Idee Narrazioni
Atreju, l’egemonia culturale della destra? Funzionale al mantenimento dello status quo
L’Idea che oggi appare trionfante ricorda, più che il ventennio, il patto scellerato delle monarchie assolute: mettere a tacere i corpi intermedi (allora la nobiltà, oggi i partiti e la società civile) per parlare direttamente ad un popolo di sudditi. Obiettivo: non mettere in discussione gli assetti dell'economia e della società
Qual è l’Idea delle destre? Vale la pena chiederselo mentre è in corso la 25esima edizione di Atreju. Autorevoli opinionisti si sono fatti fuorviare in questi mesi dallo spoil system meloniano, dall’occupazione di poltrone e dalla pervicacia, spudorata e goffa, con cui esponenti dell’esecutivo scimmiottavano stili e contenuti della cultura “alta”. Come se il tema gramsciano dell’egemonia fosse questione di autori, intellettuali e filosofie. È invece soprattutto questione di narrazioni. Pochi, semplici assunti che diventano assiomi indiscutibili per i più. Gli schemi generali che condizionano il nostro pensare.
Ci sono narrazioni che diventano potenti, perché funzionano bene, costruiscono una dialettica tra “noi e loro”, in cui i buoni siamo noi e operiamo per il bene del gruppo (attenzione, non per il bene comune), contro un “loro” fatto di approfittatori ed egoisti. Jonathan Gottschall, ne Il lato oscuro delle storie, ci ricorda che possono diventare molto pericolose, fino al punto da innescare il Male con l’iniziale maiuscola, la violenza e l’orrore degli uomini contro altri uomini. Tant’è vero che qualche autore, insieme a Emmanuel Levinas, ha proposto come criterio per giudicare le narrazioni cui aderire proprio considerarne le estreme conseguenze, per verificare se seguendo quella strada si possa malauguratamente arrivare a conclusioni eticamente inaccettabili. Ogni costruzione ideologica, per Levinas, deve partire da una scelta etica, che implica il riconoscimento della vulnerabilità e dell’umanità dell’altro (e di noi stessi).
Il comunismo ha perso anche perché la speranza si è trasformata in disillusione: pochi burocrati privilegiati controllavano le masse rese schiave attraverso il rigido controllo sull’economia, impedendo l’iniziativa e la libertà delle persone di rispondere ai bisogni degli altri. Tutto scorre…, di Grossman, tra gli altri, ne è un esempio paradigmatico.
La narrazione delle destre sembra invece semplice e potente. Putin, Orbàn, Meloni condividono un’Idea antica e molto bene argomentata, che potremmo semplificare nel concetto di Volksgeist: il popolo ha un’identità precisa, un confortevole habitus di consuetudini e principi che tutela la convivenza civile e definisce un’appartenenza. Alterare quello spirito, ad esempio con l’apertura verso altre culture, ha come conseguenze di compromettere il tessuto sociale, rendere la realtà incomprensibile e i principi su cui basa inaccettabili. Il Volksgeist si contrappone ad una cultura globalista e inclusiva, ben descritta dalla metafora della società fluida, dove non ci sono principi guida, crollano le abitudini, le certezze vanno ricostruite di volta in volta. Una società complessa, certamente faticosa, in cui è un valore mettersi in discussione, ed è un disvalore essere depositari della verità.
Aprire una piscina alla mattina alle sole donne per permetterne l’accesso a famiglie musulmane, sembra un inconcepibile e perverso compromesso che mette a repentaglio il Volksgeist.
Ciò a cui stiamo assistendo nel dibattito politico è proprio questa contrapposizione tra tutela dello spirito della Nazione e tutela dei principi della società liberale, aperta e inclusiva. La destra può contare su un indiscutibile punto di forza. La globalizzazione e l’apertura sono associati a un profondo malessere, all’impoverimento delle maggioranze, all’allargamento delle disuguaglianze e al rischio climatico. Risulta facile pensare che la soluzione sia sposare un’alternativa, quale che sia. In realtà la narrazione che ha causato il guaio è proprio l’iperliberismo di Javier Gerardo Milei, che per quarant’anni abbiamo tutti quanti percepito come l’unica soluzione percorribile. Egoismo, concorrenza, profitto: solo facendo il nostro interesse contribuiamo al benessere collettivo, la concorrenza crea innovazione, rende i prezzi accessibili e aumenta la qualità di beni e servizi; il profitto è l’anticamera degli investimenti e genera nuova ricchezza per tutti. Oggi sappiamo che non è così, ma nessuno, tantomeno Giorgia Meloni, osa mettere questi principi in discussione. L’alternativa dell’economia pianificata non è più percorribile, se l’è giocata la storia ottenendo una clamorosa sconfitta. Un liberismo fino ai confini, messo a punto con una buona dose di protezionismo per le aziende di casa nostra, sembra una soluzione ragionevole ed efficace. Sembra dunque che l’Idea, il mondo al contrario di Vannacci, i proclami anti LBGTIA+ di Putin e soci, la militarizzazione delle frontiere, il rifiuto della globalizzazione siano solo fumo negli occhi.
Perché sta accadendo un fenomeno nelle narrazioni accolte dai più ancora più subdolo, di cui Donald Trump ed Elon Musk rappresentano solo gli epifenomeni più fragorosi. Al rifiuto delle tecnocrazie e delle caste si associa un favore sempre più esplicito verso oligarchi e monopolisti. Sembra che il processo di concentrazione e aggregazione economica a cui abbiamo assistito nel nuovo millennio sia passato alla fase successiva: la gestione diretta del potere politico. Ma sebbene siano proprio gli esiti economici a creare risentimento presso le masse, il modello economico non può e non deve essere messo in discussione. L’Idea che oggi appare trionfante ricorda, più che il ventennio, il patto scellerato delle monarchie assolute: mettere a tacere i corpi intermedi (allora la nobiltà, oggi i partiti e la società civile) per parlare direttamente ad un popolo di sudditi. Il progetto 5Stelle di Grillo e Casaleggio di democrazia diretta (forse meglio parlare di legittimazione diretta del capo come espressione della volontà popolare, alla Rousseau) che si ripresenta in salsa patriottica con i soldi di Tesla e Amazon. In più, il consolidato Volksgeist, aiuta pure a giustificare dazi e barriere doganali alle auto elettriche cinesi.
Eppure una nuova narrazione s’annuncia, difesa qui in Italia quasi solo da VITA: una nuova antropologia positiva, fondata sulla natura collaborativa di uomini e donne; una nuova economia, che valorizzi la missione verso il bene comune dell’impresa; una nuova idea di valore che superi una mera quantificazione monetaria; una nuova idea di lavoro che ne metta in luce la funzione di risposta ai bisogni degli altri, che ne riconosca l’utilità al consorzio umano, come diceva Primo Levi; una nuova idea di fine collettivo, che promuova la lotta alla diseguaglianze e la tutela del pianeta. Infine, forse, finalmente, una nuova idea di comunità, talmente tanto vasta da abbracciare le generazioni future. Si intuiscono i primi vagiti di questa creatura nuova: da più parti nascono proposte per una fiscalità più giusta, che possa tassare i grandi patrimoni, che ripensi le tasse di successione e premi il lavoro sulle rendite. Si scorgono barbagli di una nuova sensibilità nelle nuove generazioni per l’attivismo civico e climatico, per la coerenza valoriale con le aziende presso cui si lavora, per un consumo sostenibile e per un fare impresa inclusivo. C’è un disperato bisogno di senso. Come ogni nuova narrazione, anche questa avrebbe bisogno di un progetto politico, basterebbe aggregare chi vive del proprio lavoro e non può contare su alcuna rendita propria o famigliare. Ma ecco, se una narrazione sta per nascere, coerente con quel primato dell’etica di cui parlava Levinas, nessun progetto politico sembra avere abbastanza coraggio da diventarne la levatrice.
Foto La Presse: Elon Musk alla festa di Fratelli d’Italia, Atreju 2024
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