sociale La Paranza.

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