Idee Tecnologie

Cosa stiamo insegnando all’intelligenza artificiale?

In ambito tecnologico senza dubbio il 2023 sarà ricordato come l'anno dell'intelligenza artificiale, di quel particolare tipo che chiamiamo intelligenza artificiale generativa e conversazionale. Una forma di IA che non è solo una moda del momento, ma che è qui per restare e che tende a rivoluzionare tutto ciò che tocca

di Antonio Palmieri

«L’intelligenza artificiale impara. Ma noi cosa le stiamo insegnando? E se il futuro non fosse questione di tempo, ma di scelte?»

Questi sono gli slogan di due pubblicità che ci hanno accompagnato nel corso di questo autunno. Le ho notate e annotate anche perché sembrano proprio due domande tipiche da periodo natalizio e di fine anno, per antonomasia tempo di bilanci e di propositi (che siano buoni, nel senso migliore del termine, lo diamo per scontato) per l’anno che sta per iniziare.

A proposito di bilanci, in ambito tecnologico senza dubbio il 2023 sarà ricordato come l’anno dell’intelligenza artificiale, di quel particolare tipo che chiamiamo intelligenza artificiale generativa e conversazionale. Una forma di IA che non è solo una moda del momento, ma che è qui per restare e che tende a rivoluzionare tutto ciò che tocca: il lavoro, l’educazione, le armi, la scienza, l’economia, la medicina, la comunicazione e la comunicazione politica. Come dico da oramai quasi un anno, è una “sfida alla nostra umanità”. 


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Per vincere questa sfida occorrono consapevolezza e lungimiranza.

In primo luogo consapevolezza degli interessi economici e geopolitici in gioco. Sul versante economico, basta citare il rapporto di Bloomberg Intelligence, secondo cui l’intelligenza artificiale è un mercato che varrà 1.300 miliardi di dollari entro il 2032. Erano 40 nel 2022. 

Per quanto riguarda la geopolitica, Stati Uniti (e in particolare la California) e Cina dominano la situazione, per capacità di investimento, laboratori di ricerca e startup sull’intelligenza artificiale. Secondo Visual Capitalist, dal 2013 al 2022, in Cina sono nate 1.337 startup legate al mondo dell’AI, e sono state finanziate con 95 miliardi di investimenti privati. Numeri importanti, che diventano tuttavia piccoli se paragonati agli Stati Uniti (4.643 startup e 249 miliardi), come ricorda un documentato articolo di Biagio Simonetta, (“Intelligenza artificiale: Paesi Arabi in corsa, l’Europa rincorre”, Il Sole 24 Ore 26 novembre) nel quale purtroppo si conferma che l’Europa arranca, mentre si affacciano nella competizione globale sull’intelligenza artificiale l’Arabia Saudita e altri Paesi Arabi.

Consapevolezza significa anche rispondere alla prima domanda iniziale: “L’intelligenza artificiale impara. Ma noi cosa le stiamo insegnando?”. 

Come è noto, i software di intelligenza artificiale generativa e conversazionale vengono addestrati con grandi quantità di dati esistenti: immagini, testo, musica o qualsiasi altro tipo di contenuto. Il software di intelligenza artificiale utilizza questo set di dati per apprendere le caratteristiche del contenuto. Una volta che ha imparato queste caratteristiche, può iniziare a generare un nuovo contenuto, assemblando e ricomponendo quello che ha appreso dai dati di addestramento. Dunque al momento, l’intelligenza artificiale generativa e conversazionale è un puro modello linguistico, che impara quello che noi le insegniamo. È lo specchio di quello che noi siamo. Quindi oggi l’intelligenza artificiale non è altro da noi. Non è una vita, non ha una vita autonoma. Conversa con noi, ma non è senziente. È uno strumento, non una creatura. Non è “intelligente”, nell’accezione che noi diamo comunemente al termine. Per citare Cosimo Accoto, filosofo del digitale e componente del comitato scientifico della Fondazione Pensiero Solido, siamo passati dalla calcolatrice dei numeri ad una «calcolatrice delle parole», parole che sono fornite da noi.

Abbiamo quindi a disposizione una calcolatrice di parole (e immagini, e video, e software, ecc.) di straordinaria potenza e velocità. Su questa considerazione si innesta la seconda domanda iniziale: “E se il futuro non fosse questione di tempo, ma di scelte?”

Come ha scritto Massimo Chiriatti in un post Linkedin «Internet ci ha dato accesso a più informazioni di quelle che possiamo analizzare. L’AI ci riduce il tempo speso per analizzarle e per eseguire le azioni che già avevamo in mente. Questo agire autonomo e incosciente, insieme a come impiegheremo il surplus di tempo rimanente, determina il nostro futuro».

Il futuro è frutto delle scelte di oggi. Lo è in generale da un punto di vista esistenziale, perchè la nostra natura di esseri umani, per definizione limitati, ci obbliga in ogni istante a scegliere e di conseguenza a escludere, perché scegliere è escludere. Lo è anche per quanto riguarda l’uso dell’intelligenza artificiale generativa e conversazionale, perché già nel prossimo anno diversi nodi verranno al pettine: in ambito macroeconomico e geopolitico i grandi della terra nella politica e nell’impresa avranno molte scelte da prendere e quindi dovranno escludere altre possibilità. La stessa cosa dovremo fare anche noi che grandi della terra non siamo, perché saremo chiamati a scegliere come adoperare questo strumento nella nostra vita personale e nell’ambito professionale e del lavoro, a partire dal fatto che, come ha detto Luciano Floridi, «…adottare l’IA per tagliare i costi significa non avere compreso la novità straordinaria dello strumento»

In conclusione, mi sento di ribadire che viviamo un’epoca straordinaria. In primo luogo – mai dimenticarlo – perché è quella che ci è toccato in sorte di vivere e quindi è (deve essere) straordinaria per definizione. In secondo luogo, perché oggi la tecnologia ci offre strumenti che solo gli scrittori di fantascienza avevano saputo immaginare. Strumenti che, se sapremo loro insegnare le cose giuste e accompagneremo questo insegnamento compiendo le scelte adeguate, daranno alle domande delle pubblicità evocate all’inizio le risposte migliori, più utili per ciascuno di noi e per l’intera umanità. 

La storia dimostra che, alla fine, pur tra mille contraddizioni, fatiche, dolori, ingiustizie, l’umano trova sempre il modo di emergere e progredire, cioè di avere l’intelligenza vera, vale a dire la capacità di leggere dentro le situazioni e di agire di conseguenza, con generosità e lungimiranza personale e comunitaria.

Con questa prospettiva, ci facciamo  gli auguri per il Santo Natale. Che è tale perché non è la festa di babbo natale ma perché è la memoria della nascita di Gesù Cristo. Uno che di grandi domande (con relative risposte) se ne intende davvero.

Foto di Italo Melo/Pexels

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