Idee Cooperazione internazionale
Aggregazioni e coprogrammazione: altrimenti il ciclone Trump spazzerà via le ong
«"Trade, non aid", è questo il mantra del presidente Usa che sta annichilendo il sistema globale degli aiuti a partire dalla chiusura di Usaid. Ora la palla è a noi: come reagiremo?». L'intervento della presidente di Aoi (Associazione delle Ong Italiane):
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La sospensione da inizio febbraio per adesso di 90 giorni di tutti i progetti e programmi finanziati dall’Agenzia per la Cooperazione allo Sviluppo statunitense nel mondo è stata decretata dalla nuova amministrazione americana presieduta da Donald Trump ed ha come fine dichiarato la revisione della destinazione di tutti i fondi stanziati ad oggi. La riduzione prevista per lo staff di Usaid è del 97%. Il blocco va ovviamente oltre 3 mesi. L’Agenzia contava fino al congelamento un fondo di oltre 40 miliardi di dollari per aiuti umanitari e interventi di sviluppo in circa 120 Paesi. Uniche eccezioni sono state fatte per Egitto e Israele e forse qualche programma finanziato ad Agenzie Onu in alcuni Paesi target dell’umanitario, ma comunque di importo non rilevante.
La posizione del Presidente Trump è quella di riallineare l’agenda americana in termini di cooperazione allo sviluppo nella direzione della politica complessiva del Paese: trade non aid è il motto, quindi programmi di sviluppo di mera imprenditorialità e commercio, in controtendenza rispetto all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che impegna i Governi del Mondo a impiegare lo 0,70 % della propria ricchezza nazionale entro il 2030 per sconfiggere fame, pandemie, povertà e disuguaglianze.
Il sistema multilaterale Onu sparisce dai finanziamenti americani. Questo indirizzo politico era stato anticipato a fine gennaio dall’ordinanza esecutiva per l’uscita degli Usa dall’Oms (Organizzazione Mondiale per la Sanità). Il contributo americano per l’Oms, nata 77 anni fa, nell’ultimo decennio è stato tra i 160 e gli 815 milioni di dollari annuali su un bilancio totale dell’Agenzia di 2-3 miliardi.
Certamente è un segnale importante la sospensione al blocco dei finanziamenti Usai decretata da un giudice federale a Washington pochi giorni fa, perché ritenute non valide le giustificazioni governative rispetto al grave impatto umanitario, ma l’attuale governo statunitense troverà il modo per controbattere, non è sprovveduto e ahimè gode di ampio consenso. Le ong internazionali, comprese quelle italiane, ne sono consapevoli e perciò hanno deciso di sospendere i loro interventi che utilizzano fondi di Washington, come gran parte delle Agenzie Onu, che hanno anche cancellato a inizio febbraio le firme di nuovi accordi di partenariato in negoziazione se finanziati con fondi americani.
Il Consiglio norvegese (Ncr) ha stoppato i suoi interventi per i rifugiati in 20 Paesi nel mondo. In Italia, le maggiori organizzazioni non profit che operano in aree di crisi con finanziamenti di Usaid diretti o indiretti, attraverso i partner o le Agenzie Onu, hanno calcolato un danno ai propri budget umanitari che oscilla tra il 15 e il 20% del bilancio annuo. La Rete Aoi ha registrato tagli ai programmi in corso delle associate per 10-12 milioni complessivamente e altrettanti più o meno per quelli in negoziazione. Le fragilità più colpite sono relative agli interventi coordinati da Unicef e Oms: cura delle patologie neonatali, vaccinazioni infantili, programmi per la salute materno-infantile e della donna e per fronteggiare le problematiche della disabilità, interventi di prevenzione e ricerca in relazione alle pandemie e altre minacce virali, diffusione della salute di base, istruzione, interventi umanitari.
Un Ponte Per (Upp) ha posto l’accenno sulla grave situazione che si viene a creare con lo stop ai fondi di Usaid nel Nord Est della Siria, Nes, area di massima emergenza: per le attività di life saving emergency health and emergency protection nel Nes, ben 2 milioni di dollari provengono dall’impegno dell’amministrazione Usa. Upp ha preso la decisione di fare 500 dollari di tagli, assumendosi il rischio, insieme ai partner siriani, di continuare il grosso dell’assistenza per evitare una crisi umanitaria peggiore che impatterebbe tutti i campi profughi nel Nord Est della Siria. Per un’ong con budget di media grandezza si tratta davvero di una scelta di coraggio a fortissimo rischio.
L’Europa ha detto che non sarà in grado di intervenire con risorse aggiuntive per supplire alla mancanza degli aiuti statunitensi. Il governo italiano ha chiesto subito alla Rete Aoi e a Cini e Link2007, rappresentanze delle organizzazioni sociali di cooperazione internazionale, di fornire in tempi rapidi e aggiornati i dati su progetti e programmi bloccati per permettere all’ambasciatrice a Washington Mariangela Zappia di interloquire con il Dipartimento di Stato Usa.
Potrebbe esserci un impegno del nostro Paese per rivedere le priorità almeno sull’intervento umanitario e per trovare le risorse sottratte nella legge di bilancio 2025 all’Aiuto pubblico allo sviluppo? Sembra che il viceinistro Edmondo Cirielli in un’audizione parlamentare si sia detto “possibilista”.
In questo quadro globale drammatico dal punto di vista umanitario e di incerto futuro per l’aiuto allo sviluppo, accanto alle legittime proteste non è più tempo di porre indugi nel ripensare le strategie del non profit della solidarietà e della cooperazione internazionale. All’oggi i dati aggregati delle organizzazioni italiane sistematizzati da Open Cooperazione mostrano che la tenuta delle ong e anche la loro crescita generale è legata al picco degli interventi di aiuto umanitario. Altro elemento importante di analisi è questo: su 4.684 progetti ben 958 sono appunto di carattere umanitario, 802 nel settore socio-sanitario e 915 in quello educativo. Quindi i settori più colpiti in assoluto dai tagli Usaid.
L’indirizzo della cooperazione internazionale del nostro Paese, come si evince dalle iniziative di punta proposte dal Piano Mattei, ma anche dai temi in priorità nel bando del 2024 per le organizzazioni della società civile e le autorità locali, privilegia soprattutto agricoltura, energia (non ancora emancipata dal “fossile”) e anche sanità e formazione tecnica. In generale, si enfatizza alla Presidenza del Consiglio e alla Farnesina il protagonismo di aziende sia partecipate soa private e del mondo universitario più che delle ong. La presenza diffusa della società civile, il suo ruolo riconosciuto da tutti i governi nei decenni, sembra divenire marginale.
Si riducono i finanziamenti pubblici italiani ed anche europei all’Aps puro perché cambiano le priorità delle politiche di cooperazione internazionale, scompaiono i fondi di Usaid. Che fare? Ho contato tre decenni di impegno personale diretto nei programmi e nelle attività umanitarie e di sviluppo e quasi dieci nel ruolo, oggi in scadenza, di rappresentanza unitaria di centinaia di organizzazioni sociali, in cui ho vissuto vari periodi di crisi dell’Aps. Nessuna però mi pare sia stata tanto rapida, pericolosa e drammatica come quella in cui stiamo precipitando. Non è più sostenibile per nessuna organizzazione impegnata in questo settore credere di potersela cavare da sola. La scelta delle organizzazioni di Aoi di costituire una rete nazionale di Terzo settore in grado di rafforzare le realtà associate, di formarsi e di fornire servizi diretti e convenzionati e assistenza ai tempi del Registro Unico di Terzo Settore è un fatto importante e incide nell’accountability complessiva, ma neppure questo basta se si ferma qui e nella continuità delle attività di advocacy, lobbing e “sindacali”. La rete nazionale deve promuovere e facilitare processi di aggregazioni interne che non mirano a sostituire le federazioni, i forum e le piattaforme anche territoriali. Anzi, penso che le valorizzino o le aiutino a ridisegnarsi nel periodo di cambiamento. Ma c’è urgenza assoluta di prevenire la scomparsa di un patrimonio, il nostro di ong, che va affievolendosi, anche perché non riesce a rinnovare la sua governance e a produrre un “pensiero fresco”. I consorzi di ong che si costituiscono temporaneamente per avere più peso e premialità in un bando sono superati dal presente. La continuità relazionale tra le organizzazioni oltre il singolo intervento è la nuova prospettiva. Scegliere insieme un’area di coprogettazione o un tema che renda valore della complementarietà dei soggetti e si prefigga la continuità del programma condiviso è la risposta alla sostenibilità, che mette insieme risorse umane e finanziarie. E apre possibilità di altre evoluzioni. Si deve partire dalla volontà di sperimentare prima la coprogettazione, assumendo, più di quanto si creda o si dichiari, la convinzione di lavorare con e per le comunità. Occorre coinvolgere nelle ideazioni e nelle realizzazioni il mondo privato profit tanto enfatizzato dai finanziatori, le istituzioni locali, le università e altri attori sociali e i cittadini in quella strategia di continuità dei percorsi attivati tra territori, che peraltro attraggono naturalmente nuove risorse o confermano quelle in bilico: un finanziatore pubblico o una Fondazione danno maggiore fiducia ad un intervento che non ha inizio e fine in breve tempo e che prefigura un approccio di sistema. Questa, per l’umanitario, è la sostanza che rende virtuoso il Nexus Umanitario Pace e Sviluppo di cui si è dotata sulla carta la cooperazione internazionale del nostro Paese, ma che stenta ad applicare strategicamente: praticare l’aiuto in emergenza con l’attenzione a garantire pacificazione e promuovere sviluppo, mette al centro i territori e le comunità e permette di localizzare l’intervento. Dare maggiore ruolo anche nella gestione al partner nel Paese significa promuovere associazionismo, cooperativismo, imprenditorialità, cittadinanza attiva, ponendo le condizioni per affrancarsi dalla gestione diretta dall’esterno e lasciare maggiori risorse alle attività e investire su un rapporto nuovo. Aggregarsi sulla base di priorità e obiettivi strategici definiti a medio-lungo termine di coprogrammazione e coprogettazione, coinvolgendo il sistema pubblico e privato e localizzare il più possibile le attività nel protagonismo diretto dei partner sono la sostanza della sostenibilità, a mio parere improrogabile, per tutto il mondo delle organizzazioni sociali di cooperazione allo sviluppo, nessuna esclusa.
Foto: Mogadiscio (Somalia)/La Presse
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